Piuttosto filtro [del] traffico [dati], ma non mi sembra utile, per gli stessi motivi di Marco.Decimo ha scritto:... che non riconfermo piú. Chiedo agli utenti: potrebbe andare per "firewall" il traducente filtro pacchetti (o filtro dati)?
«Firewall» e «Router»
Moderatore: Cruscanti
Re: « Firewall » e « Router »
Re: « Firewall » e « Router »
Eppure l'omogeneità terminologica tra lingue romanze non mi pare comporti gli stessi vantaggi della trasparenza e della tecnicità che offre filtro (però, come sembra, bisognerebbe discutere sulla specificazione... rilancio filtro dati). Anzi, azzarderei affermare che la comunione terminologica tra i sistemi neolatini non comporta nessun vantaggio in generale.Federico ha scritto:Piuttosto filtro [del] traffico [dati], ma non mi sembra utile, per gli stessi motivi di Marco.Decimo ha scritto:... che non riconfermo piú. Chiedo agli utenti: potrebbe andare per "firewall" il traducente filtro pacchetti (o filtro dati)?
Se è vero che le diverse storie linguistiche che contrappongono la sensibilità preservatrice degli accademici francesi e spagnoli all'esterofilia della nostra gente dovrebbero frenare il nostro eccessivo impulso di emulazione dei primi, ciò dovrebbe anche e soprattutto portarci ad analizzare un diverso sistema di approccio neologico con gli italiani.
È uno dei motivi per cui non mi trovate generalmente d'accordo sulla necessità dell'adattamento; sicuramente questò può anche avere un senso in spagnolo, ma ciò non implica automaticamente la validità del conio in italiano. Stesso discorso per il panlatinismo.
Io in questo sono con Nencioni e Sabatini: creare termini tecnico-scientifici autonomamente senza tener conto della terminologia delle lingue sorelle (o con esse non collaborando) equivale a isolare la nostra cultura dal resto del mondo. E non ricito i passi, già trascritti altrove in queste pagine, ma rimando alla trasmissione radiofonica La lingua italiana, questa sconosciuta, nella sezione Generale di questo foro.
Quanto al rifiuto dell’adattamento, è semplicemente un voler uccidere la lingua, privandola della sua intrinseca necessità di rinnovamento lessicale per farne uno strumento inerte, esanime e esangue, dal lemmario a numero chiuso per sempre.
Quanto al rifiuto dell’adattamento, è semplicemente un voler uccidere la lingua, privandola della sua intrinseca necessità di rinnovamento lessicale per farne uno strumento inerte, esanime e esangue, dal lemmario a numero chiuso per sempre.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Il panlatinismo non ha senso fuori della collaborazione. E questa collaborazione adesso, di fatto, non esiste. Dobbiamo perciò, piuttosto che riversare la nostra attenzione agli accademici di Francia e di Spagna, rivolgerci interamente alla categoria dei parlanti, degli italofoni.Marco1971 ha scritto:Io in questo sono con Nencioni e Sabatini: creare termini tecnico-scientifici autonomamente senza tener conto della terminologia delle lingue sorelle (o con esse non collaborando) equivale a isolare la nostra cultura dal resto del mondo. E non ricito i passi, già trascritti altrove in queste pagine, ma rimando alla trasmissione radiofonica La lingua italiana, questa sconosciuta, nella sezione Generale di questo foro.
Qui non si comprende come la creazione autonoma di alcuni termini tecnico-scientifici che abbiano l'enorme vantaggio della trasparenza per gli italiani non equivale a isolare la nostra cultura dal resto del mondo (altrimenti dovremmo creare un glossario unico e parificare il vocabolario medio dei parlanti europei a scapito dell'identità linguistica), ma anzi ha la funzione di scongiurare l'isolamento della classe degli esperti dalla gente comune.
Dall'altra parte, il continuo sbirciare di soluzioni dalle "lingue sorelle" per poi avvalersene come modelli di perfezione, sta significando (e probabilmente significherà, se mai avrà luogo una collaborazione ufficiale) affidare il monopolio neologico alle accademie francesi e spagnole; ed è di per sé un errore credere che le risposte di Francia e Spagna agli anglicismi possano esser sempre considerate valide anche nel sistema linguistico italiano, sviluppatosi su un terreno storico e sociale totalmente opposto.
