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Un’altra mancata cogeminazione
Inviato: ven, 02 nov 2007 19:13
di Marco1971
Al verso 108 del canto III del
Paradiso Dante scrive:
Iddio si sa qual poi mia vita fusi.
Qualcuno sa spiegare per quale motivo si ha qui
fusi e non
fussi (= «si fu»)? La rima non è determinante, perché la stessa forma si trova nella prosa del
Decamerone:
Standosi adunque Ruggier nella camera e aspettando la donna, avendo o per fatica il dí durata o per cibo salato che mangiato avesse o forse per usanza una grandissima sete, gli venne nella finestra veduta questa guastadetta d’acqua la quale il medico per lo ’nfermo aveva fatta, e credendola acqua da bere, a bocca postalasi, tutta la bevé: né stette guari che un gran sonno il prese, e fusi adormentato. (Giorn. 4, novella 10)
A’ quali Guido, da lor veggendosi chiuso, prestamente disse: “Signori, voi mi potete dire a casa vostra ciò che vi piace”; e posta la mano sopra una di quelle arche, che grandi erano, sí come colui che leggerissimo era, prese un salto e fusi gittato dall’altra parte, e sviluppatosi da loro se n’andò. (Giorn. 6, novella 9)
Potrebbe essere dovuto alla necessità di non confondere con
fussi variante di
fossi? Parrebbe un caso isolato, perché Dante normalmente cogemina in questi casi:
...com’a guardar, chi va dubbiando, stassi. (Purg., 3, 72)
“Da che tu vuo’ saver cotanto a dentro,
dirotti brievemente”, mi rispuose,
“perch’i’ non temo di venir qua entro. (Inf., 2, 86)
Inviato: dom, 04 nov 2007 16:06
di Bue
Secondo me (ma lo dico senza cognizione di causa) è perché all'epoca
fu non era cogeminante.
Forse si faceva ancora sentire l'origine da
fuit, come dimostra il fatto che lo stesso Dante in prosa scriveva
fue...
Lo stesso non si verifica invece per
sta (da
stat).
Immagino che la cogeminazione sia arrivata successivamente essendo la parola nel frattempo divenuta un monosillabo forte, come ci ha insegnato Infy per il caso di
tu, e come sta succedendo nell'italia centromeridionale non toscana per
po'.
Attendo le smentite da colà dove si sape.
Inviato: dom, 04 nov 2007 16:52
di Marco1971
Bue ha scritto:Secondo me (ma lo dico senza cognizione di causa) è perché all'epoca fu non era cogeminante.
Spiacente di far crollare codesta teoria...
de l’Eneida dico, la qual mamma
fummi, e fummi nutrice, poetando:
sanz’essa non fermai peso di dramma. (Purg. 21, 98)
Onde, appressandosi a lui, santo Francesco disse cosí: – A quelle cose che tu pensi ora, t’attieni, però ch’elle sono buone e utili e da Dio ispirate; ma la prima mormorazione che tu facevi era cieca e vana e superba, e futti messa nell’animo dal demonio –. (Fioretti di san Francesco, Fioretto 11)
Diana avea piú volte domandato
quel che di Mensola era le compagne:
fulle risposto, da chi l’era allato,
che gran pezzo era che ’n quelle montagne
veduta non l’avean in nessun lato;
altre dicean che, per certe magagne,
e per difetto ch’ella si sentia,
davanti a lei con l’altre non venía. (Boccaccio, Ninfale fiesolano, 407)
E il marito disse: “Sí bene”, e posti giú i ferri suoi e ispogliatosi in camiscione, si fece accendere un lume e dare una radimadia e fuvvi entrato dentro e cominciò a radere. (Boccaccio, Decameron, Giorn. 7, nov. 2)
Inviato: dom, 04 nov 2007 19:06
di Bue
Demolitore di teorie...
Re: Un’altra mancata cogeminazione
Inviato: lun, 05 nov 2007 10:01
di Infarinato
Marco1971 ha scritto:Al verso 108 del canto III del
Paradiso Dante scrive:
Iddio si sa qual poi mia vita fusi.
Qualcuno sa spiegare per quale motivo si ha qui
fusi e non
fussi (= «si fu»)? La rima non è determinante, perché la stessa forma si trova nella prosa del
Decamerone…
Premessa: potete sbizzarrirvi a cercare
fusi nei piú antichi testi della nostra letteratura (
e.g., Origini + 200 + 300) con
BibIt (…che è meglio della
LIZ!

