C’entra, c’entra: ce lo dice il DELI. Ma personalmente, considero un calco semantico del genere del tutto inoffensivo. Lo ritroviamo, ad esempio, nel francese geler e nello spagnolo congelar. È naturale e inevitabile che le lingue esercitino un influsso l’una sull’altra; per dirla col Castellani, basta che questo avvenga senza che siano messi a repentaglio le sue strutture fonetiche e il suo sistema lessicale.Manutio ha scritto:...quando i giornali scrivono che un provvedimento del governo è stato congelato, c’entra o non c’entra frozen?
Dei calchi semantici
Moderatore: Cruscanti
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
- Ferdinand Bardamu
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Caro Manutio, mi spiace d’averle attribuito — sia pure indirettamente — l’intenzione di condannare questi anglismi; per questo travisamento, spero accetti le mie scuse.
Se l’ho fatto, però, è perché non m’è ben chiaro il suo giudizio in merito ai calchi semantici: chiusura assoluta — ancorché dettata solo dall’estetica — o semplice descrizione d’un dato di fatto?
Dopotutto, come ho già avuto modo di dire, e come Marco ha sottolineato, questi calchi paiono adattarsi con una certa naturalezza all’italiano; non le pare? Lei fa riferimento a una questione di gusto; ma se non ci fosse una corrispondente espressione in inglese, come riguarderebbe, appunto, l’uso figurato di congelare?
Di là dalla questione dell’età, personalmente ho una certa consuetudine con la stampa anglofona, di modo che mi è difficile negare recisamente l’influenza inglese sulle accezioni figurate di taglio o congelare. Vorrei però capire se il suo giudizio di gusto è dovuto all’origine forestiera o al fatto che la metafora le suoni innaturale o inusitata.
Consideri anche se non sia corretto questo: non si tratta forse della comprensibilissima avversione verso i plastismi giornalistici? Metafore come congelare per bloccare o tagliare per decurtare, indipendentemente dalla loro origine, stuccano perché sono ormai trite, e se ne abusa al punto che non si sa quasi piú trovar sinonimi. La stanchezza dell’espressione c’entra poco con l’inglese.

Dopotutto, come ho già avuto modo di dire, e come Marco ha sottolineato, questi calchi paiono adattarsi con una certa naturalezza all’italiano; non le pare? Lei fa riferimento a una questione di gusto; ma se non ci fosse una corrispondente espressione in inglese, come riguarderebbe, appunto, l’uso figurato di congelare?
Di là dalla questione dell’età, personalmente ho una certa consuetudine con la stampa anglofona, di modo che mi è difficile negare recisamente l’influenza inglese sulle accezioni figurate di taglio o congelare. Vorrei però capire se il suo giudizio di gusto è dovuto all’origine forestiera o al fatto che la metafora le suoni innaturale o inusitata.
Consideri anche se non sia corretto questo: non si tratta forse della comprensibilissima avversione verso i plastismi giornalistici? Metafore come congelare per bloccare o tagliare per decurtare, indipendentemente dalla loro origine, stuccano perché sono ormai trite, e se ne abusa al punto che non si sa quasi piú trovar sinonimi. La stanchezza dell’espressione c’entra poco con l’inglese.
- SinoItaliano
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Non mi dispiace tagliare nel senso di "decurtare le spese".
Invece mi dà fastidio dacci un taglio al posto di "smettila" - dall'inglese "cut it out", attraverso il doppiaggese.
Invece mi dà fastidio dacci un taglio al posto di "smettila" - dall'inglese "cut it out", attraverso il doppiaggese.
Questo di sette è il piú gradito giorno, pien di speme e di gioia: diman tristezza e noia recheran l'ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno.
«Dacci un taglio» suona slang, è una piccola perifrasi che personalmente non mi disturba più di tanto: non so se pensando inconsapevolmente a quest'espressione o no, ma mi è capitato, davanti a un interlocutore logorroico e snervante, di cercare d'abbreviare il suo monologo col gesto delle forbici, avvicinando e allontanando indice e medio della mano destra.SinoItaliano ha scritto:Invece mi dà fastidio dacci un taglio al posto di "smettila" - dall'inglese "cut it out", attraverso il doppiaggese.
È ben vero che "smettila" o "piantala" hanno il vantaggio di essere più brevi e quindi anche più "pratici", se pensiamo di adattarli al labiale dell'attore che pronuncia quel cut it out: per cui "dacci un taglio" è, oltre a tutto, un controsenso.
Invece, un'espressione del doppiaggese che imperversa e mi procura l'orticaria è "là fuori", pare unico traducente ammesso dell'ingl. out there.
