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Inviato: ven, 31 ago 2007 10:12
di bubu7
Giulia ha scritto:E tutto cio' che voglio dire io e' che se si sceglie di proporre parole meno bizzarre, si ha una probabilita' maggiore di vederle accolte.
Sottoscrivo, aggiungendo che queste bizzarrie potrebbero condizionare il giudizio della gente comune anche su altre proposte più ragionevoli.
Bue ha scritto:Ciò che sostengo è che a mio avviso appare buffo [...] proporre e usare questi adattamenti in questo periodo storico...
È questo, secondo me, il problema. Si trascurano, per non dire che s'ignorano, quei fattori psichici e sociali, più volte specificati da diversi partecipanti alla discussione, che sono sempre stati un elemento determinante per i cambiamenti linguistici in qualsiasi lingua.

Credo che, su questo argomento, non si sia digerita la lezione del Migliorini (riguardatevi la discussione su viveur e vitaiolo qui e qui). :)

Inviato: ven, 31 ago 2007 12:43
di Incarcato
Riprendendo l'ultima osservazione di Bubu (ma anche di Bue), l'evoluzione che l'italiano sta sperimentando da un secolo a questa parte è un progressivo allontanamento tra chi sa usare la lingua e chi no, a velocità crescente. E questo è lo scotto da pagare, che stiamo pagando e pagheremo, alla "democratizzazione" della lingua, intesa come impadronimento dello strumento linguistico da parte di sempre piú locutori.
Questo produce la plastificazione della lingua che tutti noi (o quasi) biasimiamo e costituisce lo sfondo in cui inserire le altre considerazioni, a mio avviso.
All'evoluzione dell' italiano, si sovrappone l'ascesa dell'inglese come vettore — piuttosto che lingua — mondiale di comunicazione, che tende a creolizzare tutto ciò che lambisce e a far da limite superiore, nel caso specifico dell'italiano, a una sua "crescita verso l'alto" in termini culturali.

Inviato: ven, 31 ago 2007 13:24
di bubu7
Incarcato ha scritto:Riprendendo l'ultima osservazione di Bubu (ma anche di Bue), l'evoluzione che l'italiano sta sperimentando da un secolo a questa parte è un progressivo allontanamento tra chi sa usare la lingua e chi no, a velocità crescente.
Al contrario, caro Incarcato, al contrario... e con tutta evidenza. :)

Inviato: ven, 31 ago 2007 14:07
di Incarcato
Non la seguo o intendiamo saper usare la lingua in modo diverso...

Inviato: ven, 31 ago 2007 14:27
di bubu7
Incarcato ha scritto:... o intendiamo saper usare la lingua in modo diverso...
È sicuramente così.
Lei cosa intendeva con saper usare la lingua?

Secondo me, nell'ultimo secolo, grazie alla scuola e ai mezzi di comunicazione, coloro che non sapevano usare la lingua (o perché non la conoscevano proprio o perché la conoscevano in maniera molto approssimativa) si sono avvicinati notevolmente a quelli che la sanno usare di più. Non penso poi che questi ultimi la sappiano usare di più di quanto la sapessero usare, coloro che la sapevano usare un secolo fa.

Quindi chi non la sapeva usare la sa usare un po' di più, e chi la sa usare, al massimo, la sa usare come la sapevano usare chi la sapeva usare. :)

Inviato: ven, 31 ago 2007 14:34
di Incarcato
Immaginavo la sua precisazione, Bubu: diciamo che per saper usare la lingua intendo qualcosa che si avvicina a questa passo, che credo abbia citato lei, sopra:
Chi non dimentichi la mirabile continuità che lega da Dante a oggi tutta quanta la lingua italiana, sarà seriamente ammonito a non procedere troppo in fretta. Correr troppo, voltar bruscamente le spalle al passato significherebbe interrompere questa continuità, la piú lunga che vanti una lingua europea.
Certamente l'italiano si è diffuso, ma non l'ha fatto a prezzo zero.

Bubu dixit:
Quindi chi non la sapeva usare la sa usare un po' di più, e chi la sa usare, al massimo, la sa usare come la sapevano usare chi la sapeva usare.
Purtroppo, la lingua non evolve a compartimenti stagni: bisogna vedere quale lingua si sa usare.