A tal punto avremmo dovuto preferire inrottatore a instradatore per non rischiare di isolarci culturalmente da chi ha invece enrutador e routeur? Sinceramente lo trovo assurdo.
Piuttosto l'adattamento insistente è, a mio parere, un voler uccidere la lingua, dacché la si priva della sua intrinseca capacità di generazione lessicale; esso dovrebbe essere preso in considerazione solo in condizioni estreme. Con un esempio: meglio valorizzare pellicola ed elaboratore come sostituti possibili (e già esistenti col significato dei piú fortunati forestierismi equivalenti) ed evitarne l'estinzione, piuttosto che spingere per filme e computiere.Marco1971 ha scritto:Quanto al rifiuto dell’adattamento, è semplicemente un voler uccidere la lingua, privandola della sua intrinseca necessità di rinnovamento lessicale per farne uno strumento inerte, esanime e esangue, dal lemmario a numero chiuso per sempre.
A questo punto mi stupisco della critica all'aggettivo digitale. Saranno punti di vista...
Ora come ora non c’è un organismo coordinante, è vero, ma se non erro è in corso di allestimento. Rivolgerci agl’italofoni? In che modo? Quale aiuto e quale autorità possiamo attenderci da essi?Decimo ha scritto:Il panlatinismo non ha senso fuori della collaborazione. E questa collaborazione adesso, di fatto, non esiste. Dobbiamo perciò, piuttosto che riversare la nostra attenzione agli accademici di Francia e di Spagna, rivolgerci interamente alla categoria dei parlanti, degli italofoni.
Nel caso specifico di parafuoco/tagliafuoco abbiamo parole già esistenti, di cui si estende il significato, e che non intaccano l’identità linguistica; né siamo di fronte a parole semanticamente opache. Occorrerebbe definire, poi, cosa s’intende con identità linguistica.Decimo ha scritto:Qui non si comprende come la creazione autonoma di alcuni termini tecnico-scientifici che abbiano l'enorme vantaggio della trasparenza per gli italiani non equivale a isolare la nostra cultura dal resto del mondo (altrimenti dovremmo creare un glossario unico e parificare il vocabolario medio dei parlanti europei a scapito dell'identità linguistica), ma anzi ha la funzione di scongiurare l'isolamento della classe degli esperti dalla gente comune.
Se l’Italia non si muove, è lecito trarre insegnamento dalle commissioni ufficiali di neologia, composte d’esperti nel campo: non ci s’improvvisa onomaturghi. Ritengo utile a questo punto ricitare le parole di Giovanni Nencioni (La Crusca per voi, Firenze, Le Lettere, 1995, p. 187):Decimo ha scritto:Dall'altra parte, il continuo sbirciare di soluzioni dalle "lingue sorelle" per poi avvalersene come modelli di perfezione, sta significando (e probabilmente significherà, se mai avrà luogo una collaborazione ufficiale) affidare il monopolio neologico alle accademie francesi e spagnole; ed è di per sé un errore credere che le risposte di Francia e Spagna agli anglicismi possano esser sempre considerate valide anche nel sistema linguistico italiano, sviluppatosi su un terreno storico e sociale totalmente opposto.
I linguisti abilitati a tale provvido compito professionale sono ormai numerosi all’estero e si chiamano terminologi.
No, non si parla di adattare parole francesi o spagnole alla morfologia italiana, ma di mantenere una direzione comune: il francese route e lo spagnolo ruta significano strada. Né inrottatore né instradatore potrebbero isolarci, ma quando un termine italiano (instradatore) s’è affermato a tal punto da essere nei vocabolari con quel preciso significato, occorre accettarlo.Decimo ha scritto:A tal punto avremmo dovuto preferire inrottatore a instradatore per non rischiare di isolarci culturalmente da chi ha invece enrutador e routeur? Sinceramente lo trovo assurdo.
