Inviato: gio, 03 lug 2008 0:02
La situazione appare molto incongruente. Le mie ricerche nella LIZ[a] su soprac[c]itato, sopra[d]detto e sopran[n]ominato sono queste (fra parentesi quadre il numero di occorrenze):
sopraccitato: [3] AA.VV. Il Conciliatore, Manzoni;
sopracitato: [4] Marino, Alfieri, Leopardi, De Roberto;
sopraddetto: [67] Fioretti di San Francesco, Beccari, Bernardino da Siena, Machiavelli, Della Casa, Cellini, Goldoni, Baretti, Alfieri, Leopardi [43!];
sopradetto: [382, il 90% di Ramusio] Compagni, Villani, Boccaccio, Pucci, Sacchetti, Serdini, Bernardino da Siena, Poliziano, Leonardo da Vinci, Boiardo, Guicciardini, Aretino, Vasari, Straparola, Ramusio, Grazzini, Erizzo, Bargagli, Costo, Garzoni, Sarpi, Galilei, Croce (G. C.), Marino, Bartoli, Vico, Baretti, Da Ponte;
soprannominato: [31] AA.VV. Il Conciliatore, Rovani, Boito, Collodi, De Amicis, Imbriani, Capuana, Giacosa, Tozzi, Pirandello, D’Annunzio;
sopranominato: [12] Villani, Ramusio, Sarpi, Barbieri, AA.VV. Il Conciliatore.
Quali conclusioni possiamo trarre da tutto ciò? Prima di tutto, ricordiamoci che fino al Cinquecento almeno, la grafia era molto oscillante – e alcune oscillazioni permangono a tutt’oggi. Se consideriamo un autore attentissimo a tutti gli aspetti linguistici come Giacomo Leopardi, vediamo che usa costantemente sopraddetto, mentre scrive sopracitato: forse una voluta deroga, per dispetto contro l’Accademia della Crusca, nel cui vocabolario il Salviati introdusse le forme raddoppiate?
La mia conclusione sarebbe che sopra, per uniformità di scrittura e di pronunzia, dovrebbe sempre cogeminare (questi composti, anche quando sopra è avverbio, sono un tutt’uno, non c’è fra avverbio e participio alcuna pausa, né dislivello tonale). E l’uniformità ortografica assicura una migliore padronanza e dello scritto e del parlato.
sopraccitato: [3] AA.VV. Il Conciliatore, Manzoni;
sopracitato: [4] Marino, Alfieri, Leopardi, De Roberto;
sopraddetto: [67] Fioretti di San Francesco, Beccari, Bernardino da Siena, Machiavelli, Della Casa, Cellini, Goldoni, Baretti, Alfieri, Leopardi [43!];
sopradetto: [382, il 90% di Ramusio] Compagni, Villani, Boccaccio, Pucci, Sacchetti, Serdini, Bernardino da Siena, Poliziano, Leonardo da Vinci, Boiardo, Guicciardini, Aretino, Vasari, Straparola, Ramusio, Grazzini, Erizzo, Bargagli, Costo, Garzoni, Sarpi, Galilei, Croce (G. C.), Marino, Bartoli, Vico, Baretti, Da Ponte;
soprannominato: [31] AA.VV. Il Conciliatore, Rovani, Boito, Collodi, De Amicis, Imbriani, Capuana, Giacosa, Tozzi, Pirandello, D’Annunzio;
sopranominato: [12] Villani, Ramusio, Sarpi, Barbieri, AA.VV. Il Conciliatore.
Quali conclusioni possiamo trarre da tutto ciò? Prima di tutto, ricordiamoci che fino al Cinquecento almeno, la grafia era molto oscillante – e alcune oscillazioni permangono a tutt’oggi. Se consideriamo un autore attentissimo a tutti gli aspetti linguistici come Giacomo Leopardi, vediamo che usa costantemente sopraddetto, mentre scrive sopracitato: forse una voluta deroga, per dispetto contro l’Accademia della Crusca, nel cui vocabolario il Salviati introdusse le forme raddoppiate?
La mia conclusione sarebbe che sopra, per uniformità di scrittura e di pronunzia, dovrebbe sempre cogeminare (questi composti, anche quando sopra è avverbio, sono un tutt’uno, non c’è fra avverbio e participio alcuna pausa, né dislivello tonale). E l’uniformità ortografica assicura una migliore padronanza e dello scritto e del parlato.