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
- Ferdinand Bardamu
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Per quanto sappia di doppiaggese, quest’idiomatismo non disturba neanche me. Il Treccani in linea lo include alla voce «Taglio»:Zabob ha scritto:«Dacci un taglio» suona slang, è una piccola perifrasi che personalmente non mi disturba più di tanto: non so se pensando inconsapevolemente a quest'espressione o no, ma mi è capitato, davanti a un interlocutore logorroico e snervante, di cercare d'abbreviare il suo monologo col gesto delle forbici, avvicinando e allontanando indice e medio della mano destra.
Con riguardo al modo di tagliare, t. netto, deciso e preciso: staccare, recidere con un t. netto; spesso fig.: dare un t. netto a una questione, risolverla in modo deciso e perentorio; dare un t. netto a una relazione, troncarla in modo definitivo (con il sign. di «troncare», anche semplicem. dare un t., nell’uso fam.: basta così, diamo un t. alla discussione, o alle chiacchiere, e sim.; e dài o dacci un t.!, come esclam. spazientita, sméttila!)
Mi chiedo se il suo successo non sia legato anche a una certa suggestione fonica — del tutto accidentale, naturalmente — di [ʧ], che ricorda il rumore d’un taglio (zac o ciac).
- Animo Grato
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- Iscritto in data: ven, 01 feb 2013 15:11
Mi scusi, non capisco questa idiosincrasia: out è "fuori", there è "là", out there è "là fuori", senza bisogno di voli pindarici. O forse lei allude a un significato particolare dell'espressione out there, che mi sfugge?Zabob ha scritto:Invece, un'espressione del doppiaggese che imperversa e mi procura l'orticaria è "là fuori", pare unico traducente ammesso dell'ingl. out there.
Non nego che la traduzione sia letteralmente corretta; ma converrà che in italiano (al di fuori del doppiaggese) non è un costrutto così frequente: è un americanismo colloquiale, goffo e pleonastico, in genere pronunciato dagli attori mentre si trovano in un interno.Animo Grato ha scritto:Mi scusi, non capisco questa idiosincrasia: out è "fuori", there è "là", out there è "là fuori", senza bisogno di voli pindarici. O forse lei allude a un significato particolare dell'espressione out there, che mi sfugge?Zabob ha scritto:Invece, un'espressione del doppiaggese che imperversa e mi procura l'orticaria è "là fuori", pare unico traducente ammesso dell'ingl. out there.
A volte lo tradurrei "fuori di qui", "in giro", a volte si può proprio ignorare.
Dia un'occhiata qui: non tutte le traduzioni in italiano sono di mio gusto, ma vedrà quanto spesso (e giustamente, secondo me), quell'out there è stato ignorato; per fare due esempi: «Nature has put a set of rules out there.» - «There's a lot of problems out there in the world.»
Son sicuro che lei, in entrambe le situazioni, farebbe a meno di quel "là fuori" parlando in italiano.
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
- Souchou-sama
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Spero che Marco non s’accorga di quell’«Esempi d’utilizzo»!
Comunque sí, penso anch’io che non bisognerebbe esagerare con là fuori per l’inglese out there, che è molto piú frequente, piú idiomatico. Però non mi disturba. Se può servire qualche informazione interlinguistica:
– in spagnolo viene tradotto con ahí fuera oppure allá afuera;
– in portoghese, lá fora;
– in tedesco, dorthinaus;
– last but not least, pare proprio che in francese si cerchi d’evitarne una traduzione letterale whenever possible. (Va bene, la smetto.
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– in spagnolo viene tradotto con ahí fuera oppure allá afuera;
– in portoghese, lá fora;
– in tedesco, dorthinaus;
– last but not least, pare proprio che in francese si cerchi d’evitarne una traduzione letterale whenever possible. (Va bene, la smetto.

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- Moderatore «Dialetti»
- Interventi: 726
- Iscritto in data: sab, 14 mag 2005 23:03
Due esempi da IntraText, giusto per cogliere la differenza fra un uso di "là fuori" genuino italiano e un becero calco dell'ingl. out there:
- Gilda e Rigoletto inquieti sono sulla strada. Sparafucile nell'interno dell'osteria, seduto presso una tavola, sta ripulendo il suo cinturone senza nulla intendere di quanto accade là fuori. (dal libretto di "Rigoletto")
- Molta letteratura New Age è pervasa dalla convinzione che non esista alcun essere divino « là fuori » o veramente distinto dal resto della realtà. (da un testo del "Pontificio Consiglio della Cultura; Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-religioso")
- Gilda e Rigoletto inquieti sono sulla strada. Sparafucile nell'interno dell'osteria, seduto presso una tavola, sta ripulendo il suo cinturone senza nulla intendere di quanto accade là fuori. (dal libretto di "Rigoletto")
- Molta letteratura New Age è pervasa dalla convinzione che non esista alcun essere divino « là fuori » o veramente distinto dal resto della realtà. (da un testo del "Pontificio Consiglio della Cultura; Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-religioso")
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
Ferdinand Bardamu scrive:
Il problema è che un accoglimento troppo largo di forestierismi superflui, palesi od occulti (leggi calchi), non arricchisce la lingua, al contrario la impoverisce facendo cadere in desuetudine gli elementi corrispondenti del patrimonio tradizionale, con le sfumature e connotazioni di cui si sono caricati attraverso secoli di letteratura. Chi si empie la bocca di feeling finirà per non intendere piú le sottili differenze fra affetto, affezione et sim. che il povero Tommaseo si sforzava di cogliere. L’aura del nuovo, moderno e internazionale è irresistibile per i semplici! Il risultato è che le nuove generazioni si allontanano sempre piú dai nostri classici, perché semplicemente non li capiscono, con danno incalcolabile. Chi insegna, ha modo di fare ‘colpi di sonda’ su questo terreno, e i risultati sono allarmanti.