Non ho mai detto che si debba obbligatoriamente e sempre adattare (e questo lei lo sa bene, visto che ha letto le mie lettere e i miei articoli). Ho sempre sostenuto che si dovrebbe ricorrere all’adattamento (se è possibile adattarlo) quando falliscono risemantizzazione e neoformazione, e quando il termine ha circolazione in tutte le lingue (a ogni modo anche procedendo per adattamento non si uccide affatto la lingua, dal momento che, al contrario, essa si va arricchendo di materiale lessicale conforme alle sue strutture). Bisogna anche considerare il registro: parole come pellicola e elaboratore vanno bene in contesti formali, essenzialmente scritti; piú difficile usarli nel parlato quotidiano senz’apparire affettati: «Stasera vado al cinema a vedere una pellicola» o «Mi sono comprato un nuovo elaboratore», forse sbaglio, ma nove volte su dieci saranno percepiti, parlando, come errori di stile.Decimo ha scritto:Piuttosto l'adattamento insistente è, a mio parere, un voler uccidere la lingua, dacché la si priva della sua intriseca capacità di generazione lessicale; esso dovrebbe essere preso in considerazione solo in condizioni estreme. Con un esempio: meglio valorizzare pellicola ed elaboratore come sostituti possibili (e già esistenti col significato dei piú fortunati forestierismi equivalenti) ed evitarne l'estinzione, piuttosto che spingere per filme e computiere.
Evidentemente, nonostante il mio leggendario ripetermi, non s’è ancora capito che nel caso di digitale s’introduce un’incongruenza semantica nel sistema lessicale dell’italiano. Ma questo l’ho già spiegato, sicché fo punto.Decimo ha scritto:A questo punto mi stupisco della critica all'aggettivo digitale. Saranno punti di vista...
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
E invece "Mi sono comprato un nuovo computiere" sara` percepito 54 999 000 volte su 55 000 000 come una bislacca affettazione fuori dal mondo [stimando a mille il numero di italiani che conoscono e apprezzano il conio castellaniano], mentre "Stasera vado al cinema a vedere un filme" sara` percepito come 1) una parlata centromeridionale una volta su tre (ossia dai parlanti del nord) se pronunciato 2) come un errore di ortografia 999 volte su 1000, se scritto.Marco1971 ha scritto: piú difficile usarli nel parlato quotidiano senz’apparire affettati: «Stasera vado al cinema a vedere una pellicola» o «Mi sono comprato un nuovo elaboratore», forse sbaglio, ma nove volte su dieci saranno percepiti, parlando, come errori di stile.
Ma non si era detto che della percezione altrui occorre infischiarsene? Si abitueranno, no?
Ti ci vorrà di tempo per verificare questa statistica...Bue ha scritto: E invece "Mi sono comprato un nuovo computiere" sara` percepito 54 999 000 volte su 55 000 000 come una bislacca affettazione fuori dal mondo [stimando a mille il numero di italiani che conoscono e apprezzano il conio castellaniano]...

Ma non quando si tratta di scegliere tra due termini italiani.Bue ha scritto:Ma non si era detto che della percezione altrui occorre infischiarsene? Si abitueranno, no?
La tua obiezione è debole in questo contesto...

La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
V. M. Illič-Svitič
Per questo motivo credo che possa esser fecondo ricercare un diverso sistema di approccio neologico con gli italiani, avanzando proposte di sostituzione che possano soddisfare i gusti o i criteri degli esperti dei vari settori. Adesso occorre delicatezza, perché la nostra causa sia abbracciata anche da chi propina oggi giorno questo fiume di forestierismi.Marco1971 ha scritto:Ora come ora non c’è un organismo coordinante, è vero, ma se non erro è in corso di allestimento. Rivolgerci agl’italofoni? In che modo? Quale aiuto e quale autorità possiamo attenderci da essi?
Quando, in futuro, sorgerà un organismo coordinante sarà tutt'un altro discorso: purché traducenti comuni non comportino il dissolvimento delle identità linguistiche nel mare del panlatinismo e l'inibizione delle capacità autogenerative dei singoli idiomi.
Marco1971 ha scritto:Nel caso specifico di parafuoco/tagliafuoco abbiamo parole già esistenti, di cui si estende il significato, e che non intaccano l’identità linguistica; né siamo di fronte a parole semanticamente opache.
