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Calchi sintattici
Inviato: mer, 19 mar 2008 0:56
di Freelancer
Nell'ultimo numero del foglio La Crusca per Voi, Luca Serianni, rispondendo a un quesito sui calchi, cita una tesi di dottorato discussa all'Università di Ginevra il 25 maggio 2007,
Innovazioni sintattiche in italiano alla luce della nozione di calco scaricabile. È lunga quasi 300 pagine e non so quando potrò cominciare a darle un'occhiata, ma ho pensato che intanto chi è interessato e ha tempo potrebbe consultarla e magari iniziare a discuterne.
Ho anche osservato, nella bibliografia, il rimando a questo sito
L'anglicizzazione della lingua italiana e anch'esso, mi sembra, richiede un certo tempo (che io per il momento non ho) per la consultazione.
Inviato: mer, 19 mar 2008 4:29
di Marco1971
Tiuned steiamo.
Inviato: mer, 19 mar 2008 15:45
di Freelancer
Marco1971 ha scritto:Tiuned steiamo.
Ma che lingua è? Che significa?
Inviato: mer, 19 mar 2008 15:59
di Marco1971
Inviato: mer, 19 mar 2008 21:07
di Freelancer
In effetti il fatto che il tizio che parla dell'anglicizzazione dell'italiano chiuda la sua presentazione con questo cliché è un po' una profezia che si autoavvera o, se si vuole, una conferma inequivocabile. Un po' come l'inglese che lei e qualcun altro ogni tanto butta qui e lì magari giocosamente, ma che in fin dei conti rivela una certa dipendenza linguistica,
l'impossibilità di riuscire a parlare senza condire la propria lingua con un po' di inglese, la necessità di ricorrere a modi di dire inglesi per sottolineare il proprio discorso.

Inviato: mer, 19 mar 2008 21:26
di Marco1971
Nessuna dipendenza o impossibilità: io amo l’inglese e mi posso permettere – come quegli altri a cui allude – di usarlo
occasionalmente in citazioni (sempre in corsivo) perché lo so scrivere e pronunciare (con ossoniense accento: ho registrato un passo dell’
Orlando di Virginia Woolf,
si vous êtes preneur).

Inviato: mer, 19 mar 2008 22:35
di Freelancer
Marco1971 ha scritto:Nessuna dipendenza o impossibilità: io amo l’inglese e mi posso permettere – come quegli altri a cui allude – di usarlo
occasionalmente in citazioni (sempre in corsivo) perché lo so scrivere e pronunciare (con ossoniense accento: ho registrato un passo dell’
Orlando di Virginia Woolf,
si vous êtes preneur).

Accetto la sua affermazione. Mi resta però il convincimento che lei, come il 99,99% delle persone - che lo parlino più o meno bene - gli dia troppa importanza; non riesce a mantenere il sufficiente distacco perché non vive in un paese anglofono e quindi non lo vede all'opera quotidianamente. Prova ne è la sua tendenza a coniare calchi per veicolare significati magari banali per i quali esistono già termini o espressioni italiane.

Inviato: mer, 19 mar 2008 22:42
di Marco1971
Si ricreda: in casa mia parlo inglese tutti i giorni (e non si tratta di soliloquio). E non sottovaluti la mia conoscenza della lingua di Dante: non creo calchi inutili.

Inviato: mer, 19 mar 2008 22:52
di Freelancer
Marco1971 ha scritto:Si ricreda: in casa mia parlo inglese tutti i giorni (e non si tratta di soliloquio). E non sottovaluti la mia conoscenza della lingua di Dante: non creo calchi inutili.

La sua conoscenza dell'italiano non la sottovaluto di certo, ci mancherebbe. Muovo solo amichevoli appunti al suo trattamento dell'inglese nei rapporti con l'italiano. Ma sto divagando. Forse possiamo ritornare a discutere non appena avremo dato un'occhiata alla tesi di cui sopra, che ne dice?
Inviato: mer, 19 mar 2008 22:57
di Marco1971
Sí. Appena
ci avremo dato un’occhiata.

Inviato: mer, 19 mar 2008 23:11
di Freelancer
Marco1971 ha scritto:Sí. Appena
ci avremo dato un’occhiata.

Se scrive questo, allora deve riportare l'intero scambio epistolare che abbiamo avuto in privato, citazione dal libro di Leone inclusa.
