Ovviamente, non ci sono segni incontrovertibili di nulla... Tuttavia, si può ricordare, con il principe di Salina, che il "sempre" umano non va oltre uno o due secoli al massimo. In ogni caso, il sistema anglo-americano mostra parecchi cedimenti (sul piano politico, forse non ci sarebbe tanto da gioire...), fra la non capacità di risolvere la questione medioorientale e la non competitività con la spregiudicata economia della Repubblica Popolare (che di popolare, peraltro, ha solo il nome). Certo, sul piano linguistico la situazione è diversa, ma è verosimile che, con l'arretrare di un'egemonia, e l'avanzare di un'altra, le cose cambino anche dal punto di vista dei vocabolari. E certo, il
windsurf resterà nei dizionari, a testimonianza di un'età di indebolimento linguistico (non necessariamente di un indebolimento linguistico in assoluto). Magari, per l'epoca in cui sarà caduto in disuso, se mai avverrà, sarà invalsa una perifrasi, tipo "tavola a vela". O forse, più semplicemente, sarà invalso il sano atteggiamento di non essere sempre del tutto supini a tutte le mode e le egemonie di passaggio (e magari ci sarà un pizzico di decenza e democrazia linguistica in più, il che non guasta mai).
Del resto, il progresso non è un processo oggettivo, e l'evoluzione non ha, nemmeno per le lingue, teleologie assolute, ma avanza spesso secondo una linea di minor resistenza, purtroppo.
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P. s. (un p. s. alquanto lungo): ho fatto l'esempio del cinese tanto per dirne una. Se invece l'Unione Europea si decidesse a diventare una Confederazione un po' meno lasca, è verosimile che la dialettica fra l'inglese e le lingue nazionali si complessifichi, dando luogo a situazioni di difficile previsione.
Alcuni scenari possibili (-e mi rendo conto che mi si potrebbe accusare facilmente di contraddittorietà argomentativa -ma qui sto prospettando ipotesi assai eterodosse e alternative: siamo a un passo dalla fantascienza linguistica, dunque tutto quello che dirò prendetelo col beneficio del dubbio, e se siete di stomaco delicato, o impressionabili, lasciate la sala di proiezione, siori

):
1) prevalere di altre lingue in Europa, per quanto sia improbabile: il tedesco sarebbe il candidato più adatto, non fosse altro che per la maggior popolazione della Germania e per il fatto che, come lingua, ha una certa influenza nelle nazioni dell'Europa orientale -tuttavia sarebbe un'evoluzione di poco momento, perché le aree di lingua germanica sono alquanto anglizzate e fonotatticamente "spiacevoli" per il purismo strutturale dell'italiano;
2) osmosi fra inglese e lingue nazionali, con varii livelli di creolizzazione (sinistramente, il più probabile), usando degli indicatori da logica
fuzzy (mi si passi l'anglismo tecnico, che in fondo finisce in vocale), potremmo dire che l'Irlanda e l'Inghilterra avrebbero un indice di anglizzazione pari a 1, mentre le regioni attigue al Mare del Nord, sarebbero a un livello di anglizzazione pari a 0,9, con una perifericizzazione delle lingue locali, che tenderebbero in ogni caso a semplificarsi moltissimo per l'influsso di superstrato; in Germania si avrebbe una situazione intermendia, con una certa resistenza all'anglicizzazione, i cui indici sfumerebbero rapidamente scendendo verso il confine renano e alpino; le lingue e i dialetti dell'Italia, della Francia e della Spagna (segnatamente le parlate di queste ultime due nazioni) resisterebbero sul piano del materiale linguistico, ma potrebbero subire modifiche e semplificazioni massive della grammatica, sempre per l'influsso di superstrato (perdita del congiuntivo, semplificazione degli accordi nei tempi composti, e altre amenità). Molto verosimilmente, le diverse lingue europee subirebbero comunque una creolizzazione molto forte negli ambiti semantici del linguaggio tecnico-scientifico (almeno finché la ricerca anglo-americana regge: si tenga presente che i settori di punta dell'innovazione si spostano verso Cina e India), e ciò sarà particolarmente vero per i Paesi (come l'Italia) in cui l'innovazione tecnica è debole. Alla fine del processo, l'inglese europeo diverrebbe una sorta di diasistema, con alla periferia la massima conservazione del materiale linguistico locale, pur su una struttura morfosintattica in tutto o in parte anglizzata, e al centro la forma normale dell'inglese britannico (il tutto tenendo presente che le diverse nazioni mostrerebbero per lungo tempo un formale bilinguismo pratico e istituzionale).
3) Uno scenario alternativo, non del tutto improbabile, intermedio sia nel tempo sia nella qualità dei fenomeni di ibridazione, è quello che vedrà il sovrapporsi di influssi settoriali di varie lingue, a partire dai settori trainanti delle varie economie europee e dei vari settori di ricerca, per non parlare di influssi provenienti dalla moda e dallo spettacolo.
4) A questo intrico di situazioni si dovrebbe aggiungere, da un lato, l'emergere dei localismi regionali (si pensi a che cosa potrebbe venir fuori dallo sdoganamento parziale del dialetto incrociato con il forestierismo), dall'altro l'influsso delle lingue dell'Europa orientale (il russo ad esempio) e delle lingue degli immigrati. Consideriamo in più che in questo crogiuolo fenomeni letterari, mediatici e di spettacolarizzazione che cavalchino l'onda dell'ibridismo linguistico, potrebbero avere un fortissimo peso. In tale contesto, lingue nazionali (erose) e inglese (eroso) sarebbero punti di riferimento relativi.
5) Una situazione curiosa potrebbe venir fuori se, nell'area neolatina e nell'area germanica, nascessero due vernacoli comuni alla cinese, delle lingue franche ibride... Ma a questo punto mi fermo, prima che l'intervento prenda definitivamente l'aspetto di un racconto a metà fra lo stile di un Isaac Asimov e di uno Stephen King della linguistica.
I sistemi fonologici (ma a questo punto anche morfosintattici) che potrebbero ingenerarsi e operare nell'italiano (e nelle varie lingue nazionali) renderebbero col tempo lo
status linguistico nazionale difficile da descrivere in modo univoco, problematicizzando il ruolo delle grammatiche normative...