).
L’unica spiegazione che mi viene in mente cosí su due piedi è che
fusi derivi per troncamento da *
fuesi, o meglio: da
fue si >
fu’ si /'fusi/, forma probabilmente favorita anche dal desiderio d’evitare ogni possibile confusione con
fussi (= «fossi»)…
Re: Un’altra mancata cogeminazione
Inviato: lun, 05 nov 2007 10:25
di Bue
Bue ha scritto:forse si faceva ancora sentire l'origine da
fuit, come dimostra il fatto che lo stesso Dante in prosa scriveva
fue
Marco1971 ha scritto:Spiacente di far crollare codesta teoria...
Infarinato ha scritto:L’unica spiegazione che mi viene in mente cosí su due piedi è che fusi derivi per troncamento da *fuesi, o meglio: da fue si > fu’ si /'fusi/
*prrrrrrrr*
Re: Un’altra mancata cogeminazione
Inviato: lun, 05 nov 2007 10:51
di Infarinato
Bue ha scritto:forse si faceva ancora sentire l'origine da fuit…
Piccola nota a margine su questo punto:
fue potrebbe continuare direttamente il latino
fūĭ(
t), ma è piú probabile che si tratti di una semplice paragoge di
fu /'fu*/ (<
fu[
i]
t, come
amò[
e] da
amau[
i]
t), che s’inserirebbe nella generale tendenza dell’italiano antico a evitare le parole tronche…
Re: Un'altra mancata cogeminazione
Inviato: mar, 25 nov 2008 14:07
di Decimo
Marco1971 ha scritto:Al verso 108 del canto III del
Paradiso Dante scrive:
Iddio si sa qual poi mia vita fusi.
Non è l'unico caso di degeminazione nella
Commedia. Si contano almeno altri tre esempi, tutti in rima e analoghi a
fusi:
parlòmi (
Purg., XIV, 76),
perdési (
Purg., XIX, 122),
fumi (
Par., XIII, 33), citati sbrigativamente dal Rohlfs, in conclusione di paragrafo, come campione di mancati rafforzamenti nella lingua letteraria (Fonetica, II, § 175).
Anche per essi invochiamo l’apocope della
e paragogica? o ammettiamo un’oscillazione dugentesca (neppure troppo infrequente, e conservatasi nel Trecento) del raddoppiamento fonosintattico per le forme verbali ossitone? o imputiamo la degeminazione alla rima, supponendo che i
fusi del Boccaccio siano dantismi?
P.S. Seguendo il consiglio di Infarinato, ho provato con
BibIt a cercarne altre occorrenze nella prosa antica, ma la confusione sorta coi rispettivi omografi (ché il programma, ahimè, non è sensibile agli accenti) mi ha fatto desistere...
Re: Un'altra mancata cogeminazione
Inviato: mar, 25 nov 2008 16:45
di Infarinato
Decimo ha scritto:Anche per essi invochiamo l’apocope della e paragogica? o ammettiamo un’oscillazione dugentesca (neppure troppo infrequente, e conservatasi nel Trecento) del raddoppiamento fonosintattico per le forme verbali ossitone? o imputiamo la degeminazione alla rima, supponendo che i fusi del Boccaccio siano dantismi?
Non lo so, caro Decimo. Mi sembrano tutte ipotesi possibili, tranne forse proprio quella d’un’oscillazione dugentesca del raddoppiamento fonosintattico: la mole delle attestazioni di RF in fiorentino (e in toscano in generale) è, pur nell’anarchia grafica delle scrizioni medievali, imponente, e questo fin dai primi decenni del XIII secolo.
Michele Loporcaro ritiene non improbabile che, in toscano, il RF condizionato accentualmente risalga addirittura al X secolo, quanto a quello dovuto ad assimilazione regressiva (cui si deve, almeno originariamente, il potere cogeminante di terze persone quali
fu e
amò —e nella
Commedia, fuor di rima, c’è anche un
parlommi [
Par., III, 121]) è indiscutibilmente d’origine tardolatina.
Certo, questo non impedisce che in alcune varietà [italo]romanze il primo tipo di RF non sia mai esistito e il secondo si sia perso (in parte o in tutto) molto presto. Ma —ripeto— postulare un’oscillazione del RF nel fiorentino dugentesco mi pare ipotesi troppo forte.