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Inviato: dom, 25 mar 2012 10:11
di Ferdinand Bardamu
Ha ragione: negozio a tempo è molto piú efficace per rendere l'idea di un locale che chiude all'improvviso, finita la campagna pubblicitaria.

Negozio temporaneo, oltre a essere un calco piú grezzo, fa pensare a una sistemazione provvisoria – una vetrina improvvisata, un arredo arrangiato –, ma non a un negozio che nasce e muore, per una precisa strategia promozionale, nell'arco di breve tempo.

Inviato: dom, 25 mar 2012 11:12
di PersOnLine
Andrea Russo ha scritto:...lo scopo della pubblicità dovrebbe essere quello di far arrivare al consumatore un messaggio, cioè che cosa si vende e le sue caratteristiche. Allora perché non rendere chiaro al massimo questo messaggio?
Lo scopo della pubblicità oramai - se mai lo è stato - non è quello di veicolare un messaggio, ma una suggestione (e poi li chiamano creativi!): mi dica lei oggi quante pubblicità veicolano qualcosa che sia attinente al prodotto? Dovendo sostanzialmente veicolare il nulla, è quasi scontato che ricorrano massivamente ai forestierismi; se la gente dovesse conoscere meglio le lingue e quindi comprendere anche il "non-messaggio" che sta dietro a una pubblicità, utilizzerebbero una xenolingua.

Inviato: dom, 25 mar 2012 12:52
di Andrea Russo
D'accordo, ma la suggestione si può creare anche con la nostra bella lingua (dovrebbe esserci ancora da qualche parte...)! Ci sono molte pubblicità che si basano su giochi di parole, anche ben riusciti, che riescono (quindi) ad attirare l'attenzione di chi guarda/legge/ascolta.
Posso capire il gusto per l'esotico, e una volta ogni tanto ci può anche stare un esotismo, ma sarebbe auspicabile – secondo me – rimanere entro certi limiti...

Inviato: dom, 25 mar 2012 16:31
di Jonathan
Qualche settimana fa contattai una compagnia che offre servizi di noleggio autobus.

Ecco la risposta che ho ricevuto in seguito alla mia richiesta di chiarimenti sul significato di alcuni termini, diciamo cosí, tecnici:

"Ieri le ho detto parcheggio ma in realtà si chiama check point ed è la stessa cosa."

Inviato: mer, 28 mar 2012 15:28
di Andrea Russo
Aggiungiamone un'altra. In un programma di Rai 2 un'inviata dice qualcosa come: «Sembra esserci stato un misunderstanding tra i carabinieri!». Potete ben immaginare la mia faccia, che descrivere cosí :shock: sarebbe troppo poco. Per fortuna il conduttore in studio dice subito: «Sí, un misunderstanding... che sarebbe un fraintendimento».

Che tristezza. Perché ha dovuto inserire una parola inglese in questo modo, senza nessunissima ragione? Dopo quella francese, credo che ci sia bisogno della rivoluzione (della lingua) italiana...

Inviato: gio, 29 mar 2012 10:27
di Modna
Mi riesce addirittura difficile credere che sia stato un errore involontario! Molto più facile - e infinitamente più triste - che l'inviata abbia usato misunderstanding al posto di fraintendimento per darsi un tono, per essere più figa... possibile che si arrivi a bassezze del genere? :( La redazione di quel programma che direttive dà? "(Anglo-)Stile libero per tutti"?

Personalmente sono stato deluso da un servizio di TG Sky 24 su Cielo, che finora apprezzavo per il ridotto uso di anglicismi rispetto agli altri: due giorni fa ho visto un servizio riguardante (testuali parole) «il Summit [Vertice] sul nucleare tenutosi in Corea, a cui Monti ha partecipato ottenendo endorsement [appoggio] e pubblicità; il presidente cinese ha infatti garantito che consiglierà investimenti in Italia». :shock: Endorsement?? A parte il fatto che il 98% degli spettatori non lo avrà capito (e gli altri, come me, avranno scosso un attimo la testa facendo mente locale), adesso ci mettiamo a sostituire anche queste parole? Il problema maggiore in questo caso sono i traduttori e gli scrittori delle notizie, controllati dalla redazione del TG, che passano le veline ai giornalisti; questi ultimi, se ho ben capito, sono tenuti a leggerle così come sono scritte.

Inviato: gio, 29 mar 2012 13:17
di PersOnLine
Misunderstanding, endorsement... :shock: oramai non regge più neanche la patetica scusa che si usa l'inglese per brevità!
Ma quand'è che i linguisti si sveglieranno, invece di negare l'evidenza: e cioè che se continua così nel giro di pochi decenni ci giocheremo gran parte del nostro lessico.

Inviato: gio, 10 mag 2012 20:57
di Andrea Russo
Ho appena trovato un sito d'un'azienda pisana che si chiama pitom: pi dovrebbe stare per Pisa, e tom è ovviamente il motto (scusate, slogan) dell'azienda (Think Over Movement). Hanno da poco presentato un'imbarcazione (non mi ricordo a che cosa serve), che ovviamente si chiama Pi-ship, e figuriamoci. Ovviamente se si vuole sapere cosa fanno, quali sono i loro obiettivi (perché non goals a questo punto?), leggiamo:
«La nostra mission [sic!] è rendere disponibili per l'uomo veicoli completamente automatici terrestri, aerei e marini, che lo aiutino nelle varie attività della vita quotidiana e che si muovano nel pieno rispetto di cose o persone».

Mission? :shock: Sarei curioso di sapere perché non hanno usato missione. Si arriva proprio al ridicolo. Io, personalmente, mi vergognerei a presentare la mia azienda dicendo «la nostra mission...».


Anche per quelli d'una grande libreria l'italiano non sembra piú una lingua: in cima allo scaffale si legge «I big della comedy». Mah... :roll:

Inviato: gio, 10 mag 2012 22:23
di Ferdinand Bardamu
Mission è un classico del gergo marchettaro. «I big della comedy», invece, mi sembra sia della comedy molto involuntary.

Inviato: gio, 10 mag 2012 22:29
di Marco1971
Su mission ci sono questi due filoni: uno e due.

Inviato: gio, 10 mag 2012 22:40
di Andrea Russo
Nemmeno m'è venuto in mente di controllare l'effettiva esistenza di mission! Ho sottovalutato la stupidità delle persone. Davvero non si vergognano a dire la mission? Che schifo.

Inviato: gio, 10 mag 2012 22:45
di Marco1971
Gentile Andrea, i lessicografi stessi mi hanno detto della loro passione per la fotografia della lingua... ;)

Inviato: gio, 10 mag 2012 23:09
di Andrea Russo
Possono ancora fotografare le cose cosí come stanno, ma il problema (problem, a questo punto) è che la realtà fa schifo. E chi potrebbe fare qualcosa non fa niente, anzi ci gode non appena può usare un altro obbrobrio come mission (e pure vision ho visto che esiste).

Inviato: gio, 10 mag 2012 23:24
di Marco1971
C’è una predilezione particolare per le parole uscenti in /-[k]SOn/: fiction, mission, extension, full immersion, impression, jam session, session, addiction, connection, customer satisfaction, detection, docu-fiction, election day, forward error correction, over production, science fiction (!)... Parca selezione tratta dalla Graditiera. ;)

Inviato: ven, 11 mag 2012 18:32
di marcocurreli
Un'altra locuzione che oggi si sente spesso è "break pubblicitario", che pare abbia sostituito il tradizionale "stacco pubblicitario".