Sapevate che nel 2010 fu indetto da Repubblica.it un concorso per «tradurre in italiano "blog", "chat", "newsletter", "provider", "spamming"»?
Giudicava le proposte Massimo Arcangeli (l'articolo).
«La parola giusta», concorso del 2010
Moderatore: Cruscanti
Re: «La parola giusta», concorso del 2010
Mi sorprende che un'iniziativa simile —che in un paese linguisticamente sano sarebbe una normalità, una banalità— sia venuta dalla Repubblica. Fra le risposte vedo i soliti commenti che parlano di «forzatura», «più che miserabile...ridicolo e vergognoso», «pedanteria da Regime», «italianizzare a tutti i costi» (quali siano questi costi insostenibili, sempre evocati, non è mai chiarito), «e pensare che il primo italiano a rifiutarsi di utilizzare termini stranieri fu proprio lui il mascellone» (il primo della storia, nientemeno), «siffatti nomi ridicoli e risibili, oltre che inutili», «posizioni puriste e poco moderne, quasi da Accademia della Crusca» (
), il governo francese «tristemente noto nel mondo della linguistica per la sua politica 'interventista'», eccetera eccetera. Ma è notevole e bello vedere che la stragrande maggioranza della gente risponde invece in maniera positiva, con naturalezza, con tante proposte creative, senza scandalo; molto diverso dalla mia esperienza su Facebook, dove provando a interpellare gli appassionati di lingua con quesiti simili i commenti «dagli al fascista» sono semplicemente il 95 %. Come osservato altre volte, forse abbiamo l'impressione che la nostra battaglia sia impossibile perché ne ragioniamo con chi s'interessa di lingua, una fascia di pubblico oggi in Italia estremamente inclinata da una parte, con un'egemonia praticamente «dogmatica» della posizione anglofila; mentre il pubblico generale potrebbe essere molto più favorevole alla tutela della lingua.
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