Può darsi. Mi piacerebbe sapere se, in frasi affermative, nella varietà parlata da Ivan c’è un soggetto clitico obbligatorio, anche pleonastico: ad es. dalle mie parti si dice «L’è fadíga» («È difficile»; lett. «È fatica»), «L’è nà al marcà» («[Lui/lei] è andato/a al mercato»), ecc. Se cosí non fosse, si potrebbe pensare che il soggetto clitico sia rimasto solo in un costrutto enfatico come quello della frase esclamativa. In assenza di altre informazioni, questa rimane però una congettura.Scilens ha scritto:È possibile che il 'quanto' venga saltato e dato per sottinteso? Non sembrerebbe impossibile...
[xMAR] «L’è» = «quant’è»
Moderatore: Dialettanti
- Ferdinand Bardamu
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Anche in Romagnolo sono presenti soggetti obbligatori.
«O piov» («Piove»)
«O va a e merché» («[Lui] va al mercato»)
«L'è andé a e merché» («[Lui] è andato/a al mercato»)
E rimangono anche in presenza di un soggetto esplicito
«Lu l'è andé a e merché»
«Lé l'è andeda a e merché»
«O piov» («Piove»)
«O va a e merché» («[Lui] va al mercato»)
«L'è andé a e merché» («[Lui] è andato/a al mercato»)
E rimangono anche in presenza di un soggetto esplicito
«Lu l'è andé a e merché»
«Lé l'è andeda a e merché»
Ultima modifica di valerio_vanni in data lun, 09 mar 2015 18:11, modificato 2 volte in totale.
- u merlu rucà
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Curioso. Da me si dice le fadiga /leffa'diga/, ma significa un'altra cosa. La frase viene pronunciata in maniera enfatica per sottolineare l'alacrità d'una persona (le ffadiga significa quanto lavora!). Ma è strano il fatto che scompaia la vocale aperta e subentri quella chiusa. Comunque, quel che ho appena detto non fa altro che corroborare la sua tesi: l'è sembra sopravvivere soltanto all'interno di costrutti enfatici.Ferdinand Bardamu ha scritto:[D]alle mie parti si dice «L’è fadíga»
Re: [FT] Soggetto clitico obbligatorio nei dialetti
Spero di non risultare troppo impudente se le chiedo da chi ha sentito quest'esclamazione. Forse da un mio illustre e inclito concittadino?Ferdinand Bardamu ha scritto: Mi è capitato di sentire quest’esclamazione del suo dialetto

- Ferdinand Bardamu
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Re: [FT] Soggetto clitico obbligatorio nei dialetti
Sí, proprio da lui.Ivan92 ha scritto:Spero di non risultare troppo impudente se le chiedo da chi ha sentito quest'esclamazione. Forse da un mio illustre e inclito concittadino?Ferdinand Bardamu ha scritto: Mi è capitato di sentire quest’esclamazione del suo dialetto

- El Ciambòto
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Buongiorno a tutti
Scrivo da Ancona e, pur differendo sensibilmente il vernacolo anconitano e quello fidardense in termini di accento, musicalità e pronuncia, per quanto riguarda lessico e sintassi ci sono parecchi aspetti in comune, tra cui questo utilizzo molto frequente di l'è per enfatizzare una caratteristica, un'azione o una situazione. Ho sempre pensato però che la particella originaria fosse lé (con la vocale chiusa), con elisione della é quando essa è seguita dal verbo èsse(=essere) in terza persona.
Infatti nella mia parlata possiamo dire l'ène stràine qu'le maràntighe (quanto sono burbere quelle zitelle) ma anche lé sai bèla (quanto sei bella), lé sé pèci (quanto siete stupidi) o lé stago stréto (come sto stretto). Questo, se ho ben compreso il dubbio di Ivan92, spiegherebbe «la scomparsa della vocale aperta» in favore di quella chiusa; in realtà a scomparire sarebbe la vocale originaria, che è chiusa, quando lé incontra le terze persone del verbo essere: l(é)'è.
Chiarisco però che, essendo io un semplice appassionato di dialetti della mia zona, non ho chiaramente le competenze per poter mostrare certezze assolute in materia
Aggiungo una cosa: riguardo l'equivalenza di quanto e come a scopo enfatico, a livello dialettale da noi si utilizza spesso la parola cosa. Esempi:cuṡa* magni (quanto magni), cuṡa calèfi (quanto puzzi)
*ad Ancona tutte le s intervocaliche sono sonore
Scrivo da Ancona e, pur differendo sensibilmente il vernacolo anconitano e quello fidardense in termini di accento, musicalità e pronuncia, per quanto riguarda lessico e sintassi ci sono parecchi aspetti in comune, tra cui questo utilizzo molto frequente di l'è per enfatizzare una caratteristica, un'azione o una situazione. Ho sempre pensato però che la particella originaria fosse lé (con la vocale chiusa), con elisione della é quando essa è seguita dal verbo èsse(=essere) in terza persona.
Infatti nella mia parlata possiamo dire l'ène stràine qu'le maràntighe (quanto sono burbere quelle zitelle) ma anche lé sai bèla (quanto sei bella), lé sé pèci (quanto siete stupidi) o lé stago stréto (come sto stretto). Questo, se ho ben compreso il dubbio di Ivan92, spiegherebbe «la scomparsa della vocale aperta» in favore di quella chiusa; in realtà a scomparire sarebbe la vocale originaria, che è chiusa, quando lé incontra le terze persone del verbo essere: l(é)'è.
Chiarisco però che, essendo io un semplice appassionato di dialetti della mia zona, non ho chiaramente le competenze per poter mostrare certezze assolute in materia

