Inviato: mer, 29 ago 2007 19:56
Per yak veramente – anche se non serve, ben sòllo – io vedrei iacco (si ricordi la voce antica giacco [specie di scimmia], e l’adattamento portoghese iaque).
Spazio di discussione sulla lingua italiana / Discussion board on the Italian language
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Beh, se uno difende il suo punto di vista linguistico dicendo "e' coerente con una lunghissima tradizione", non si puo' poi impermalosire per i paragoni impertinenti. E' questo tipo di difesa, che fa acqua dal punto di vista logico, e quindi presta il fianco a ogni tipo di caustica impertinenza.Marco1971 ha scritto:Un punto di vista, in fatto di lingua, si difende con argomenti linguistici, non con paragoni impertinenti.
Di quale logica parla?giulia tonelli ha scritto:...questo tipo di difesa, che fa acqua dal punto di vista logico...
Certamente. Ma io vorrei capire perché sonerebbe buffo guò e non gnu. O anche gnu è buffo?giulia tonelli ha scritto:Per quanto riguarda il fatto che una parola suoni buffa o meno, il parere di chiunque vale quanto quello di un esperto linguista. Il "suonare buffo" non e' una cosa che si studia nelle universita' nei corsi di linguistica, e' una sensazione, un'espressione di sensibilita' e di "senso della lingua", non definibile con precisione. Ma non per questo trascurabile o irrilevante.
Di questa.Marco1971 ha scritto:Di quale logica parla?
Essendo una cosa non definibile, non capisco come possa pretendere una spiegazione. E' come cercare di spiegare perche' un certo uomo e' sexy e un altro no.Marco1971 ha scritto: Certamente. Ma io vorrei capire perché sonerebbe buffo guò e non gnu. O anche gnu è buffo?
(in cui si sottintende un gradimento della tradizione stessa e la mancanza di ragioni per romperla)rompendo, per motivi piú che discutibili, una lunghissima e fecondissima tradizione.
Chiedo ulteriori lumi: perché la «regola Y» sarebbe impertinente e per quale motivo non sarebbe una giustificazione solida per X?giulia tonelli ha scritto:Se poi A, B, e C sono impertinenti, questo significa semplicemente che la regola Y non andava invocata a difesa di X, perche' e' dessa, a essere impertinente, e in realta', dal punto di vista logico, non e' una giustificazione solida per X.
E come si fa a abituarsi se si rifiuta in sul nascere una parola nuova? È una forma d’ostracismo che impedisce alla lingua di arricchirsi, secondo me.giulia tonelli ha scritto:Se e quando ci saremo abituati non suonera' piu' buffo. Ora non ci siamo abituati, e suona buffo.
Certo. Solo che forse è una logica superata da qualche secolo (dai tempi di Saccheri?), visto che come giustamente fa notare methao_donor non si cura di esplicitare tutti i propri assiomi.giulia tonelli ha scritto:Questa e' logica.
Qui è facile: tècca, dal malese tekka (cfr portoghese teca).Federico ha scritto:Su tek: mi accontento di non leggere teak.
La risposta, mi sembra, è semplice, e se n'è già parlato, ma comunque, repetita iuvant: gnu non è bizzarro perché è il termine univoco per designare un certo oggetto. Tutti concordano nell'usarlo. Invece *guò è un tentativo di scalzare un termine esistente, quindi si scontra con la percezione di normalità offerta da wok, e risponde perciò al criterio di bizzarria, ossia "in stridente contrasto con la normalità". Insomma, si trova a fare i conti con il gusto linguistico, che varia da una persona all'altra. Ma il gusto della maggioranza delle persone si adagia su un livello comune, conseguente a un normale percorso di studio, alla lettura (magari poca) di giornali, all'ascolto (probabilmente tanto) della televisione, e così via. Invece il gusto di pochissime persone, come lei, è filtrato da studi di linguistica.Marco1971 ha scritto:Ma io vorrei capire perché sonerebbe buffo guò e non gnu. O anche gnu è buffo?
Probabilmente... ma non più impellente del furore onomaturgico di chi deve inventare una media di due o tre nuovi adattamenti di forestierismi alla settimana.methao_donor ha scritto:Mi spieghi... per lei esser caustico è una necessità fisiologica?
