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				Inviato: sab, 03 set 2011 22:26
				di Luca86
				Riguardo agli aglicismi non adattati, ho trovato 
quest'intervista a Tullio De Mauro dal titolo 
Gli anglicismi? No problem, my dear.
 
			
					
				
				Inviato: sab, 03 dic 2011 12:17
				di Ferdinand Bardamu
				Non trovando miglior collocazione e non volendo aprire un nuovo filone, condivido con voi questa «perla» trovata nel 
Corriere della Sera di oggi. È una pubblicità: diciamo il peccato ma non il peccatore.
 
Ora, senza gridare il solito «dove andremo a finire, signora mia?» (sennò Bue mi punzecchia 

 ), mi chiedo a quale scopo si sia impiegato qui l’inglese. L’annuncio è a tutta pagina: non ci sono di certo problemi di spazio. Forse che «Non comprate questo giubbotto» sembrava provinciale? E allora, perché cominciare coll’inglese e proseguire coll’italiano? 

 
			
					
				
				Inviato: sab, 03 dic 2011 13:02
				di Andrea Russo
				Più che altro c'è chi l'inglese non lo sa, e quindi capisce solo mezza pubblicità, perdendosi addirittura la parte più importante. Rimango veramente basito.
			 
			
					
				
				Inviato: sab, 03 dic 2011 13:32
				di Luca86
				Per questo hanno inventato Google Traduttore. Ma la frase è talmente intuibile, che non ce n'è bisogno.
			 
			
					
				
				Inviato: sab, 03 dic 2011 13:56
				di Modna
				Non è detto che lo sia, per chi non parla una parola di inglese (non è un dovere conoscerlo). 
In ogni caso dover consultare Google Traduttore per poter comprendere appieno giornali e riviste in italiano...non mi pare un buon andazzo, no?
Se si tratta di una pubblicità, non fa molta differenza il giornale in questione, che si limita a ricevere i soldi dallo sponsóre. D'altra parte, se i giornali dovessero rifiutare tutte le pubblicità contenenti anglicismi andrebbero, purtroppo, in rovina.
			 
			
					
				
				Inviato: sab, 03 dic 2011 14:24
				di Ferdinand Bardamu
				Ha ragione, caro Luca, ma (1) la pubblicità, se non è immediatamente comprensibile, muore; (2) la frase, per quanto sia semplice semplice, è incomprensibile a chi non mastica l’inglese, come ha sottolineato Andrea. E, in Italia, a dispetto delle aspettative ottimistiche di chi ha ideato questa pubblicità, molti non sanno l’inglese, neanche a livello scolastico. 
Forse il messaggio è rivolto solo a una ristretta cerchia di persone, ma allora perché il bilinguismo? Piú sotto, l’annuncio prosegue con un lungo corpo descrittivo in italiano, in cui si fa appello al senso di responsabilità del lettore, potenziale cliente, affinché contribuisca a salvaguardare l’ambiente evitando acquisti inutili.
Si delinea il profilo d’un cliente sensibile ai temi ecologici, quindi, presumibilmente, istruito e capace di parlare un inglese almeno sufficiente. Sospetto, però, che, in definitiva, l’incongruenza linguistica sia stata posta non tanto per raggiungere un determinato destinatario, quanto per far parlare di sé (che è, del resto, l’unico obiettivo d’una pubblicità). E noi ne stiamo parlando. Non che questa sia una giustificazione plausibile, eh…
			 
			
					
				
				Inviato: sab, 03 dic 2011 14:35
				di u merlu rucà
				Mi sembra un evidente calco della frase: Don't Try This at Home, spesso usata nei programmi televisivi americani, rivolta in particolare ai bambini, per invitare a non ripetere le azioni pericolose proposte sullo schermo.
			 
			
					
				
				Inviato: sab, 03 dic 2011 15:00
				di Ferdinand Bardamu
				Uhm, dice? In effetti può essere, però non è cosí trasparente. Io conoscevo l’avvertimento «Don’t try this at home», penso di conoscere abbastanza l’inglese, eppure non l’ho associato alla frase pubblicitaria. Insomma, per me tanto evidente non è, tanto piú che l’immagine e il «paratesto» non aiutano a formulare questa interpretazione (
qui l’annuncio intero). Gli altri che ne pensano?
 