Ma un'estensione non da poco: solo un organismo coordinante può permettersi di impartire questi balzi logici per sostituire termini già radicati nel vocabolario (non so se molti convideranno che parafuoco è da ritenersi parola semanticamente non oscura).Marco1971 ha scritto:Evidentemente, nonostante il mio leggendario ripetermi, non s’è ancora capito che nel caso di digitale s’introduce un’incongruenza semantica nel sistema lessicale dell’italiano.
Potremmo considerare anche digitale e realizzare (nel senso di accorgersi) come vocaboli esistenti di cui si estende il significato: e in questa categoria rientrebbe anche vertice (nel senso di incontro o conferenza), la cui incongruenza semantica nel sistema lessicale dell'italiano è palese. O no? Il balzo logico non è certo maggiore di quello che collega un parafuoco a un sistema di filtraggio dei pacchetti entranti e uscenti da una rete.
Come minimo ciò che impedisce che le differenze linguistiche si riducano alla sola diversità di pronuncia delle parole. Con un esempio: se poniamo l'ipotesi che il francesismo debutto scalzi definitivamente esordio annullando ogni possibilità di sinonimia, in ciò si dovrebbe vedere una sconfitta dell'identità linguistica dell'italiano.Marco1971 ha scritto:Occorrerebbe definire, poi, cosa s’intende con identità linguistica.
La nostra lingua poggia su basi storiche e sociali differenti da francese e spagnolo: perciò trovo completamente errato affermare che i linguisti francesi e spagnoli sono esperti nel campo della neologia in generale. I terminologi francesi sono esperti ristrettamente al francese, così gli spagnoli allo spagnolo. Ci vuole cautela, finché non avremo il nostro organismo coordinante.Marco1971 ha scritto:Se l’Italia non si muove, è lecito trarre insegnamento dalle commissioni ufficiali di neologia, composte d’esperti nel campo: non ci s’improvvisa onomaturghi.
Be', se a questo punto lei crede che sia possibile modificare il parlato quotidiano, commette un grosso errore. Non sarà nemmeno un organismo coordinante a far dire alla gente filme al posto di film. Solo nei contesti formali possiamo (e potrà) arginare l'afflusso di forestierismi, e solo da lì potremo aspettarci l'aumento dell'uso del traducente da parte dei parlanti.Marco1971 ha scritto:Bisogna anche considerare il registro: parole come pellicola e elaboratore vanno bene in contesti formali, essenzialmente scritti; piú difficile usarli nel parlato quotidiano senz’apparire affettati: «Stasera vado al cinema a vedere una pellicola» o «Mi sono comprato un nuovo elaboratore», forse sbaglio, ma nove volte su dieci saranno percepiti, parlando, come errori di stile.
Si rilegga tutta la discussione del firewall, per cortesia. Io qui non mi ripeto.Decimo ha scritto:Ma un'estensione non da poco: solo un organismo coordinante può permettersi di impartire questi balzi logici per sostituire termini già radicati nel vocabolario (non so se molti convideranno che parafuoco è da ritenersi parola semanticamente non oscura).
Ma no: realizzare nel senso di ‘rendersi conto’ non è in stridente contrasto coll’aggettivo reale e significa, insomma, ‘rendere reale qualcosa nella mente in modo da vederla e capirla’; e vertice (abbreviazione di conferenza al vertice) è calco semantico di summit conference (come grattacielo da skyscraper, ecc.). Digitale (‘che si riferisce alle dita’), invece, non va bene perché questo derivato presuppone un inesistente dito nel senso di ‘numero, cifra’ (che è il senso di digit in inglese); ragion per cui è consigliabile attenersi a numerico, numerizzare, numerizzazione.Decimo ha scritto:Potremmo considerare anche digitale e realizzare (nel senso di accorgersi) come vocaboli esistenti di cui si estende il significato: e in questa categoria rientrebbe anche vertice (nel senso di incontro o conferenza), la cui incongruenza semantica nel sistema lessicale dell'italiano è palese. O no? Il balzo logico non è certo maggiore di quello che collega un parafuoco a un sistema di filtraggio dei pacchetti entranti e uscenti da una rete.
