Infarinato ha scritto:Scilens ha scritto:Con ciò Rohlfs riporta per iscritto esempi da lui sentiti, e li riporta come sente di doverli scrivere, perché m'immagino che non li abbia rilevati dallo scritto e ancor di più li abbia scritti in tedesco per poi farli tradurre.
Ecco, appunto: codesto, se l’immagina Lei. Io non ne sarei cosí sicuro…
Io ne sarei ragionevolmente certo, per analogia con le altre locuzioni dialettali ascoltate e riportate, anche estranee alla Toscana, come quelle calabresi o piemontesi o venete, e perché non cita nessuno scrittore, cosa che il Rohlfs fa regolarmente quando la fonte è indiretta. E anche per l'assenza di difficoltà nel reperire quelle forme direttamente 'in natura', invece di doverle cercare nello scritto (cosa che, tra l'altro, darebbe conto soltanto dell'interpretazione fonetica dell'autore della fonte scritta).
In tre persone, e in più edizioni, hanno usato forme 'proibite' come "c'ho" e "c'hai", su un aromento che difficilmente può ammettere trascuratezze, e sia il Rohlfs che il Franceschi e la Caciagli-Fancelli (perdipiù entrambi toscani, di adozione e nascita) per i rispettivi curricula non possono esser certo considerati sprovveduti: sono più che convinto che il suono che si voleva qui descrivere non sia stato equivocato da nessuno. Infatti non avrebbero potuto utilizzare la forma "ci ho", che sebbene abbastanza corretta, non somiglia alla vera pronunzia.
- L'uso è antico e la presunta regola non ne tien conto.
- Antico quanto?
Per esempio:
"hò attentamente letto, e diligentemente considerato questo primo Libro dell'illustrazione di Firenze; nè C'ho trovato cosa alcuna contro alla S.Fede Cattolica, o buoni costumi..."
da 'Firenze città nobilissima illustrata' Di Ferdinando Leopoldo del Migliore,Pietro Antonio dell.̓ Ancisa 1684
"Ma quelli non C'hanno da essere nella Republica?"
da 'Lezioni morali sopra Giona profeta' Di Angelo Paciuchelli 1720
"Cangia favella Se pur vuoi che c'ascolti...
(Metastasio, 'Catone', atto II, scena X)
" Ghe << Avv. In quel luogo. Ci , o Vi — gh'andarii ? gh'andaròo senz'alter. C'andrete? C'andrò, oV'andrò senz'altro, cioè indubbiamente"
da "Vocabolario cremonese italiano" di Angelo Pieri 1847
e così via.
Fanno parte della stessa tendenza le schiere di esempii, anche contemporanei, di "gl'uni", "gl'altri" (insieme a "degl'altri" "agl'altri"...) e "gl'animi", "gl'occhi" e "gl'anni" e così via, che si svolgono dal '300 ad oggi e che ognuno può trovare senza fatica, il DOP condanna anche questi (gl' è ammesso solo davanti a i, nell'ortografia 'moderna').
Anche le diffusissime scritture "ch'abbia" (almeno quattro secoli), "ch'ho" (almeno cinque secoli) e "ch'hanno", con tutte le loro varianti e simili, sono conferme che testimoniano la possibilità d'uso delle forme "c'ho" e "c'hanno", le quali, essendo senza l'acca, vengono lette d'istinto 'ciò' e 'ciànno'.
Non nego che manchino d'eleganza, ma il volerle eliminare mi pare arbitrario.
Tuttavia La capisco, Infarinato; ricordo che ai miei tempi di scuola tali forme erano bandite (anche nel parlato: era proprio il 'ci' che si doveva evitare, per quanto possibile), perché la scrittura era quasi tutta formale, e lo era più spesso anche il parlato, che doveva somigliare il più possibile allo scritto. Oggi quel modo sarebbe da definirsi 'affettato', perlomeno nell'uso quotidiano.
Questo è il mio parere e queste son le ragioni che posso portare; e sia per evitare ripetizioni, e sia per non far chiudere anche questo filone, cercherò di non insistere.