Piccolo contributo a un possibile ‘manuale pratico di doppiaggese’:
Zabob scrive:
Mi sembra che colga nel segno (a proposito, niente di cui scusarsi: cerchiamo solo di spiegarci il meglio possibile). I calchi semantici, in sé, non meritano anàtemi. Devo ripetere che tanta parte del nostro lessico intellettuale nasce da calchi latino-su-greco. Una parola italianissima e perfino poetica come firmamento è addirittura il frutto di un doppio calco: latino<greco<ebraico, attraverso le successive traduzioni del Vecchio Testamento.stuccano perché sono ormai trite, e se ne abusa al punto che non si sa quasi piú trovar sinonimi. La stanchezza dell’espressione c’entra poco con l’inglese.
Il problema è che un accoglimento troppo largo di forestierismi superflui, palesi od occulti (leggi calchi), non arricchisce la lingua, al contrario la impoverisce facendo cadere in desuetudine gli elementi corrispondenti del patrimonio tradizionale, con le sfumature e connotazioni di cui si sono caricati attraverso secoli di letteratura. Chi si empie la bocca di feeling finirà per non intendere piú le sottili differenze fra affetto, affezione et sim. che il povero Tommaseo si sforzava di cogliere. L’aura del nuovo, moderno e internazionale è irresistibile per i semplici! Il risultato è che le nuove generazioni si allontanano sempre piú dai nostri classici, perché semplicemente non li capiscono, con danno incalcolabile. Chi insegna, ha modo di fare ‘colpi di sonda’ su questo terreno, e i risultati sono allarmanti.
Piccolo contributo a un possibile ‘manuale pratico di doppiaggese’:
Zabob scrive:
Che ne dice del classico resta dove sei!, quasi inevitabile nelle scene movimentate dei film americani? A me sa tanto, ma tanto, di stay/remain where you are!un'espressione del doppiaggese che imperversa e mi procura l'orticaria...
- Animo Grato
- Interventi: 1384
- Iscritto in data: ven, 01 feb 2013 15:11
Grazie del chiarimento: adesso ho capito cosa intende, e concordo.Zabob ha scritto:Dia un'occhiata qui.
- Ferdinand Bardamu
- Moderatore
- Interventi: 5195
- Iscritto in data: mer, 21 ott 2009 14:25
- Località: Legnago (Verona)
Non saprei dir meglio di cosí. Questo è esattamente il mio pensiero.Manutio ha scritto:I calchi semantici, in sé, non meritano anàtemi. […]
Il problema è che un accoglimento troppo largo di forestierismi superflui, palesi od occulti (leggi calchi), non arricchisce la lingua, al contrario la impoverisce facendo cadere in desuetudine gli elementi corrispondenti del patrimonio tradizionale, con le sfumature e connotazioni di cui si sono caricati attraverso secoli di letteratura. Chi si empie la bocca di feeling finirà per non intendere piú le sottili differenze fra affetto, affezione et sim. che il povero Tommaseo si sforzava di cogliere. L’aura del nuovo, moderno e internazionale è irresistibile per i semplici! Il risultato è che le nuove generazioni si allontanano sempre piú dai nostri classici, perché semplicemente non li capiscono, con danno incalcolabile. Chi insegna, ha modo di fare ‘colpi di sonda’ su questo terreno, e i risultati sono allarmanti.

«Resta dove sei!» in fondo sembra italiano e non ha mai turbato il mio orecchio; ammetto che è un costrutto un po' cristallizzato ma è lei che me lo fa notare. Io preferisco il "rimani" in questo caso, ma forse si potrebbe sostituire il tutto con «fermo lì!», che dice?Manutio ha scritto:Che ne dice del classico resta dove sei!, quasi inevitabile nelle scene movimentate dei film americani? A me sa tanto, ma tanto, di stay/remain where you are!
Entro nel campo delle interiezioni per un richiamo-intercalare molto frequente sulle bocche dei doppiatori di film e telefilm americani: avete mai fatto caso a ehi ehi ehi?
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
- Ferdinand Bardamu
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- Iscritto in data: mer, 21 ott 2009 14:25
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