Aggiungo una cosa: riguardo l'equivalenza di quanto e come a scopo enfatico, a livello dialettale da noi si utilizza spesso la parola cosa. Esempi:cuṡa* magni (quanto magni), cuṡa calèfi (quanto puzzi)
*ad Ancona tutte le s intervocaliche sono sonore
Buongiorno e benvenutoEl Ciambòto ha scritto:Infatti nella mia parlata possiamo dire l'ène stràine qu'le maràntighe (quanto sono burbere quelle zitelle) ma anche lé sai bèla (quanto sei bella), lé sé pèci (quanto siete stupidi) o lé stago stréto (come sto stretto).
cuṡa calèfi (quanto puzzi)

Nella mia variante possiamo usare gran per rendere l'avverbio quanto, molto, assai delle sue frasi:
gran rùsteghe che le xe chéle màdeghe!
gran bèla che te sì!
gran mona che sì!
gran in-stréto che stago!
(ho messo la variante màdeghe per avvicinarmi al suo maràntighe, ma io direi zitèle-zitelone).
Calefare come 'puzzare' non lo avevo mai sentito: di cosa puzza uno che calèfa?
We see things not as they are, but as we are. L. Rosten
Vediamo le cose non come sono, ma come siamo.
Vediamo le cose non come sono, ma come siamo.
- Ferdinand Bardamu
- Moderatore
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- Iscritto in data: mer, 21 ott 2009 14:25
- Località: Legnago (Verona)
Confermo l’uso avverbiale di gran anche nella mia variante di veneto: l’uso non differisce da quello degli esempi di Sixie.
Tra l’altro da me esiste anche maràntega, ma non per dire «zitella»: vuol dire anzi «vecchia megera e sim.».
Tra l’altro da me esiste anche maràntega, ma non per dire «zitella»: vuol dire anzi «vecchia megera e sim.».
- u merlu rucà
- Moderatore «Dialetti»
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Nei dialetti liguri si usa mai < MAGIS:Ferdinand Bardamu ha scritto:Confermo l’uso avverbiale di gran anche nella mia variante di veneto: l’uso non differisce da quello degli esempi di Sixie.
Tra l’altro da me esiste anche maràntega, ma non per dire «zitella»: vuol dire anzi «vecchia megera e sim.».
- mai grande che ti sei (quanto sei grande, sei grandissimo)
Largu de farina e strentu de brenu.
Non ci avevo pensato. Credo proprio che abbia ragione! Qui diremmo: l'è/l'ènne stràine qulle zitellone (anche se in questo caso direi semplicemente quant'è/quant'ènne), lé sai bella, lé sete ciambotti/bedolli/gaggiotti, lé sto/stago stretto.El Ciambòto ha scritto:Questo, se ho ben compreso il dubbio di Ivan92, spiegherebbe «la scomparsa della vocale aperta» in favore di quella chiusa; in realtà a scomparire sarebbe la vocale originaria, che è chiusa, quando lé incontra le terze persone del verbo essere: l(é)'è.
P.S. Benvenuto, mio caro corregionale!

