Caro Ligure, le rispondo piú che altro per dover di cortesia, non perché abbia una risposta certa da darle (purtroppo

)… Non sono infatti a conoscenza di studi specifici sull’argomento (il che non vuol dire ovviamente che non ve ne siano).
Io temo —ma, dal tono della sua domanda, credo che lo tema anche Lei— che sia uno di quegli argomenti considerati marginali in quanto ritenuti ovvi, e che siano ritenuti ovvi perché, perlomeno da decenni, si prendono per buone considerazioni (ora del tutto impressionistiche, ora basate sulla metrica e sulla grammatica tradizionali*, ma non necessariamente sulla scienza fonetica) fatte
in illo tempore da qualche linguista, e come tali acriticamente tramandatesi.
Foneticamente, le fricative [ʝ, w̝/ɣʷ/ʍ̬], i legamenti [j, w] e le vocali alte [i, u] si dispongono all’interno di un
continuo che va da una maggiore ostruzione fino alla totale assenza di essa. Ora, però, (lasciando perdere la prima coppia che non esiste in italiano) una lingua come la nostra, che chiaramente possiede le ultime due coppie di foni, fone
maticamente opera una
scelta binaria tra di esse (→ su continuo fonetico e scelte binarie si veda,
e.g., l’illuminante esemplificazione del Loporcaro nell’articolo citato alle
pp. 7–8 di un mio vecchio saggio).
È chiaro che, perlomeno a ritmo lento, noi avvertiamo un’opposizione tra
hai odio /ai ɔ̍djo/ [ˌaˑi̯ ˈɔːdjo] e
ha iodio /a jɔ̍djo/ [ˌa ˈjɔːdjo], tra
spianti («che spiano») /spia̍nti/ [spiˈanːti] e
spianti (pl. di
spianto) /spja̍nti/ [sˈpjanːti], tra
pïano («di Pio) /pia̍no/ [piˈaːno] e
piano («lentamente, liscio, livello, pianoforte») /pja̍no/ [ˈpjaːno], tra
pïato («pigolato) /pia̍to/ [piˈaːto] e
piato («causa giudiziaria, lagnanza») /pja̍to/ [ˈpjaːto], tra
lacuale /lakua̍le/ [lakuˈaːle] e
la quale /lakwa̍le/ [laˈkwaːle], tra
arcuata /arkua̍ta/ [arkuˈaːta] e
Arquata /arkwa̍ta/ [arˈkwaːta].
Tuttavia, la sola reale differenza fonetica tra [j, w] e [i, u], oltre all’asillabicità (che, però, è un tratto piú fonematico che propriamente fonetico), è la brevità. Ha ragione di certo il Ladefoged quando afferma che, in principio di sillaba, una legamento (o «semiconsonante», meno bene «semivocale») non è nient’altro che un rapido, continuo movimento dalla vocale alta corrispondente (cioè [i, u]) alla vocale successiva (che forma, in tutto o in parte, il nucleo della sillaba). Quindi, [ja, wa] andrebbero forse meno ambiguamente scritte come [i͜a, u͜a].
Quanto a [j, w] finali di sillaba, la distinzione è ancora piú sottile, tant’è vero che, sul piano meramente fonetico, si potrebbe dire che si tratti sempre di [i̯, u̯] (queste, sí, «semivocali») e che la distinzione tra l’ultimo elemento dell’inglese
fee [ˈfɪi̯] e quello del francese
fille [ˈfij] sia meramente fonematica. Ma, a parte il fatto che, fonematicamente, nell’inglese britannico meridionale di oggi
fee è piú opportunamente rappresentabile proprio come
/fɪ̍j/(che rende inoltre automaticamente conto del passaggio, qui realmente fonetico, da [i̯] a [j] davanti a vocale, come in
fee and…), c’è da dire che l’[j] di
fille è probabilmente piú vicino a [ʝ], ed è sicuramente un [j] nella pronuncia enfatica con scevà (arrotondato) finale [ˈˈfiˑjɵ].
Tornando all’italiano, devo dire che, mentre, in una pronuncia lenta e accurata, le mie
Tuscae aures non hanno alcuna difficoltà nel percepire una chiara differenza fra [i, u] e [j, w] negli esempi dati sopra, a ritmo allegro la differenza si fa sempre piú sfumata fino a scomparire quasi del tutto, concordemente col fatto che [j, w] non son altro che [i, u] pronunciate piú rapidamente, la differenza tra
hai odio e
ha iodio (che dimostra l’appartenenza [in italiano, ma non,
e.g., in inglese] di [i̯] a /i/ anziché a /j/) mantenendosi piuttosto —almeno al mio orecchio— in virtú della diversa lunghezza dell’[a] iniziale…
Del resto, il Brozović parlava di «opposizione unidirezionale» per i fonemi /i, u/ ~ /j, w/: negli esempi di cui sopra /i, u/ [i, u] possono diventare [j, w] a ritmo allegro, ma /j, w/ [j, w] non possono passare a [i, u] (se non in una pronuncia enfatica, altrimenti innaturale:
e.g.,
piaaano! [piˈˈaːːnoˑ]).
Dopo questa lunga (ma, credo, inevitabile) premessa, veniamo finalmente alla piú specifica questione in oggetto. In una pronuncia lenta e accurata, m’attengo in modo sorprendentemente naturale alla norma: /di/
alogo, /di/
aletto, /di/
ario, ma /dj/
avolo, /dj/
eta (lo stabilisco attraverso la prova di unidirezionalità di cui sopra). Tuttavia, a ritmo allegro /di/
aletto diventa facilmente [dj]
aletto, mentre [di]
alogo resiste un po’ meglio probabilmente in virtú della scansione sillabica, ma sfido chiunque a percepire una reale differenza con [dj]
alogo quando l’eloquio si fa rapidissimo…
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* E quindi almeno in parte sull’etimologia.