«Grazie»

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Fausto Raso
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«Grazie»

Intervento di Fausto Raso »

Ho inviato questo messaggio al linguista di un quotidiano in rete in risposta a un lettore che chiedeva “lumi” circa l’uso corretto di “mezzo” e “grazie”
Avverbi o aggettivi?
Sentiamo (e leggiamo) le espressioni: "le due e mezzA", "grazie moltE"...Ma non si tratta di avverbi? Non dovrebbero perciò essere: "mezzo" e "molto"?

Martedì, 25 Marzo 2008
Sì, si tratta di avverbi (specialmente nel secondo caso). L'uso tuttavia finirà per consentire (è già accaduto per l'indicazione dell'ora) la forma aggettivale.
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Cortese Professore,
non me ne voglia, la prego, ma sono costretto, ancora una volta, a dissentire da lei su quanto scrive.
Grazie non è un avverbio ma una interiezione che si adopera per esprimere riconoscenza, gratitudine, ringraziamento: grazie, Giovanni, per ciò che hai fatto! Si adopera anche come locuzione prepositiva con il significato di “per merito...” e simili: grazie a te sono riuscito nel mio intento. È anche un sostantivo maschile invariato adoperato per esprimere un “sentito” ringraziamento: un grazie particolare a tutti coloro che mi hanno aiutato.
Fausto Raso
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

E neanche mezzo è qui avverbio… Dal Treccani in linea:

5. Sostantivato con valore neutro, un mezzo, una metà: due m. fanno un intero; spec. dopo un numerale, sottintendendo il sostantivo precedentemente espresso: un litro e m.; quattro chili e m.; ha sedici anni e m.; dopo circa due mesi e m.; per conoscere un furbo, ci vuole un furbo e m. (prov.). Riferito a un sost. femm. precedente, si fa spesso la concordanza: sette sterline e mezza, una bottiglia e mezza, due scatole e mezza; così anche nell’indicazione dell’ora: sono le dieci e mezza, ci vediamo alle quattro e mezza, ma più correttamente le dieci e mezzo, le quattro e mezzo; per l’uso del femm. sostantivato la mezza, v. MEZZA.

Non deve stupire che certe cose non le sappiano tutti; deve stupire che certe cose non le sappiano coloro che tengono una rubríca linguistica e rispondono ai quesiti – evidentemente senza neanche aprire, banalmente, un buon vocabolario... :?
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Su mezzo, nell'indicazione delle ore, ecco un piccolo florilegio di citazioni:

Sintassi del Fornaciari (1881), cap. V - Uso dei numerali, par. 11: "Per indicare dopo una quantità intera una metà della quantità stessa, si adopera l'aggettivo 'mezzo' in senso neutro e senza articolo".

Grammatica del Serianni, ed. Garzantina (1997), pag. 556, alla voce "mezzo" (inserto dell'indice analitico): "La forma grammaticalmente consigliabile sarebbe quella invariata ('mezzo'), trattandosi di un aggettivo usato in funzione di avverbio… Entrambe le forme sono da considerarsi accettabili".

Aldo Gabrielli, Il museo degli errori, Mondadori 1977, nel cap. III alla stessa voce esprime, sulla possibilità di usare le due forme, considerazioni simili a quelle di Serianni, ma conclude: "Se però un consiglio ci venisse chiesto, non esiteremmo a suggerire il rispetto della forma avverbiale invariata… in particolare nelle indicazioni delle ore …".

Vocabolario Palazzi (II ed. 1957), alla voce ‘mezzo’: "… Quando è posposto al nome diventa avverbio, e deve restare invariato: sono le tre e mezzo…".
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Sí, ma il dire «È un avverbio» non appare grammaticalmente esatto: i dizionari registrano e mezzo/e mezza sia all’interno della trattazione dell’aggettivo, sia in quella del sostantivo, come fa il Sabatini-Coletti:
mezzo s.m. 1. La metà di un intero (usato spec. dopo un numerale sottintendendo il sost. espresso in precedenza; in certi casi lo si considera come agg. e lo si concorda al f.): due chili e m. di funghi; l’appuntamento è per le otto e m.; ha impiegato due giornate e mezza.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Sia chiaro, non sto difendendo Di Rienzo che nella sua risposta avrebbe potuto essere più preciso; e bene fanno i dizionari a trattare il lemma come aggettivo o sostantivo. Volevo solo far notare che la forma invariata può essere considerata un aggettivo con funzione avverbiale.

