Come tradurre «guardrail»?
Inviato: ven, 19 gen 2007 23:11
Dato che in effetti è stato Bruno Migliorini ad avviare la discussione su guardrail, penso che dovremmo lasciare a lui l'ultima parola.

In Lingua nostra, XXIV, 1963, Bruno Migliorini ha scritto:
LINGUA E DIRITTO
COME TRADURRE GUARDRAIL?
Nel Corriere della Sera del 25 marzo 1961 pubblicavo la noterella che qui trascrivo:
GUARDRAIL-GUARDASTRADA. — La parola guardrail, che già esisteva da un pezzo in inglese con significati esclusivamente tecnici (specie quello di “controrotaia”, cioè “rotaia di protezione”, il pezzo di verga ferroviaria collocata all’interno delle rotaie in punti dove un deragliamento sarebbe facile) è rimasta ignota in Italia, finche non ci è giunta con il nuovo significato estensivo di barriera di metallo o di materia plastica collocata in punti difficili delle strade e specialmente delle autostrade per evitare ai veicoli di uscire dalla carreggiata.
Come rendere il termine in italiano? Barriera di protezione è troppo lungo, e può indicare anche altri tipi di difesa. Si potrebbe forse ricorrere a un composto di para, visto che queste moderne barriere sostituiscono in qualche modo i vecchi pericolosi paracarri, ma parabordo stradale, come qualcuno ha detto, è assai discutibile (non solo per la lunghezza dell’espressione, ma perché bordo va possibilmente riservato all’uso marittimo). Lasceremo all’uso commerciale l’orrendo sicurvia, composto in oltraggio alle regole dei composti (tanto più che, se non erro, si tratta di un marchio, cioè di un termine “privato”, che non può essere accolto nell’uso con valore generico).
Mi pare che guardastrada risponda bene a tutti i requisiti, e che la somiglianza del primo elemento con la parola straniera da sostituire, agevoli il passaggio dall’uno all’altro termine. Qualcuno potrebbe trovar da ridire sul fatto che i guardrails non “proteggono la strada”, ma impediscono alle macchine di uscirne: ma che non si debba sottilizzare a questo riguardo lo sosteneva già il Manzoni nel Sentir messa, proprio difendendo un altro composto con guarda, e cioè guardamacchie, contro il Monti che avrebbe voluto sostituirlo con guardagrilletto, per indicare quel pezzo metallico che nelle armi da fuoco portatili tien riparato il grilletto. Comunque, il coltello per il manico ce l’hanno i tecnici della strada: se essi vorranno accogliere il suggerimento, la parola farà presto ad attecchire.
Successivamente, nel numero del 5 maggio 1961, continuavo il discorso con le parole seguenti:
GUARDASTRADA, GUARDAVIA. — Alcuni lettori hanno voluto comunicarmi riflessioni e notizie intorno alla mia proposta di chiamare guardastrada quei ripari di cemento, di metallo ecc. che parecchi chiamano col termine inglese di guardrails. La proposta di chiamarli, invece, ringhierette devo confessare che non mi persuade: abbiamo bisogno di un preciso termine tecnico, mentre ringhieretta fa pensare a un riparo occasionale, un piccolo parapetto di ferro o qualcosa di simile. Non dico che non ci si porrebbe abituare: ma mi par molto difficile che i tecnici della strada l’accettino.
Sono lieto di apprendere, e di far conoscere ai lettori una notizia comunicatami dalla SCAC, la ditta produttrice, fra l’altro, di quei pali di cemento armato che dal suo nome sono stati chiamati scàccoli (il Panzini aveva registrato questo vocabolo in una sua scheda, che fu da me inserita nell’ottava edizione, postuma, del Dizionario moderno). La SCAC, dopo aver esaminati i possibili nomi del nuovo manufatto. è giunta già un paio di anni fa alla conclusione di chiamarlo guardavia, e l’ha messo in commercio con questo nome. Poiché strada e via non presentano in questo caso sensibili differenze (io avevo pensato al Codice della strada), è giusto riconoscere la priorità del termine guardavia, e raccomandarne l’uso.
Ma avevo trascurato allora un elemento importante, cioè che la ditta SCAC aveva chiesto che il termine guardavia fosse dichiarato marchio ad essa riservato: infatti recenti comunicati della medesima ditta avvertono che l’uso di guardavia è “coperto dal marchio n. 148367, depositato dalla società SCAC in data 21 febbraio 1959”.
Avrei dovuto dunque, invece, avvertirne i lettori e sconsigliare chi non avesse voluto avere fastidi dall’usare guardavia, mantenendo la mia proposta di guardastrada. Inoltre non avrei incluso il termine nella mia recente raccolta di Parole nuove senza dire che è un marchio.
Ora, un affezionato lettore di Lingua nostra, l’ing. Rinaldo Orengo, domanda alla rivista se davvero il marchio è da considerare valido. “È lecito — egli dice — chiedere (e ottenere) di usare in esclusiva quello che è da considerare come appartenente alla lingua di tutti?».
Questioni simili, com’è noto, sono state ogni tanto dibattute da tribunali d’ogni grado. Mentre, p.es., l’Ufficio brevetti inglese è estremamente rigoroso nel concedere il diritto a usare un marchio, in Italia l’esame è piuttosto superficiale o non esiste affatto (come per il requisito della novità), e la registrazione è concessa per vent’anni ed è rinnovabile. Si spiega perciò come il successivo vaglio dell’autorità giudiziaria, raro in Gran Bretagna, sia invece piuttosto frequente in Italia.
Consultiamo La teoria giuridica dell’azienda di un giurista competentissimo, Francesco Ferrara junior (Firenze 1949), e troveremo (p. 199) un lungo elenco di sentenze in vari gradi di giurisdizione, che hanno negato la validità di marchi perché non avevano capacità distintiva, cioè erano costituiti da denominazioni generiche ovvero indicazioni descrittive: cedrata, mandarinetto, saponina, filofort, superpasta, ecc. È stata dunque negata la validità non solo di parole che già erano state prima adoperate liberamente, ma, ciò che è anche più importante, “il principio è stato riaffermato dalla giurisprudenza per la parola termoconvettore per apparecchi costruiti per la diffusione dal calore” (Ferrara, op. cit., p. 300). Ossia termoconvettore è stata considerata una parola, anche se di nuovo conio, virtualmente suscettibile d’esser foggiata da chicchessia, in quanto descrive nel modo più ovvio la funzione dell’apparecchio.
Torniamo a guardavia. Io non sono giurista, ma linguista, e non voglio impancarmi a dare pareri in una questione giuridica. Ora come ora, consiglierei quindi a un privato, in linea prudenziale, di preferire guardastrada a guardavia (per la stessa ragione per cui bisogna usare spugna di gomma e laminato plastico, che sono termini “liberi”, e non gommapiuma e fòrmica, che sono marchi): ma alla luce dei principii su indicati ritengo che in caso di contestazione difficilmente il magistrato confermerebbe alla ditta detentrice del brevetto l’uso esclusivo di guardavia.