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[xCRA] «Quatrano» (parlata aquilana)

Inviato: dom, 12 apr 2009 1:14
di Andrea D'Emilio
http://www.bartolomeodimonaco.it/online/?p=1440 (alla fine).
A L'Aquila i ragazzini si chiamano ''quatrani'', dal latino ''quatranus'', lo scolaro che va in fila per quattro.
Colgo l'occasione per ricordare Panfilo Gentile, grande aquilano.

Re: [xCRA] «Quatrano» (parlata aquilana)

Inviato: gio, 09 giu 2011 16:47
di LinguisticaMente
Andrea D'Emilio ha scritto:A L'Aquila i ragazzini si chiamano ''quatrani'', dal latino ''quatranus'', lo scolaro che va in fila per quattro.
Gentile Andrea, nella zona in cui abito (Alto Casertano), tale termine è sconosciuto, come lo sono anche i termini napoletani di guaglione e guagliona (usati per intendere, rispettivamente, il ragazzo e la ragazza). Essi sono resi da vaglione (vagliòne) e vagliola (vaglióla), che però richiamano foneticamente i termini napoletani appena citati. Tuttavia, so che in qualche paese limitrofo a Caserta il termine dialettale che corrisponde a ragazza è quadrana.
Mi era sconosciuta l'etimologia di tale termine e la ringrazio per averla fornita. :)

Inviato: gio, 09 giu 2011 17:10
di zeneize
Molto interessante. Tra l'altro credo che ogni lingua abbia un repertorio praticamente infinito per nominare i ragazzi o i giovani in genere. Per esempio in genovese:

figgeu /fi’dZø :/
figgeua /fi’dZø :a/, figgia /’fidZa/, figgetta /fi’dZeta/ (“ragazza”)
bagarillo /baga’rilu/ (questo più vicino all’italiano “marmocchio”)
gardetto /gar’detu/
garson /gar’suN/
bardasciamme /barda’Same/
bagasceu /baga’Sø:/
foento /’fweNtu/ e fante /’faNte/, usati soprattutto in Riviera e nell’entroterra

...e chissà quanti altri che ora non mi sovvengono
:)

Inviato: gio, 09 giu 2011 17:56
di Ferdinand Bardamu
In veronese: butelo/butel («ragazzo»), con il diminutivo butin («bambino») e buteleto («ragazzino»). Poi c’è bocia, che vale sia «bambino» sia «apprendista» (la voce credo travalichi i confini del Veronese e del Veneto: ne ho sentito esempi, nell’accezione di apprendista, anche in Trentino).

Inviato: gio, 09 giu 2011 18:32
di u merlu rucà
Ferdinand Bardamu ha scritto:In veronese: butelo/butel («ragazzo»), con il diminutivo butin («bambino») e buteleto («ragazzino»). Poi c’è bocia, che vale sia «bambino» sia «apprendista» (la voce credo travalichi i confini del Veronese e del Veneto: ne ho sentito esempi, nell’accezione di apprendista, anche in Trentino).
Nell'accezione 'apprendista' travalica alla grande. Pure in Liguria ha lo stesso significato.

Inviato: lun, 16 lug 2012 18:58
di Peucezio
Circa quatraro o quatrano, mi risulta che il senso sia un altro: colui che va a quattro zampe, quindi il bambino.
E' vero che dopo i due anni non si va più a quattro zampe, ma in genere i termini per "ragazzo" e "ragazza" sono legati a caratteristiche dell'infanzia indipendentemente dal fatto che i soggetti così indicati abbiano tali caratteristiche. In molti dialetti del sud "ragazzo" si dice caroso o caruso, che vuol dire "sbarbato", anche se ci si riferisce a giovani non più imberbi. Nella Lombardia occidentale "ragazza" si dice tosa (leggi: tusa), che viene da tondere, quindi significa "rasata, sbarbata". Va da sé che le donne non hanno bisogno di essere giovani per non avere la barba e tra l'altro "ragazzo" si dice fioeu, cioè figliuolo, quindi paradossalmente il termine legato alla comparsa della barba riguarda solo le donne, benché in origine sarà esistito anche il maschile.