Inviato: ven, 31 ago 2007 14:44
di umanista89
Freelancer ha scritto:No, umanista89, non esiste una parola intrisecamente bizzarra. Come lo stile non sta né nell'uomo né nelle cose ma è un rapporto fra l'uomo e le convenzioni linguistiche proprie della comunità in cui vive (mi preme precisare che questa frase è parafrasi di quanto scritto da Giacomo Devoto), la bizzarria di una parola non sta nella parola stessa ma nel rapporto che essa ha con le altre.
Ribadisco che per stabilire il concetto di bizzarro (o buffo che dir si voglia), basta considerare che significa "in stridente contrasto con la normalità". Nessuna delle parole simili a *guò (quelle esistenti, beninteso) citate da Marco - giù, gnu, blu , gru ecc. - è bizzarra perché sono normali, sono usate da tutti. Invece *guò sarà perfetta sul piano fonetico, morfologico e chi più ne ha più ne metta, ma contrasta con la normalità perché esiste già un'altra parola - wok - usata da tantissime persone.
Lei indirettamente conferma quanto ho sostenuto io. Certo, io non ho mai pensato di attribuire chissà quale «scientificità» al concetto di bizzarria: concordo pienamente con lei che è qualcosa di convenzionale, perché una parola che (e qui me lo lasci ripetere) per ragioni fonetiche e/o morfologiche suoni diversa dalle altre (o almeno diversa dalla maggior parte) è «oggettivamente» bizzarra (oggettivamente, sí, ma non nel senso che è legge di natura: nel senso che, in un ambito comunque relativo e convenzionale come quello linguistico-comunicativo, trova riscontro in parametri oggettivi, cioè «convenzionalmente» ritenuti tali). Quanto a guò, in sostanza lei mi dà pienamente ragione: è bizzarra non perché abbia in sé stessa qualche caratteristica che la renda tale, bensí è bizzarra perché nuova. Ma a questo punto non posso che rimandare a quanto ho scritto prima, coi relativi esempî (grattacielo su tutti): l'elemento novatorio è per sua natura transeunte, e pertanto se i mezzi di comunicazione di massa iniziassero a utilizzarla, non suonerebbe piú a nessuno bizzarra. Il nodo della questione è quello già trattato prima: qualunque parola è bizzarra quando è nuova, mentre solo alcune parole sono sempre bizzarre. Quest'ultimo punto è inconfutabile: lungi da me il voler «scientificizzare» il concetto di bizzarria, resta innegabile che una parola come perdindirindina è oggettivamente (pur nei limiti che ho individuati sopra) bizzarra.

Lei dice: guò è bizzarra perché è nuova e perché esiste già wok che fa ampiamente alla bisogna. D'accordo: ma allora converrà che basterebbe che si diffondesse su larga scala (e lei saprà meglio di me che poteri diffusionali ha oggidí la tivvú) per farla diventare, ipso facto, «normale». Laddove presentasse caratteristiche fonetiche particolari (se fosse, mettiamo, *guogguorogguò) avrebbe un'oggettiva bizzarria che neppure l'uso su larga scala potrebbe cancellare. E qui entra in gioco il fatto che è foneticamente e morfologicamente consimile a tante altre parole d'uso comune: cosí stando le cose, basterà che la usi qualche giornalista per una settimana perché diventi normale e passi sulla bocca di tutti, non le pare?

Inviato: ven, 31 ago 2007 14:49
di bubu7
Incarcato ha scritto: Purtroppo, la lingua non evolve a compartimenti stagni: bisogna vedere quale lingua si sa usare.
Sapevo dalla mia prima replica che lei sa come stanno le cose (la mia puntualizzazione era rivolta a terzi) e quindi non mi dilungo a replicare sul resto.
Sui compartimenti sappiamo però che rappresentano un pericolo mortale per una lingua. Fino a che l'italiano viveva in una tale riserva le erbacce linguistiche prosperavano (erbacce di tipo diverso dai forestierismi crudi, ma sempre erbacce). Meglio, per la salute della lingua, la semplificazione e la linearità di oggi.

Inviato: ven, 31 ago 2007 14:52
di umanista89
A quanto ho detto, anche per conferma alla relatività del concetto di bizzarria e alla transitorietà dell'elemento novatorio d'una parola, aggiungerei che io, da modesto scolaro, prima di leggere questo filone non avevo mai neppure sentito tanto wok quanto guò: sicché mi suonavano «strane» (perché nuove) entrambe, ma ora ad entrambe s'è abituato il mio orecchio, con una certa prevalenza per guò, perché la sto usando di piú e perché – chissà se qualcuno proverà a confutare anche questo – ad un orecchio italiano suona piú naturale pronunziare parole conformi al proprio sistema linguistico.

