Decimo ha scritto:Il panlatinismo non ha senso fuori della collaborazione. E questa collaborazione adesso, di fatto, non esiste. Dobbiamo perciò, piuttosto che riversare la nostra attenzione agli accademici di Francia e di Spagna, rivolgerci interamente alla categoria dei parlanti, degli italofoni.
Ora come ora non c’è un organismo coordinante, è vero, ma se non erro è in corso di allestimento. Rivolgerci agl’italofoni? In che modo? Quale aiuto e quale autorità possiamo attenderci da essi?
Decimo ha scritto:Qui non si comprende come la creazione autonoma di alcuni termini tecnico-scientifici che abbiano l'enorme vantaggio della trasparenza per gli italiani non equivale a isolare la nostra cultura dal resto del mondo (altrimenti dovremmo creare un glossario unico e parificare il vocabolario medio dei parlanti europei a scapito dell'identità linguistica), ma anzi ha la funzione di scongiurare l'isolamento della classe degli esperti dalla gente comune.
Nel caso specifico di
parafuoco/tagliafuoco abbiamo parole già esistenti, di cui si estende il significato, e che non intaccano l’identità linguistica; né siamo di fronte a parole semanticamente opache. Occorrerebbe definire, poi, cosa s’intende con
identità linguistica.
Decimo ha scritto:Dall'altra parte, il continuo sbirciare di soluzioni dalle "lingue sorelle" per poi avvalersene come modelli di perfezione, sta significando (e probabilmente significherà, se mai avrà luogo una collaborazione ufficiale) affidare il monopolio neologico alle accademie francesi e spagnole; ed è di per sé un errore credere che le risposte di Francia e Spagna agli anglicismi possano esser sempre considerate valide anche nel sistema linguistico italiano, sviluppatosi su un terreno storico e sociale totalmente opposto.
Se l’Italia non si muove, è lecito trarre insegnamento dalle commissioni ufficiali di neologia, composte d’esperti nel campo: non ci s’improvvisa onomaturghi. Ritengo utile a questo punto ricitare le parole di Giovanni Nencioni (
La Crusca per voi, Firenze, Le Lettere, 1995, p. 187):
I linguisti abilitati a tale provvido compito professionale sono ormai numerosi all’estero e si chiamano terminologi.
Decimo ha scritto:A tal punto avremmo dovuto preferire inrottatore a instradatore per non rischiare di isolarci culturalmente da chi ha invece enrutador e routeur? Sinceramente lo trovo assurdo.
No, non si parla di adattare parole francesi o spagnole alla morfologia italiana, ma di mantenere una direzione comune: il francese
route e lo spagnolo
ruta significano
strada. Né
inrottatore né
instradatore potrebbero isolarci, ma quando un termine italiano (
instradatore) s’è affermato a tal punto da essere nei vocabolari con quel preciso significato, occorre accettarlo.
Decimo ha scritto:Piuttosto l'adattamento insistente è, a mio parere, un voler uccidere la lingua, dacché la si priva della sua intriseca capacità di generazione lessicale; esso dovrebbe essere preso in considerazione solo in condizioni estreme. Con un esempio: meglio valorizzare pellicola ed elaboratore come sostituti possibili (e già esistenti col significato dei piú fortunati forestierismi equivalenti) ed evitarne l'estinzione, piuttosto che spingere per filme e computiere.
Non ho mai detto che si debba obbligatoriamente e sempre adattare (e questo lei lo sa bene, visto che ha letto le mie lettere e i miei articoli). Ho sempre sostenuto che si dovrebbe ricorrere all’adattamento (se è possibile adattarlo) quando falliscono risemantizzazione e neoformazione, e quando il termine ha circolazione in tutte le lingue (a ogni modo anche procedendo per adattamento non si uccide affatto la lingua, dal momento che, al contrario, essa si va arricchendo di materiale lessicale conforme alle sue strutture). Bisogna anche considerare il registro: parole come
pellicola e
elaboratore vanno bene in contesti formali, essenzialmente scritti; piú difficile usarli nel parlato quotidiano senz’apparire affettati: «Stasera vado al cinema a vedere una pellicola» o «Mi sono comprato un nuovo elaboratore», forse sbaglio, ma nove volte su dieci saranno percepiti, parlando, come errori di stile.
Decimo ha scritto:A questo punto mi stupisco della critica all'aggettivo digitale. Saranno punti di vista...
Evidentemente, nonostante il mio leggendario ripetermi, non s’è ancora capito che nel caso di
digitale s’introduce un’incongruenza semantica nel sistema lessicale dell’italiano. Ma questo l’ho già spiegato, sicché fo punto.