Condanna e assoluzione dei «cari saluti»

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Marco1971
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Condanna e assoluzione dei «cari saluti»

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Il Gabrielli, nel suo Museo degli errori, scrive:
Ecco uno di quei casi sottili intorno ai quali tanto si davan da fare gli antichi puristi e schiumava di rabbia il bonarissimo Arlía, che non avrebbe osato far male a una mosca, ma prometteva “sante nerbate” a tutti coloro che avessero osato maltrattare la lingua. Vediamo un po’: che vuol dire caro? Vuol dire “amato”, “a cui si porta affezione”. Diremo bene, perciò, “caro babbo”, “mia cara figliola”. Ma cari saluti? Amati da chi? Da chi li manda? Tanto meno da chi deve riceverli. Peggio ancora, si mandano “Gentili saluti”, “Saluti gentilissimi”. Il giudicare i nostri saluti come cari, cioè graditi al punto da essere amati, è cosa di assoluta pertinenza del destinatario, e non del mittente; e sulla gentilezza di un nostro saluto bisogna lasciare il giudizio a chi li accoglie non già a chi li invia. Una sottigliezza, d’accordo, una innocente illogicità, che generalmente sfugge, ma è anche tanto facile evitarla. Diremo perciò “cordiali saluti”, “affettuosi saluti”, perché tanto l’aggettivo cordiale, “che viene dal cuore”, quanto l’aggettivo affettuoso, “che dimostra affetto, son in questo caso azzeccatissimi. Il famoso poeta tragico Giambattista Niccolini scrisse un giorno all’amico Mario Pieri, letterato e prosatore raffinato, una lettera di sfogo contro gli accademici della Crusca che avevano assegnato un seggio al canonico Moreni anziché al Roscoe, un Inglese studioso di lettere e arti italiane. “Lo crederesti?” si scandalizzava il Niccolini “fu preferito a Guglielmo Roscoe il canonico Moreni, uomo ignoto alle lettere e cosí bestiale scrittore che in una lettera stampata si è sottoscritto Vostro carissimo amico!”
Non mancano poi altri aggettivi, buoni per tutti gli affetti e per tutte le confidenze: saluti amichevoli, rispettosi, devoti, oppure tanti, tantissimi saluti, saluti infiniti, e perfino un ardito salutissimi. Andrei piano con sinceri saluti: è una dichiarazione non richiesta che potrebbe mettere in sospetto chi li riceve. Per lo stesso motivo asteniamoci dai migliori saluti, ché i “peggiori saluti” non si mandano neppure a un nemico. In quanto a distinti saluti, confesso che non mi riesce di arricciare il naso, come certi fanno, di fronte a questa formula che, se anche di schietta derivazione francese, è sempre difendibile: potrebbe trattarsi, voglio dire, di saluti specialissimi, ben “distinti” da quelli comuni che si mandano a persone cosí cosí, o con le quali abbiamo confidenza.
Lo stesso Gabrielli, nel suo dizionario bivolume, alla voce caro, scrive:
Tanti cari saluti, formula cortese per concludere una lettera.
Non c’era bisogno di scagliarsi contro i cari saluti, per due motivi: primo, perché caro ha, da tempo immemorabile, il significato di «affezionato, amabile, cortese; affettuoso, simpatico» (Battaglia); secondo, perché è formula epistolare sancita dall’uso, cristallizzata, e come tale accolta nei dizionari.

Ecco un bell’esempio di purismo irragionevole, quello che condanna legittime estensioni semantiche.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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