Quasi fuori tema devo sottolineare il totale fraintendimento della questione nell’intervento di apertura di questa discussione. È evidente che sia nella domanda sia nella risposta non è in discussione la natura di “grazie”. Avevo pensato, in un primo tempo, ad un abbaglio del buon Fausto ma visto che egli mi ha confermato in privato la sua interpretazione mi trovo costretto a segnalarne pubblicamente l’inverosimiglianza.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Se diamo per buona la definizione che di avverbio dà il GRADIT (in tutto e per tutto uguale a quella dell’edizione minore De Mauro; sott. mia nella citazione qui sotto), è difficile considerare e mezza forma impiegata con funzione avverbiale (visto che sottintende un sostantivo femminile).

avverbio parte invariabile del discorso che serve a modificare o a specificare il significato di un verbo, di un aggettivo o di un altro avverbio o anche di un’intera proposizione (e l’invariabilità dell’avverbio ha fatto sì che in questa parte del discorso si facciano rientrare parole invariabili come sì, no, ecco).

Su *grazie molto: non è italiano. Grazie è un sostantivo plurale usato come esclamazione, e quando s’intensifica, si fa con aggettivi – preposti o posposti – (Molte/tante/infinite grazie; Grazie molte/tante/infinite) o col numerale mille (Mille grazie/Grazie mille).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di bubu7 »

Marco1971 ha scritto:…è difficile considerare e mezza forma impiegata con funzione avverbiale (visto che sottintende un sostantivo femminile).
Ma certo. Infatti avevo scritto:
bubu7 ha scritto:Volevo solo far notare che la forma invariata può essere considerata un aggettivo con funzione avverbiale.
Ritorniamo però al nostro esempio le due e mezzo/a e cerchiamo di chiarire la natura di quel mezzo e di quel mezza che non si evince chiaramente da alcune delle mie citazioni tagliate in maniera poco opportuna.

Diciamo subito che quel mezzo non può considerarsi avverbio, nonostante la sua invariabilità, bensì – come ricordava Marco nel suo primo intervento, citando il Treccani – un aggettivo sostantivato con valore neutro.

L’avverbio è un generico modificatore invariabile del significato di altri elementi (l’aggettivo è invece un modificatore che si accorda al termine modificato). Nel nostro esempio mezzo non modifica altri elementi (neanche sottintesi) ma significa semplicemente un mezzo, una metà; si tratta quindi di un aggettivo sostantivato con valore neutro.

Nel caso di le due e mezza si sottintende chiaramente il sostantivo ora (‘mezza ora’): mezza è qui aggettivo.

L’alternativa aggettivo con funzione avverbiale/aggettivo si ha invece in un altro caso.

Esempio:

Una casa mezzo/a diroccata.

In quest’esempio la forma invariata è un modificatore di diroccata. Qui possiamo parlare di aggettivo con funzione avverbiale.
Se invece usiamo la forma accordata mezza, rientriamo nel caso di un aggettivo (che modifica un altro aggettivo: diroccata).

Conclusione: la risposta del linguista del Corriere della Sera, contrariamente a quanto ho sostenuto in precedenza, non è imprecisa ma è errata: mezzo, in quel caso, non può considerarsi aggettivo con funzione avverbiale bensì aggettivo sostantivato con valore neutro. :)
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

bubu7 ha scritto:Conclusione: la risposta del linguista del Corriere della Sera, contrariamente a quanto ho sostenuto in precedenza, non è imprecisa ma è errata...
Magari fosse un caso isolato, ma molte risposte di quel linguista (?) sono imprecise o addirittura errate... :(
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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