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Elisione di «che»

Inviato: lun, 08 set 2008 1:23
di Marco1971
Ormai non si elide quasi mai, che si tratti della congiunzione o del pronome. Consultando il DOP e il DiPI sono rimasto sorpreso di trovare ammesse grafie come ch’ho. La mia perplessità m’ha condotto allora a cercare nella LIZ[a], dove, di questa grafia, ci sono infiniti esempi, anche presso Leopardi... (e trasecolai! :D)

Esteticamente non mi garba questa successione di ‘h’, e farei come Sandro Penna, poeta novecentesco: c’ho (possibilità contemplata dal DOP, che la definisce letteraria). Ch’io, ch’egli, nulla di squassante; ma Ch’hai? :?

Inviato: lun, 08 set 2008 11:27
di Incarcato
Ch'ho ricordo d'averlo trovato anche in Pascoli, magari nella LIZ c'era.

Inviato: lun, 08 set 2008 15:59
di Marco1971
Sí, c’è anche in Pascoli. Uno degli esempi è tratto dalle Myricae:

Andiamoci, a mimmi,
lontano lontano...
Din don... Oh! ma dimmi:
non vedi ch’ho in mano
il cercine novo,
le scarpe d’avvío?
Sei morto: non vedi,
mio piccolo cieco!
(Il morticino)

Inviato: lun, 08 set 2008 19:07
di Fausto Raso
Trovo ORRENDA la grafia ch'ho e simili. Stupisce il constatare che sia stata adoperata da insigni letterati. :shock:

Inviato: mar, 16 set 2008 23:47
di Federico
Un conflitto dovuto ai diversi significati della h. Non c'è nessuna soluzione perfetta.

Inviato: mar, 16 set 2008 23:51
di Marco1971
Federico ha scritto:Un conflitto dovuto ai diversi significati della h. Non c'è nessuna soluzione perfetta.
Non capisco bene. Potrebbe esplicitare?