Quello di cui lei parla qui è il rapporto affettivo che ognuno ha colle parole di lunga data, non certo del vero significato di identità linguistica. A ogni modo debutto e esordio non sono parole tecnico-scientifiche (di raro impiego nel linguaggio corrente) e non rientrano pertanto nel discorso che qui facciamo.Decimo ha scritto:Come minimo ciò che impedisce che le differenze linguistiche si riducano alla sola diversità di pronuncia delle parole. Con un esempio: se poniamo l'ipotesi che il francesismo debutto scalzi definitivamente esordio annullando ogni possibilità di sinonimia, in ciò si dovrebbe vedere una sconfitta dell'identità linguistica dell'italiano.
L’italiano è una lingua neolatina, non ugro-finnica o orientale. Poi affermazioni cosí generiche andrebbero dimostrate con fatti storici precisi e un’approfondita analisi socio- e psicolinguistica, che probabilmente rivelerebbero poche differenze, e minori.Decimo ha scritto:La nostra lingua poggia su basi storiche e sociali differenti da francese e spagnolo...
Dove ho detto questo? (Ricordo che filme è registrato e ne parla anche Luca Serianni nella sua grammatica, III.132.c.)Decimo ha scritto:Be', se a questo punto lei crede che sia possibile modificare il parlato quotidiano, commette un grosso errore. Non sarà nemmeno un organismo coordinante a far dire alla gente filme al posto di film.
È quello che ho sempre sostenuto.Decimo ha scritto:Solo nei contesti formali possiamo (e potrà) arginare l'afflusso di forestierismi, e solo da lì potremo aspettarci l'aumento dell'uso del traducente da parte dei parlanti.
Intanto ognuno chiami il parafuoco come preferisce.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Quindi per digitale non si può parlare di estensione semantica... (Ma si potrebbe dire: be', non è in stridente contrasto con dito, perché con le dita si contan le cifre...). E poi, per favore, per una volta che un vocabolo ha la forma italiana... Mi sembra come per fine settimana e intredima.Marco1971 ha scritto:Ma no: realizzare nel senso di ‘rendersi conto’ non è in stridente contrasto coll’aggettivo reale e significa, insomma, ‘rendere reale qualcosa nella mente in modo da vederla e capirla’. [...] Digitale (‘che si riferisce alle dita’), invece, non va bene perché questo derivato presuppone un inesistente dito nel senso di ‘numero, cifra’ (che è il senso di digit in inglese); ragion per cui è consigliabile attenersi a numerico, numerizzare, numerizzazione.
Ebbene, non capisco allora come possano le differenze nella terminologia scientifica tra i vari sistemi romanzi isolarci addirittura dal mondo. Anzi, paradossalmente possiamo dirci meno isolati dei francesi e degli spagnoli in quanto abbiamo assorbito passivamente i tecnicismi da una lingua globalmente studiata come l'inglese!Marco1971 ha scritto:Quello di cui lei parla qui è il rapporto affettivo che ognuno ha colle parole di lunga data, non certo del vero significato di identità linguistica. A ogni modo debutto e esordio non sono parole tecnico-scientifiche (di raro impiego nel linguaggio corrente) e non rientrano pertanto nel discorso che qui facciamo.
Ribadisco che, secondo il mio parere, il panlatinismo non reca alcun vantaggio e non possiamo considerarlo criterio per i traducenti. Quando vi sarà l'organismo coordinante sottostaremo alle sue decisioni; fino ad allora tutto questo scimmiottare non farà che irritare i moderati sensibili al problema linguistico.
Non mi pare di aver detto che appartengono a diversi gruppi linguistici.Marco1971 ha scritto:L’italiano è una lingua neolatina, non ugro-finnica o orientale. Poi affermazioni cosí generiche andrebbero dimostrate con fatti storici precisi e un’approfondita analisi socio- e psicolinguistica, che probabilmente rivelerebbero poche differenze, e minori.
Fatti storici precisi? Ne basterebbe uno solo: la contrapposizione tra nazioni fortemente identitarie, come Francia e Spagna, già forti monarchie nazionali dal '400, e il grottesco campanilismo e la sostanziale indifferenza per la lingua di un'Italia frammentata fino al diciannovesimo secolo.