- El Ciambòto
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- Località: Ancona
Buonasera a tutti e grazie dei contributi e del benvenuto 
La tradizione vuole una numerosa presenza di buranèli (quindi di provenienza veneto lagunare) nei rioni del porto. Ci sono varie ipotesi a riguardo, ma non vorrei andare fuori tema.
Fatto sta che esistevano, almeno fino alla prima metà del Novecento, famiglie in cui si parlava un buranello-anconitano, per cui non era infrequente ascoltare parole come bonżorno, żó (in luogo di giù, anconetano odierno gió), żente (gente) o lòża (loggia). Una zona del porto era chiamata Mandidrio e pare origini da man de drio. Purtroppo non ho trovato, nelle mie ricerche a tempo perso, studi sistematici a riguardo, ma mi auguro ci siano.


Da quel che leggo in un dizionario dell'Anconitano, la voce calefa' deriverebbe da un certo Calef, ebreo anconetano di fine '800 noto per avere scarsissima igiene personale... pare fosse l'individuo maleodorante per antonomasia. Comunque è una voce attualmente in disuso e credo il suo utilizzo sia stato comunque abbastanza limitato.
Più o meno questa accezione è presente anche ad Ancona; diciamo che è un termine che si applica quando si vuole indicare in maniera poco lusinghiera una donna antipatica, di dubbia bellezza, spesso non giovanissima e magari demodé... quindi presumibilmente non maritata (per via di tutti quei luoghi comuni presenti nell'immaginario popolare)... comunque nell'Anconitano (il vernacolo parlato solo ad Ancona città e non nel resto della provincia) sono presenti numerosi "venetismi": maràntiga è uno di questi, ma penso anche allo scempiamento delle consonanti geminate e alla seconda persona plurale dei verbi: sté (state), andé (andate), fé (fate), dé (date), sbacilé (vacillate), discoré (discorrete, parlate) ecc.Ferdinand Bardamu ha scritto:Tra l’altro da me esiste anche maràntega, ma non per dire «zitella»: vuol dire anzi «vecchia megera e sim.».
La tradizione vuole una numerosa presenza di buranèli (quindi di provenienza veneto lagunare) nei rioni del porto. Ci sono varie ipotesi a riguardo, ma non vorrei andare fuori tema.
Fatto sta che esistevano, almeno fino alla prima metà del Novecento, famiglie in cui si parlava un buranello-anconitano, per cui non era infrequente ascoltare parole come bonżorno, żó (in luogo di giù, anconetano odierno gió), żente (gente) o lòża (loggia). Una zona del porto era chiamata Mandidrio e pare origini da man de drio. Purtroppo non ho trovato, nelle mie ricerche a tempo perso, studi sistematici a riguardo, ma mi auguro ci siano.
Grazie! E W Castello, città a me molto cara.Ivan92 ha scritto:P.S. Benvenuto, mio caro corregionale!

In teoria, l'anconitano si dovrebbe parlare anche anche a Falconara, Camerano, Numana e Sirolo, anche se, per quanto riguarda questi ultimi tre comuni, fino a un secolo fa si parlava un dialetto gallo-italico.El Ciambòto ha scritto:nell'Anconitano (il vernacolo parlato solo ad Ancona città e non nel resto della provincia)
P.S. Grazie a lei!

Di studi specifici su l'anconitano e il veneziano non saprei, ma sulla diffusione del lessico marinaresco veneziano, sì.El Ciambòto ha scritto:Fatto sta che esistevano, almeno fino alla prima metà del Novecento, famiglie in cui si parlava un buranello-anconitano, per cui non era infrequente ascoltare parole come bonżorno, żó (in luogo di giù, anconetano odierno gió), żente (gente) o lòża (loggia). Una zona del porto era chiamata Mandidrio e pare origini da man de drio. Purtroppo non ho trovato, nelle mie ricerche a tempo perso, studi sistematici a riguardo, ma mi auguro ci siano.
Tornando alla questione, vorrei aggiungere la forma aggettivo + che mai come in bèla (bòna, trista) che mai, ancora in uso dalle mie parti.
We see things not as they are, but as we are. L. Rosten
Vediamo le cose non come sono, ma come siamo.
Vediamo le cose non come sono, ma come siamo.
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