brg ha scritto: lun, 07 feb 2022 13:24
La mia terza obiezione è che più che la necessità di dare nomi nuovi a fenomeni nuovi, si sia diffusa la necessità, tutta commerciale e pubblicitaria, di dare nomi nuovi a cose vecchie per farle sembrare nuove ed alla moda. Un esempio notevole di ciò è l'espressione "graphic novel". Il termine è nato quando Will Eisner, fumettista americano, decise di fare fumetti all'europea. Il fumetto tradizionale americano, il "comic", era tipicamente venduto in giornaletti di carta leggerissima di poche pagine, come il Corriere dei Piccoli per intenderci, mentre le storie di più ampio respiro che voleva realizzare Eisner richiedevano un centinaio di pagine in formato albo, come i fumetti franco-belgi o quelli della Bonelli. La conclusione fu che l'editore si inventò un termine nuovo, "graphic novel" appunto, per giustificare il rincaro di prezzo dovuto al nuovo formato. Nessun americano avrebbe speso più di un dollaro per un "comic book", ma con una "graphic novel" il discorso poteva cambiare. Così, se uno apre la Treccani alla voce "graphic novel" ci trova scandalosamente scritto:
Parto dal fondo perché -
mea culpa - non mi sono soffermata a delimitare il campo, pur avendolo pensato… ovviamente ci sono un sacco di prestiti dettati solo dalla moda o addirittura dalla volontà di confondere le acque. Queste due categorie le considero assolutamente non giustificabili, e quindi le ho tagliate fuori a priori dal discorso. Tanto per fare un esempio, il famigerato
greenpass rispetto alla certificazione, o cose similari.
Hanno già un nome italiano perché sono oggetti - come giustamente nota - ben noti, e non ha alcun senso trovargliene altri in idiomi alieni.
Fuori tema
Ma già l'esempio sopra citato - graphic novel - mi lascia perplessa. Non so quanto il neologismo inglese sia stato dettato dal rincaro del prezzo dell'albo, albo che del resto sarebbe stato molto più corposo, una sorta di libretto rispetto a un giornaletto. Di fatto, questo maggior numero di pagine corrisponde anche a un altro respiro della storia, molto più ampia nella trama e nell'approfondimento di eventi e personaggi. Quindi si tratta di un oggetto diverso.
Noi italiani siamo spesso portati a pensare al fumetto come un prodotto di serie B, infantile e di esile spessore letterario, quindi perdiamo un po' di vista le differenze che possono esserci all'interno di un genere narrativo che si avvale di testo e disegni coordinati. Il disegno è un linguaggio, e con esso si possono articolare numerosi livelli di narrazione, dalla vignetta al poema epico.
Quindi, come distinguo il racconto dal romanzo o dal ciclo in più romanzi nello scritto, così è anche nel fumetto.
Il punto qui non è voler indicare con un nome nuovo qualcosa di già esistente - che non è vero - bensì di voler esportare pari pari anche da noi il termine che in area anglofona è stato scelto. Ma questo è un altro filone…
brg ha scritto: lun, 07 feb 2022 13:24
Una obiezione, l'ho già espressa: è il fatto che questi neologismi impieghino tipicamente un lessico elementare. Infatti, come ho notato, esistono già in inglese termini specifici che meglio descriverebbero il fenomeno, quali ad esempio "start" (nel senso di sussulto o scatto improvviso), "jolt" o "startle". Il fatto che la locuzione adoperi invece termini comunissimi quali "jump", cioè il principale e più generico termine per indicare l'azione del salto, e "scare", che è appunto "spavento", mi dà l'idea di una origine gergale. Insomma, mi dà la stessa impressione di quei ragazzini che dicevano "ladrare" al posto di "rubare", non perché ci fosse la necessità di una nuova espressione, ma perché la loro scarsa dimestichezza con la lingua li portava ad inventarsi nuovi, più semplici termini in sostituzione di altri anche solo marginalmente più difficili.
Ma questo è un problema relativo alla lingua inglese e da discutersi in un foro ad essa dedicato. Parlando invece dell'uso di termini stranieri in italiano, poco importa se questi all'origine siano gergali, dotti, inventati, privi di significato o altro... al limite, potrei prendere anche un termine totalmente di fantasia, inventato su due piedi con una forma fonotatticamente non italiana.
Il punto non cambierebbe: da un lato, ho bisogno di un termine nuovo per meglio delimitare un campo, definendo entro esso una partizione nuova, dall'altro sto facendo una scelta che - italianamente e linguisticamente parlando - grida vendetta.
P.S. I ragazzini dicevano "ladrare" non perché ignoravano il termine corretto, ma perché a quell'età c'è la necessità di crearsi un proprio linguaggio alternativo a quello corretto degli adulti, è una questione di processi di crescita, e quindi anche di necessità di riconoscersi come parte di un gruppo. Gli stessi ragazzini, in un compito scritto a scuola, usavano i termini corretti.
brg ha scritto: lun, 07 feb 2022 13:24
Un'altra obiezione è che il termine non sia riportato su autorevoli dizionari, quali il Merriam-Webster, o su siti come l'Online Etymology Dictionary, che tipicamente è attento ai neologismi. etc. […]
Anche questo è inerente alla storia della lingua inglese e dell'evoluzione dei termini in seno a essa. Non cambia il fatto che il termine sia stato importato da noi per indicare qualcosa nei nostri discorsi in italiano.
Il punto è che chi scrive di cinema rileva l'esistenza di una specifica tecnica del racconto per immagini in movimento, e ha necessità di parlare riferendosi ad essa. Quindi cerca un nome da dargli. Un nome che sia uno, e non una perifrasi che lo definisca. Qualcosa come il rapporto che c'è fra "automobile" e "veicolo a quattro ruote a motore": il primo è il nome dell'oggetto, il secondo è la spiegazione che ne dà il vocabolario. Ecco, il nostro critico cinematografico sta cercando la sua "automobile", e non ha bisogno del giro di parole che la spiega perché sa già cos'è.
Quindi, il problema per lui è trovare questo nome. La cosa più comoda è appoggiarsi a quello che fanno gli altri. La proposta di chi invece ha a cuore la lingua italiana è: proviamo ad aiutarlo a trovare un singolo termine che sia soddisfacente e italiano.
brg ha scritto: lun, 07 feb 2022 13:24
Credo che ci sia un fraintendimento. La locuzione non ha sfumature di significato così raffinate. Il salto del "jump scare" è tipicamente riferito allo spettatore che sobbalza sulla sedia. L'Oxford English Dictionary così descrive l'aggiunta dell'espressione:
"and a jump scare is much as it sounds – a sudden or unexpected event, typically involving a loud sound, intended to
startle an audience."
Forse, ma non ne sono così convinta.
"Un
jump scare è esattamente quello che si legge: un evento improvviso o inaspettato, tipicamente accompagnato da un suono forte, volto a spaventare lo spettatore"… più o meno.
Allora mi chiedo: il "salto" qui è riferito al salto narrativo improvviso, o al salto che si ipotizza farebbe lo spettatore? Tutto sommato mi importa anche poco, essendo - come detto sopra - un filosofeggiare sulla lingua inglese, della quale peraltro non sono così addentro per permettermi di farlo.
Noto però che la tecnica in questione comporta effettivamente un salto narrativo - termine da noi già in uso nello scritto - un'improvvisata, un qualcosa di non annunciato, mentre il sobbalzo è il risultato che - nelle intenzioni del regista - questo salto narrativo dovrebbe provocare nello spettatore.
Allora, il nostro problema è nel denominare la tecnica cinematografica, non le sue presunte conseguenze.