Poche, minori differenze? La nostra sezione Forestierismi è di per sé testimone d'eccellenza di queste differenze.
Cosa voleva dire esattamente con "bisogna anche considerare il registro" e "piú difficile usarli nel parlato quotidiano senz’apparire affettati"?Marco1971 ha scritto:Dove ho detto questo? (Ricordo che filme è registrato e ne parla anche Luca Serianni nella sua grammatica, III.132.c.)Decimo ha scritto:Be', se a questo punto lei crede che sia possibile modificare il parlato quotidiano, commette un grosso errore. Non sarà nemmeno un organismo coordinante a far dire alla gente filme al posto di film.
Dunque il suo esempio sulla difficoltà dei parlanti nell'assorbire nel vocabolario medio parole come pellicola ed elaboratore è totalmente infecondo e non pertinente.Marco1971 ha scritto:È quello che ho sempre sostenuto.Decimo ha scritto:Solo nei contesti formali possiamo (e potrà) arginare l'afflusso di forestierismi, e solo da lì potremo aspettarci l'aumento dell'uso del traducente da parte dei parlanti.
E se l’organo supremo decreterà che s’ha a dire parafuoco o tagliafuoco tutto questo cesserà, come per incantesimo, d’essere scimmiottamento. Un po’ come, appena entrato nel dizionario, un termine si spoglia d’ogni stranezza, anche se forestiero o foggiato male; basta che sia tra quelle pagine (e flessicurezza sarebbe proprio scimmiottamento di flexicurity).Decimo ha scritto:Quando vi sarà l'organismo coordinante sottostaremo alle sue decisioni; fino ad allora tutto questo scimmiottare non farà che irritare i moderati sensibili al problema linguistico.
Partendo da simile schematizzazione, è allora vano ogni tentativo, e né le mie né le sue né le proposte di chicchessia avrebbero successo; e vano sarebbe lo stesso discorrerne. Ma lei non intende certo assumere posizioni cosí drasticamente pessimistiche.Decimo ha scritto:Fatti storici precisi? Ne basterebbe uno solo: la contrapposizione tra nazioni fortemente identitarie, come Francia e Spagna, già forti monarchie nazionali dal '400, e il grottesco campanilismo e la sostanziale indifferenza per la lingua di un'Italia frammentata fino al diciannovesimo secolo.
Che le parole già esistenti, per forza d’uso, hanno acquisito un certo registro nella lingua, difficilmente modificabile, e che quelle nuove non ne hanno ancora uno.Decimo ha scritto:Cosa voleva dire esattamente con "bisogna anche considerare il registro" e "piú difficile usarli nel parlato quotidiano senz’apparire affettati"?
Invece è ampiamente fecondo e pertinente proprio perché procede dal vaglio accurato dei dati in nostro possesso, e non da sentimenti personali.Decimo ha scritto:Dunque il suo esempio sulla difficoltà dei parlanti nell'assorbire nel vocabolario medio parole come pellicola ed elaboratore è totalmente infecondo e non pertinente.
Ora lascio che chi vorrà risponda al suo prossimo intervento. Per quanto mi riguarda, non ho piú nulla da aggiungere su quest’argomento.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Un’ultima cosa, sempre senza sentimenti personali, ma osservando:
Il sistema di parafuoco interamente parametrabile dall’utilizzatore impedisce ogni tipo di intrusione nella rete ed è rinforzato dai filtraggi sul contenuto, dagli indirizzi MAC e dal bloccaggio d'URLs.
Il criptaggio WEP e WPA garantisce la sicurezza della rete senza fili. (fonte)
E anche Wikipedia menziona parafuoco e tagliafuoco.
Saranno termini che «non funzionano» in italiano, solo perché si usano in altri paesi vicini.
P.S. Nonostante alcuni anglicismi, il primo collegamento segnalato usa anche rete senza fili.
Il sistema di parafuoco interamente parametrabile dall’utilizzatore impedisce ogni tipo di intrusione nella rete ed è rinforzato dai filtraggi sul contenuto, dagli indirizzi MAC e dal bloccaggio d'URLs.