			
					
				
				Inviato: sab, 03 dic 2011 15:16
				di Modna
				Mi pare plausibile ipotizzare un ragionamento del genere nella creazione del motto inglese, per una pubblicità rivolta al pubblico inglese.
 
Personalmente, però, neanche io ho ravvisato spontaneamente questa associazione nella pubblicità italiana (e mi ritengo un buon parlante di inglese, certificati a parte)...non credo sia riscontrabile una "raffinatezza" analoga nella mancata traduzione da parte del pubblicitario italiano, quanto la solita miscela di prigrizia e complesso di inferiorità linguistica. Lo dimostra anche la conservazione del nome inglese dell'iniziativa, common threads initiative, assolutamente poco chiara anche a un discreto conoscitore della lingua angloamericana (anche se verrà, ovviamente, spiegata nel testo).
			 
			
					
				
				Inviato: sab, 03 dic 2011 15:27
				di Andrea Russo
				u merlu rucà ha scritto:Mi sembra un evidente calco della frase: Don't Try This at Home, spesso usata nei programmi televisivi americani, rivolta in particolare ai bambini, per invitare a non ripetere le azioni pericolose proposte sullo schermo.
Direi 
possibile, più che 
evidente. Come già hanno detto sia Modna sia Ferdinand neanch'io avevo notato la somiglianza, se di somiglianza si può parlare (non è che tutte le espressioni formate con "don't + aggettivo" sono un calco di 
Don't try this at home). 
A me sa di un banale esempio di psicologia inversa, anche se non mi spiego perché abbiano usato la lingua inglese. Anche se in questo caso interesse economico e lingua (italiana) andrebbero nella stessa direzione (pubblico più ampio possibile), si usa ugualmente l'inglese.  

 
			
					
				
				Inviato: sab, 03 dic 2011 15:52
				di Ferdinand Bardamu
				Siccome ho questo difetto della curiosità 

 , mi sono permesso di domandare all’addetto stampa per l’Italia (si tratta di un’azienda con sede negli Stati Uniti) se può risolvere questo dubbio.
Egregio ***,
mi chiamo *** e sono un frequentatore di Cruscate, un fòro dedicato alla lingua italiana. Nel Corriere della Sera di oggi, 3 dicembre 2011, a pagina 42, ho notato la vostra pubblicità, che reca la formula pubblicitaria «Don’t buy this jacket», seguíta da un sottotitolo e un corpo descrittivo in italiano.
Mi sono allora chiesto perché vi sia questo bilinguismo, quale ne sia lo scopo, e ho condiviso questa perplessità con gli altri partecipanti al fòro in questa discussione. Un utente ha avanzato l’ipotesi che si tratti di un’allusione all’avvertimento «Don’t try this at home», comune in certe trasmissioni televisive statunitensi. Personalmente, mi sembra poco plausibile; tuttavia, non saprei trovare altra spiegazione. Non si poteva dire, in maniera piú trasparente e immediatamente comprensibile, «Non comprate questo giubbotto»?
Le domando, quindi, uno schiarimento a tal proposito. La ringrazio in anticipo per la risposta che vorrà darmi.
Distinti saluti 
			
					
				
				Inviato: sab, 03 dic 2011 16:03
				di Andrea Russo
				Benissimo Ferdinand! 

  Ci faccia sapere subito che cosa le rispondono (
se le rispondono).
 
			
					
				
				Inviato: sab, 03 dic 2011 18:46
				di u merlu rucà
				Concordo con il 'possibile' usato da Andrea Russo. Ho scritto 'evidente' perché la pubblicità a me, al contrario di altri, ha portato subito alla mente l'avvertimento.
			 
			
					
				
				Inviato: sab, 03 dic 2011 19:01
				di Marco1971
				Andrea Russo ha scritto:...(non è che tutte le espressione formate con "don't + aggettivo" sono un calco di Don't try this at home).
Voleva dire 
don’t  + infinito. 

 
			
					
				
				Inviato: sab, 03 dic 2011 19:18
				di Andrea Russo
				Direi! Da dove ho preso "aggettivo" non lo so: forse stavo ancora pensando a 
evidente/
possibile. Anche se naturalmente la costruzione oggetto del mio 
lapsus può esistere. 
Visto che c'era poteva dirmi che ho scritto 
espressione invece di 
espressioni. 