Io non vorrei impelagarmi in una discussione di logica aristotelica, ma se uno dice "X e' valido perche' Y", e Y giustifica anche tutta una serie di cose non valide e impertinenti, allora e' la proposizione "X e' valido perche' Y" a essere non valida. In altre parole, Y non e' una giustificazione solida per X, perche' Y giustifica anche tutta una serie di cose che non sono valide (e che con X non c'entrano niente).Marco1971 ha scritto:Chiedo ulteriori lumi: perché la «regola Y» sarebbe impertinente e per quale motivo non sarebbe una giustificazione solida per X?giulia tonelli ha scritto:Se poi A, B, e C sono impertinenti, questo significa semplicemente che la regola Y non andava invocata a difesa di X, perche' e' dessa, a essere impertinente, e in realta', dal punto di vista logico, non e' una giustificazione solida per X.
Particolarmente interessante e da approfondire quest'ultimo argomento...se i canoni di arrapamento fossero completamente diversi, Bruno Vespa sarebbe sexy
Quindi la prima volta che si usò gnu non parve bizzarro a nessuno? E wok non sembrò strano all’inizio? Certo, c’è la difficoltà dello scalzamento, ma la rimando al Migliorini, che dice anche questo:Freelancer ha scritto:La risposta, mi sembra, è semplice, e se n'è già parlato, ma comunque, repetita iuvant: gnu non è bizzarro perché è il termine univoco per designare un certo oggetto. Tutti concordano nell'usarlo. Invece *guò è un tentativo di scalzare un termine esistente, quindi si scontra con la percezione di normalità offerta da wok, e risponde perciò al criterio di bizzarria, ossia "in stridente contrasto con la normalità".
Ogni sostituzione, anche se felicemente trovata e autorevolmente sostenuta, ha bisogno di un tempo piú o meno lungo d’incubazione. («Purismo e neopurismo» in La lingua italiana nel Novecento, Firenze, Le Lettere, 1990, p. 106.)
Certo, il gusto è variabile, ma se le parole nuove dovessero sottostare al gusto linguistico disomogeneo delle masse e per cosí dire essere votate al loro primo apparire, gnu e molte altre (tipo bailamme, ecc.), non avrebbero mai varcato la soglia del dizionario. Basta che il neologismo (adattamento o neoformazione o risemantizzazione) venga lanciato. Tutto si risolve infine nell’uso, e non nel gusto dei parlanti, che ripetono quello che odono (e che talvolta leggono). Il gusto può entrare in gioco nel momento in cui la parola viene creata; dopodiché la diffusione, se avviene, neutralizza qualsiasi bizzarria.Freelancer ha scritto:Insomma, si trova a fare i conti con il gusto linguistico, che varia da una persona all'altra. Ma il gusto della maggioranza delle persone si adagia su un livello comune, conseguente a un normale percorso di studio, alla lettura (magari poca) di giornali, all'ascolto (probabilmente tanto) della televisione, e così via. Invece il gusto di pochissime persone, come lei, è filtrato da studi di linguistica.
No, non è affatto lo stesso. Alle parole ci si può abituare; piú difficile che il singolo cambi radicalmente gusto nelle sue preferenze sessuali (né esistono, cara Giulia, canoni di arrapamento).giulia tonelli ha scritto:Tutto sommato, io vorrei solo delle giustificazioni un po' piu' solide di "si e' sempre fatto cosi' e ci siamo sempre trovati cosi' bene" e di "se fossimo abituati, quelle parola non sembrerebbe buffa", che e' come dire "se i canoni di arrapamento fossero completamente diversi, Bruno Vespa sarebbe sexy".
Ora si può dire che non ha importanza questa continuità, è questione profondamente legata alla sensibilità personale e al valore che si attribuisce alla cultura. Ma le consiglio di leggersi, se non tutto il volume La lingua italiana nel Novecento, almeno il saggio Purismo e neopurismo, in cui troverà giustificazioni piú autorevoli e meno fastidiose delle mie.Bruno Migliorini ha scritto:Chi non dimentichi la mirabile continuità che lega da Dante a oggi tutta quanta la lingua italiana, sarà seriamente ammonito a non procedere troppo in fretta. Correr troppo, voltar bruscamente le spalle al passato significherebbe interrompere questa continuità, la piú lunga che vanti una lingua europea. Ma, si badi, altro è procedere a passi moderati, altro è fermarsi a contemplare il passato mentre gli altri camminano in fretta. (ibid., p. 101.)