Inviato: ven, 31 ago 2007 15:34
di bubu7
umanista89 ha scritto: E qui entra in gioco il fatto che è foneticamente e morfologicamente consimile a tante altre parole d'uso comune...
Non esistono parole italiane (a meno di qualche voce verbale) che terminano in -.
Inoltre, per una lunghissima tradizione, i sostantivi ossitoni non sono una categoria molto feconda nella lingua italiana.

Inviato: ven, 31 ago 2007 15:41
di umanista89
bubu7 ha scritto:Non esistono parole italiane (a meno di qualche voce verbale) che terminano in -.
Premesso che le voci verbali sono parole come tutte le altre, questo non mi sembra un criterio oggettivo. Non si parla di parole uguali, ma di parole che presentino le stesse caratteristiche: e per me le caratteristiche morfologiche d'una parola sono il numero delle sillabe, la presenza di dittonghi, il numero delle vocali e delle consonanti, la presenza di allitterazioni, etc. Per di piú anche nei dialetti (che fanno pur sempre parte del patrimonio comunicativo italiano) parole con caratteristiche morfologiche simili abbondano. Per curiosità: mi trovi invece parole italiane con caratteristiche morfologiche simili a wok.

Inviato: ven, 31 ago 2007 15:48
di methao_donor
umanista89 ha scritto:chissà se qualcuno proverà a confutare anche questo – ad un orecchio italiano suona piú naturale pronunziare parole conformi al proprio sistema linguistico.
Ci provo io, e a ragion veduta.
Non di rado mi è capitato di sentire persone che sostengono di pronunciare più naturalmente parole inglesi (che poi pronunciare non sanno, ma questo è un altro discorso) piuttosto che quelle italiane (che, a loro detta, suonano invece orrende e innaturali).
Aggiungo, ovviamente, un "purtroppo", e altrettanto ovviamente taccio sulla (chiamiamola così) "autorevolezza" di chi sostiene ciò.

Inviato: ven, 31 ago 2007 15:59
di bubu7
umanista89 ha scritto: Premesso che le voci verbali sono parole come tutte le altre, questo non mi sembra un criterio oggettivo.
:roll:
umanista89 ha scritto: Non si parla di parole uguali...
E infatti io parlavo di terminazioni.
umanista89 ha scritto: ...per me le caratteristiche morfologiche d'una parola sono il numero delle sillabe, la presenza di dittonghi, il numero delle vocali e delle consonanti, la presenza di allitterazioni, etc.
Sui criteri personali non si discute. :D
umanista89 ha scritto:Per curiosità: mi trovi invece parole italiane con caratteristiche morfologiche simili a wok.
Questo mi sembra fuori tema.
Nessuno in questa discussione sta difendendo l'italianità di wok (anche se, poverino, comincia a diventarmi simpatico: me l'immagino piccolo, bagnato, nell'angolo della stanza che cerca di difendersi dagli attacchi di un grosso guò).

Inviato: ven, 31 ago 2007 16:10
di umanista89
Non finga di non capire. Quel per me non significava che era un criterio personale. Tutt'altro: sono quelle, oggettivamente, le caratteristiche morfologiche d'una parola. Lei parlava di terminazioni? Guò è formata da tre lettere: se lei chiede di trovare parole italiane terminanti in -uò, chiede una riproduzione (quasi) integrale di questo vocabolo (come nel caso dell'ottimo può: continuo a non capire perché dovremmo esautorare i verbi da questo discorso. Non stiamo facendo l'analisi logica di una proposizione, stiamo discutendo sull'opportunità fonetica e morfologica d'un lemma, e da questo punto di vista tutte le parole hanno pari dignità). Per stabilire l'adattabilità d'un vocabolo ad una lingua è sufficiente che risponda, appunto, alle caratteristiche morfologiche e fonetiche delle altre parole della medesima lingua, cosa che per guò ha luogo.

Inviato: ven, 31 ago 2007 16:15
di Bue
L'onomatopeico "toc". E` unico, ma e` unico anche il "può" sostenitore del guò (1-1, palla al centro).

E gli analoghi tic, tac, crac, zigzag ecc.