domna charola ha scritto: ven, 03 feb 2023 10:57Banalmente, suffragata dal dizionario della Treccani.
Che infatti scrive:
«"ghiótto agg. [lat. tardo glŭttus, affine a gluttire «inghiottire»]. – 1. a. Avido di cibi gustosi, di bevande piacevoli: un ragazzo gh.; specificando: essere gh. di dolci, di cioccolatini, di funghi; riferito anche ad animali: i cavalli sono gh. di zollette di zucchero.
Tre esempi su quattro sono con cibi dolci, a riprova che pure i collaboratori della Treccani immaginano subito qualcosa di dolce se pensano a un ghiottone (si noti che per i cavalli avrebbero potuto usare le − pur dolci − carote, e con gli uomini la pastasciutta, essendo un dizionario italiano).
Se cerchiamo un qualsiasi traducente da inserire in un dizionario dei sostituti italiani di parole straniere, occorre secondo me rifarsi innanzitutto al dizionario italiano di base, ufficiale, non alla rete e a quello che pensa la gente.
Che è il motivo per cui avevo ipotizzato di aggiungere «di dolci» nel caso in cui non fosse chiaro il contesto.
Se così fosse, dovremmo allora sdoganare anche "utilizzo" e "utilizzare", il "piuttosto che" messo a casaccio, "accellerare" e altre cose del genere, in base al numero di occorrenze sanate da un motore di ricerca.
Le ricordo che già molti altri errori grammaticali sono stati sdoganati proprio in ragione della loro estensione onnipervasiva. Non vedo come non si dovrebbe tener conto delle occorrenze.
Comunque, se ho più presenze per "ghiottone di dolci" rispetto ad altre specifiche, vorrebbe dire che si sente maggiormente la necessità di esplicitarlo per i dolci, perché altrimenti non sarebbe immediato. Oppure, più verosimilmente, che i dolci sono il "peccato di gola" per antonomasia, mentre pochi sono ghiotti di un cibo banale e non vietato.
Lo sta davvero scrivendo in un foro italiano, dove c’è gente in varî strati della popolazione che mangia quasi solo pastasciutta?
Non penso che esista un proverbio analogo nelle varie lingue; noto però che i proverbi sono condensati di una "saggezza" popolare e spicciola, che parte banalmente dall'osservazione dei casi della vita e delle attitudini umane, così come i modi di dire. E molti comportamenti si ripetono a tute le latitudini, probabilmente perché istintivi della specie. Solo che in ogni cultura vengono associati a immagini e paragoni diversi. Un eschimese probabilmente non dirà "Hai la grazia di un elefante", ma si rifarà più facilmente ad altra bestia locale, oppure ricorrerà a una locuzione completamente diversa, che però nel suo mondo significa più o meno "ti muovi goffamente senza fare attenzione a cosa provochi".
Non si è mai ritenuto necessario, però qui e oggi qualcuno ha rilevato l'esistenza di questa nuova espressione inglese in un testo italiano - almeno, questo è quello che ho capito io, non credo che chi ha aperto il filone scelga vocaboli a caso dall'Oxford Dictionary [...] per sapere come lo tradurremmo qui - e ha lanciato l'allarme. Il fatto che un forestierismo compaia in questa sezione del foro è per me una prova che già si aggira fra di noi, ovvero che i parlanti iniziano a sentire questo bisogno.
In questo foro ci sono filoni aperti per tradurre «Coronation baby»: lei avverte un allarme per questa espressione nella lingua italiana? E di esempi di questo genere potrei farne a bizzeffe. Vengono proposte espressioni che di specialistico non hanno nulla, ma che sono state trovate come occasionalismi in articoli italiani e da lì la curiosità di alcuni di sapere come potrebbero essere tradotte in italiano. E ne ho creati anche io: il «bedding-in» al momento, grazie al Cielo, è comparso solo dopo quel terribile fatto di cronaca, sebbene in ambito ospedaliero sia in uso da tempo.
L'italiano invece sì, importa le espressioni altrui, senza tradurle. Ed è questo il nostro problema, qui e ora.
Non l’italiano. L’italiano di chi neppure si cura del proprio italiano, o di chi pensa che l’inglese sia una lingua superiore.
Quanto a Ernesto, Newton-Compton e Oscar Mondadori pubblicano "L'importanza di essere Onesto", mentre Rusconi pubblica "L'importanza di essere Franco"; così come Rizzoli nel 1952. E non mi sembrano case editrici dell'oratorio... Salta fuori inoltre un innovativo "L'importanza di essere Fedele" per Garzanti, ripreso anche in qualche bloggo locale. Da segnalare anche Edizioni Clandestine, che taglia la testa al toro, pubblicando "L'importanza di chiamarsi Ernest", lasciando al lettore anglofilo il compito di intuire il doppiosenso.
Insomma, traducendo alla lettera, il titolo della godibile commedia perde tutto il suo senso, e a molti traduttori ciò non è sfuggito.
Le faccio notare che la Rizzoli lo scriveva
minuscolo onesto, nel 1952 e che solo un anno dopo la Cooperativa del Libro Popolare sceglieva «L'importanza di chiamarsi
Ernesto»; prima di allora nel 1922 e nel 1946 La Nuova Italia Editrice e la Poligono Società Editrice traducevano rispettivamente «L'importanza di
far sul serio» e «L'importanza di chiamarsi
Ernesto».
Ernesto anche per la Cooperativa del Libro Popolare nel 1953.
«Earnest» con tanto di virgolette per la UTET nel 1964. (Alle scelte originali della Garzanti con «Fedele» può aggiungere il «Severo» della Vallardi nel 1967, forse non proprio felicissima).
Nel 2000 la Mondadori ha optato per «L'importanza di essere
probo», mentre la Oscar Mondadori da lei citata nel 1990 sceglieva anche «L'importanza di essere
onesto», sempre minuscolo, rifacendosi ad una edizione dell’85 della Mondadori. «
Ernesto»
due volte anche per la BUR nel 1990 e per La Spiga. Infine «L’importanza di far l’
onesto», minuscolo, nel 2019 per Feltrinelli.
Il noioso elenco giusto per ribadire che la scelta di tentare di imitare l’umorismo originario inglese non è affatto necessaria, e talvolta può portare a soluzioni discutibili come «Severo». Questione di gusti personali: quindi se verrà a qualcuno una espressione italiana paragonabile ai
denti dolci inglesi ben venga, ma a mio avviso «(essere un) ghiottone (di dolci)» resterà una resa
colloquiale piuttosto aderente.