La "Diligentia quam suis" del depositario
Inviato: mar, 22 apr 2008 21:58
Non so se un quesito del genere sia ammesso in questo fòro della lingua italiana, perciò, qualora non lo sia, cancellàtelo pure. (In tal caso, anticipo le mie scuse.)
«Quod Nerva diceret latiorem culpam dolum esse, Proculo displicebat, mihi verissimum videtur. Nam et si quis non ad eum modum quem hominum natura desiderat diligens est, nisi tamen ad suum modum curam in deposito praestat, fraude non caret. Nec enim salva fide minorem is quam suis rebus diligentiam praestabit.»
Si tratta del famoso dissenso fra Nerva e Proculo ricordato da Celso nella c.d. ‘lex quod Nerva’ (D. 16.3.32, Cels. 9 dig.), sulla cui base, a partire dai glossatori, è stata costruita la regola della diligentia quam suis del depositario per la quale, nella custodia della cosa depositata, il depositario è tenuto alla stessa diligenza che usa normalmente nel custodire le cose proprie.
Questa è la mia traduzione (alla lettera):
Il fatto che Nerva dicesse che la LATIOREM CULPAM (‘negligenza eccessiva’/qui è un comparativo assoluto [cioè non è posto in rapporto ad un secondo termine di paragone – ma]: c’è un’equiparazione – cara ai compilatori – fra dolo e culpa lata – latiorem culpam dolum esse) era (è) dolo, a Proculo dispiaceva, a me sembra giustissimo.
Si potrebbe riscrivere:
A me sembra giustissimo il fatto che Nerva dicesse che la LATIOREM CULPAM era (è) dolo, («ma» – che non c’è –) a Proculo dispiaceva.
Infatti anche se (et si… tamen: ‘quantunque’, ‘anche se’… ‘tuttavia’) qualcuno è diligente (ma) non in quel modo che la natura degli uomini richiede, a meno che, però, nel deposito non presti la diligenza nel modo che è suo proprio nel custodire le cose – cioè, quella stessa diligenza che usa normalmente nel custodire le cose proprie di cui sopra – non è esente da frode.
Secondo voi si potrebbe tradurre in quest’altro modo?
Infatti anche se qualcuno non (premesso al verbo) è diligente in quel modo che la natura degli uomini richiede, a meno che, però, nel deposito non presti la diligenza nel modo che è suo proprio nel custodire le cose, non è esente da frode.
Riguardando bene, però, credo che sia piú giusta questa traduzione (diversa dalle precedenti):
Infatti (anche/et) se qualcuno è diligente non in quel modo che la natura degli uomini richiede, (tuttavia/tamen) se nel deposito non presta la diligenza nel modo che è suo proprio nel custodire le cose – cioè, quella stessa diligenza che usa normalmente nel custodire le cose proprie di cui sopra – non è esente da frode.
L’ultima frase mi ha fatto sorgere dubbi:
Nec enim significa ‘poiché non’; ‘e infatti non’. Io ricordo che quando si traduce una proposizione si parte dal verbo per individuare il soggetto: mi pare sia is» (‘quello’). Ricordo anche che la negazione nec la premettevo al verbo, però, se cosí facessi, la frase avrebbe un senso che non sarebbe quello che dovrebbe avere.
Cerco di rendere l’idea:
Poiché, senza mancare alla parola data (salva fide), non presterà minore diligenza di quella che usa normalmente nel custodire le cose proprie.
Cosí tradotta, la frase risulterebbe scevra di senso, considerando quanto detto prima.
A me pare, pertanto, che quel nec vada riferito a salva fide, cosí:
Poiché, non senza mancare alla parola data (quindi – per quel non – ‘mancando alla parola data’), presterà minore diligenza di quella che usa normalmente nel custodire le cose proprie.
La mia traduzione è accettabile? C’è qualcuno di voi che saprebbe dirmi qualcosa sull’ultima frase? In particolare su quel nec?
Spero solo che il mio filone non venga radiato.
«Quod Nerva diceret latiorem culpam dolum esse, Proculo displicebat, mihi verissimum videtur. Nam et si quis non ad eum modum quem hominum natura desiderat diligens est, nisi tamen ad suum modum curam in deposito praestat, fraude non caret. Nec enim salva fide minorem is quam suis rebus diligentiam praestabit.»
Si tratta del famoso dissenso fra Nerva e Proculo ricordato da Celso nella c.d. ‘lex quod Nerva’ (D. 16.3.32, Cels. 9 dig.), sulla cui base, a partire dai glossatori, è stata costruita la regola della diligentia quam suis del depositario per la quale, nella custodia della cosa depositata, il depositario è tenuto alla stessa diligenza che usa normalmente nel custodire le cose proprie.
Questa è la mia traduzione (alla lettera):
Il fatto che Nerva dicesse che la LATIOREM CULPAM (‘negligenza eccessiva’/qui è un comparativo assoluto [cioè non è posto in rapporto ad un secondo termine di paragone – ma]: c’è un’equiparazione – cara ai compilatori – fra dolo e culpa lata – latiorem culpam dolum esse) era (è) dolo, a Proculo dispiaceva, a me sembra giustissimo.
Si potrebbe riscrivere:
A me sembra giustissimo il fatto che Nerva dicesse che la LATIOREM CULPAM era (è) dolo, («ma» – che non c’è –) a Proculo dispiaceva.
Infatti anche se (et si… tamen: ‘quantunque’, ‘anche se’… ‘tuttavia’) qualcuno è diligente (ma) non in quel modo che la natura degli uomini richiede, a meno che, però, nel deposito non presti la diligenza nel modo che è suo proprio nel custodire le cose – cioè, quella stessa diligenza che usa normalmente nel custodire le cose proprie di cui sopra – non è esente da frode.
Secondo voi si potrebbe tradurre in quest’altro modo?
Infatti anche se qualcuno non (premesso al verbo) è diligente in quel modo che la natura degli uomini richiede, a meno che, però, nel deposito non presti la diligenza nel modo che è suo proprio nel custodire le cose, non è esente da frode.
Riguardando bene, però, credo che sia piú giusta questa traduzione (diversa dalle precedenti):
Infatti (anche/et) se qualcuno è diligente non in quel modo che la natura degli uomini richiede, (tuttavia/tamen) se nel deposito non presta la diligenza nel modo che è suo proprio nel custodire le cose – cioè, quella stessa diligenza che usa normalmente nel custodire le cose proprie di cui sopra – non è esente da frode.
L’ultima frase mi ha fatto sorgere dubbi:
Nec enim significa ‘poiché non’; ‘e infatti non’. Io ricordo che quando si traduce una proposizione si parte dal verbo per individuare il soggetto: mi pare sia is» (‘quello’). Ricordo anche che la negazione nec la premettevo al verbo, però, se cosí facessi, la frase avrebbe un senso che non sarebbe quello che dovrebbe avere.
Cerco di rendere l’idea:
Poiché, senza mancare alla parola data (salva fide), non presterà minore diligenza di quella che usa normalmente nel custodire le cose proprie.
Cosí tradotta, la frase risulterebbe scevra di senso, considerando quanto detto prima.
A me pare, pertanto, che quel nec vada riferito a salva fide, cosí:
Poiché, non senza mancare alla parola data (quindi – per quel non – ‘mancando alla parola data’), presterà minore diligenza di quella che usa normalmente nel custodire le cose proprie.
La mia traduzione è accettabile? C’è qualcuno di voi che saprebbe dirmi qualcosa sull’ultima frase? In particolare su quel nec?
Spero solo che il mio filone non venga radiato.