Inviato: lun, 16 lug 2012 21:38
di Carnby
In Toscana prevale il tipo ragazzo (che sembra derivi dall'arabo magrebino raqqas, ma resta il problema della diffusione di questo presunto arabismo); dallla consultazione dell'AIS si nota anche una sovrapposizione con i tipi bambino (toscano centrale) e bimbo (toscano occidentale) riservati di solito ai più piccoli; in Toscana meridionale è frequente citto mentre sulla montagna pistoiese spunta un fancillo, forma vernacola di fanciullo. A confine con il Lazio compaiono i tipi non-toscani monello (munellu) e tiarella; in Lunigiana, ovviamente, forme settentrionali come fiö e fiöla.

Inviato: lun, 16 lug 2012 22:42
di Andrea Russo
Carnby ha scritto:bimbo (toscano occidentale) riservati di solito ai più piccoli
Di solito: almeno qui a Pisa è frequente soprattutto (se non esclusivamente) al femminile. Quindi si può sentir dire le bimbe (riferendosi quindi a ragazze, adolescenti, specialmente quando formano un gruppo), ma credo sia raro (se non – ripeto – inesistente) i bimbi, sempre per riferirsi ai ragazzi.

Una volta con un gruppo di ragazzi di altre regioni d'Italia (non mi ricordo se nello specifico erano settentrionali o meridionali, ma forse del Nord) chiesi dov'erano «le bimbe», al che mi guardarono male, e le ragazze in questione se la presero...

Inviato: lun, 16 lug 2012 23:09
di marcocurreli
In sardo campidanese ragazzo si dice piccioccu, diminutivo piccioccheddu. Bambino pipiu, diminutivo pipieddu.

Inviato: mar, 17 lug 2012 9:28
di domna charola
Nella fascia pedemontana fra Bergamo e Brescia sento usare gnaro/gnara (con gn nasale palatale), che invece non mi sembra si usi a Bergamo e nelle sue valli, nè ho mai sentito dai nonni della Val Sabbia (BS). Non so però quali siano i confini del termine, se sia originario della Pianura o cos'altro.

Inviato: gio, 19 lug 2012 10:21
di Fabio48
In Lucchesia si usa anche il termine "bamboretto", ma più che altro in senso dispregiativo:

"Ma 'un ti ci confonde con lu 'llà; 'un lo vedi che è un bamboretto?"

"No, no. 'Un mi ci garba punto, è sempre pieno di bamboretti lammiosi e antepati!"

Cordialità.

Inviato: sab, 04 ago 2012 23:20
di cambrilenc
Ciao a tutti/e, primo messagio qui. Non sono italiano, quindi, scusate gli errori.

Forse il veronese butelo/butel a qualche rapporto col pramzan (parmigiano) puten

Nel piemonte si usa le masnà, i bimbi, molto simile al catalano la mainada, derivato da mansiōne ‘casa’.

Inviato: dom, 05 ago 2012 11:05
di Carnby
cambrilenc ha scritto:Nel piemonte si usa le masnà, i bimbi, molto simile al catalano la mainada, derivato da mansiōne ‘casa’.
Stessa origine di masnada, che i dizionarî etimologici fanno derivare dal provenzale; l'area è comunque quella.

Re: [xCRA] «Quatrano» (parlata aquilana)

Inviato: mar, 14 lug 2020 14:15
di rosetta
A proposito di quatrano ho trovato un'altra spiegazione.
Nel periodo della dominazione spagnola a L'Aquila la mortalità infantile era elevata e la registrazione dei nuovi nati avveniva solo per i bambini che avevano compiuto 4 anni d'età.
In spagnolo "quatro anos" , di qui quatrano...non lo so potrebbe essere?

Re: [xCRA] «Quatrano» (parlata aquilana)

Inviato: mar, 14 lug 2020 15:22
di Ligure
Dal momento che la voce compare, ad es., anche nel casertano, occorrerebbe una spiegazione che - ovviamente - potesse prescindere da vicende esclusivamente aquilane.

Essendo, inoltre, una voce chiaramente dialettale - al di là delle dominazioni politiche - è molto poco probabile che il popolo aquilano e quello casertano (al di là dell'effettiva possibilità d'acquisizione di prestiti di singole parole) padroneggiassero la lingua castigliana, se pure in espressioni alquanto semplici, a un livello tale da coniare formazioni del genere.

Anzi, è da escludersi.

Certamente nessuno - dal più umile poveraccio fino all'aristocratico più sofisticato - avrebbe mai fatto ricorso a un "ispanismo" per esprimere una metrica così banale (4 anni). