«Scespiriano, dickensiano...»
Inviato: ven, 15 feb 2008 3:00
Siccome di questo s’è parlato recentemente, trascrivo da Il museo degli errori, di Aldo Gabrielli (Milano, Mondadori, 1977, pp. 88-90).
La mia posizione (drastica, lo so) è questa: o si ricorre a «di X», rispettando la grafia originaria, o si fa l’aggettivo in italiano «stretto». Nel caso, ad esempio, di Trotskij, la cosa piú semplice sarebbe troschiano, troschismo.È possibile stabilire una regola per la formazione degli aggettivi derivati da nomi propri stranieri o di forma straniera? C’è chi scrive shakespeariano, ma anche chi scrive scespiriano attenendosi alla pronunzia del nome.
Anche questo è un problema che si dibatte da tempo tra i linguisti; ma è chiaro che una regola rigida non è possibile stabilirla potendo le soluzioni essere multiple, suggerite di volta in volta dalla struttura stessa del nome straniero. Ci sono infatti nomi stranieri di struttura prossima all’italiana, sia come suono sia come grafia, e in questi casi l’italianizzazione è generalmente facile, e viene spesso spontanea; altri invece ne sono lontanissimi, e qui l’italianizzazione diventa spesso ardua se non addirittura impossibile.
Appartengono alla prima serie nomi come Hugo, Molière, Balzac, Dickens, Kant, Wagner, Lamartine, ecc.; appartengono alla seconda nomi come Shakespeare, Rabelais, Boileau, Rousseau, Baudelaire, Nietzsche, Joyce, e via dicendo. Da Hugo è facile fare hughiano, anzi, unendolo al prenome, addirittura vittorughiano, e cosí da Molière faremo molieriano, da Balzac, balzachiano o anche, come sotto vedremo, balzacchiano, da Dickens, dickensiano, da Kant, kantiano, da Wagner, wagneriano, e italianizzando di piú, vagneriano, come scriveva l’Ojetti. I nostri cognomi preceduti dal de generalmente rispettano questo prefisso: cosí da De Sanctis si è fatto desanctisiano, da De Amicis, deamicisiano, da D’Annunzio, dannunziano; i Francesi invece in genere lo aboliscono, e sul loro modello abbiamo fatto lamartiniano, sansimoniano, mussetiano o mussettiano.
Assai diverso diventa il discorso con i nomi della seconda serie. Qui le soluzioni potrebbero essere due: o rispettare fin dove è possibile il nome straniero nella sua grafia facendolo seguire dal suffisso italiano opportunamente adattato, o trascrivere il nome secondo la pronunzia piú o meno fedele, con l’aggiunta del solito suffisso. È il caso appunto di shakespeariano e di scespiriano. Molti si allineano con la prima soluzione, molti altri con la seconda, e non si può dare ovviamente torto a nessuno. Io propenderei per la seconda, per pura coerenza linguistica che mi consiglia, tutte le volte che mi è possibile, l’italianizzazione totale della parola e non una composizione ibrida, mezzo straniera e mezzo italiana. Insomma preferirei in tutte lettere quel che pronunzio: pronunzio «scespir» e scrivo scespiriano, pronunzio «bodlèr» da Baudelaire, e faccio bodleriano, (il caro Baldini usò bodeleriano: fece un primo passo, ma gli mancò l’animo di fare un passetto di piú [no, caro Gabrielli, qui sbagli e aveva ragione il Baldini]; e cosí da Rabelais («rablè») avrò rablesiano, meglio a mio avviso che rabelesiano e rabelaisiano; da Goethe («götë»), goethiano, da Schiller («scíler»), schilleriano o anche scilleriano; da Heine («hàinë»), heiniano; da Nietzsche (italianizzato in «nicce»), nicciano, e non nietzschiano, se non vogliamo distorcerci le ganasce. Fin qui però le cose sono andate abbastanza facili per la possibilità di una buona sutura tra prefisso e suffisso. Ma ecco i nomi di Boileau [Bevilacqua], per esempio, di Rousseau, con quella finale tronca; da Boileau hanno fatto boleviano che ci sarà solo l’inventore a capirlo [e invece no, caro Gabrielli, è del tutto regolare]; io direi semmai bualoiano; da Rousseau è in uso l’aggettivo russoviano, con quella solita finale in -viano che è difficile da giustificare [e che invece si giustifica facilmente]. Piú ragionevole è il gioissiano da Joyce, che infatti già di frequente s’incontra. Io però in questi casi consiglierei di soprassedere all’aggettivazione del cognome, dicendo piú chiaramente di Boileau, di Rousseau, di Joyce.
Tornando alla preferenza che io consiglierei di dare alla italianizzazione il piú possibile completa del nome straniero, aggiungerò che quest’uso di italianizzare non è certo cosa nuova, ma in moltissimi casi stabilizzata da anni. Scriviamo tutti, senza eccezione, donchisciottesco, e non «donquijottesco», scriviamo ghigliottina e non «guillottina». Nessuno scriverebbe cavouriano o voltairiano, come un tempo si faceva, ma cavuriano (o cavurriano), volteriano (o volterriano) come la cosa piú naturale del mondo; e i recenti gollista e gollismo hanno presto spazzato via il gaullista e il gaullismo che si usarono sul principio.
E qui voglio aggiungere una piccola coda a proposito delle doppie forme ora viste, come balzachiano e balzacchiano, cavuriano e cavurriano, volteriano e volterriano. Come si spiegano? Si spiegano col fatto che questi nomi tronchi una volta italianizzati tendono a rafforzare la consonante finale, come appare particolarmente evidente nella corretta pronunzia toscana; da vermut i Toscani han fatto vèrmutte o vermútte, col normale diminutivo vermuttino; da bar i Toscani han fatto il barrista e non il barista. Cosí, Balzac italianizzato suona «balzacche» e non «balzache», Cavour diventa «cavurre», Voltaire diventa «volterre». E di qui le forme rafforzate balzacchiano, cavurriano, e volterriano. Quale delle due forme preferire? Premesso che sono entrambe corrette, avverrà che un Settentrionale preferirà le forme semplici, un Toscano, e piú genericamente un Centrale, non saprà usare altro che le forme raddoppiate.