Il criptaggio WEP e WPA garantisce la sicurezza della rete senza fili. (fonte)
E anche Wikipedia menziona parafuoco e tagliafuoco.
Saranno termini che «non funzionano» in italiano, solo perché si usano in altri paesi vicini.
P.S. Nonostante alcuni anglicismi, il primo collegamento segnalato usa anche rete senza fili.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Ma anche in inglese digit può significare dito. Se questa risemantizzazione è successa in inglese, non capisco perché lo stesso non possa succedere in italiano. Le dita poi si usano anche per contare.Digitale (‘che si riferisce alle dita’), invece, non va bene perché questo derivato presuppone un inesistente dito nel senso di ‘numero, cifra’ (che è il senso di digit in inglese); ragion per cui è consigliabile attenersi a numerico, numerizzare, numerizzazione.
Con ciò non dico che appartengo al gruppo degli amanti dei forestierismi, che non è il caso, ho solo voluto aggiungere questo fatto. Io la penso (e l'ho sempre pensata) come Marco.
Brazilian dude
In italiano, dito può anche significare un’unità di misura, ma giammai ‘numero, cifra’: Her telephone number differs from mine by one digit non si può rendere con Il suo numero di telefono differisce dal mio per un *dito, ma per un numero.
Il passaggio s’è avuto in inglese, per il fatto che si conta sulle dita, ma non in italiano né – oso presumere senza controllare – in portoghese e in spagnolo.
P.S. Vedo nel Battaglia che in antico, nel linguaggio della matematica, dito si usava per indicare un numero inferiore a dieci. Ma rimane un’accezione arcaica, e nessuno oggi lo userebbe.
Il passaggio s’è avuto in inglese, per il fatto che si conta sulle dita, ma non in italiano né – oso presumere senza controllare – in portoghese e in spagnolo.
P.S. Vedo nel Battaglia che in antico, nel linguaggio della matematica, dito si usava per indicare un numero inferiore a dieci. Ma rimane un’accezione arcaica, e nessuno oggi lo userebbe.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Esattamente, ma, ripeto, fino a che quest'organismo non coordinerà la lingua stabilendo quali siano i traducenti ai forestierismi, abbiamo da essere cauti nelle proposte se speriamo di ottenere un numero sempre maggiore di aderenti alla nostra causa.Marco1971 ha scritto:E se l’organo supremo decreterà che s’ha a dire parafuoco o tagliafuoco tutto questo cesserà, come per incantesimo…
Ha reso vano ogni tentativo, questa è la realtà. Perciò bisognerebbe escogitare un nuovo approccio coi parlanti.Marco1971 ha scritto:Partendo da simile schematizzazione, è allora vano ogni tentativo, e né le mie né le sue né le proposte di chicchessia avrebbero successo; e vano sarebbe lo stesso discorrerne.
Utilizzare e badante appartenevano al registro burocratico, e forse anche simpatico in precedenza non aveva proprio una connotazione informale... Perciò non sono affatto d'accordo con questa pretesa di stabilire l'immutabilità del registro di una parola.Marco1971 ha scritto:Che le parole già esistenti, per forza d’uso, hanno acquisito un certo registro nella lingua, difficilmente modificabile, e che quelle nuove non ne hanno ancora uno. Invece è ampiamente fecondo e pertinente proprio perché procede dal vaglio accurato dei dati in nostro possesso, e non da sentimenti personali.
Inoltre un vaglio accurato dei dati in nostro possesso ci dimostrerebbe che ci sono meno persone che dicono filme e computiere (registrati, dunque non parole nuove) che quelle che dicono pellicola ed elaboratore. Ribadisco che i criteri per i quali, secondo lei, queste due parole non possono entrare anche nel parlato comune (mentre, al contrario, parafuoco potrebbe...) sono del tutto gratuiti.
In conclusione: la fonte che cita è certamente influenzata da Wikipedia, in cui i traducenti parafuoco e tagliafuoco sono frutto del lavoro del nostro Federico, che, ipoteticamente, avrebbe potuto inserire in corsivo un'altra proposta se, a suo tempo, fosse stato bocciato nel sondaggio parafuoco.
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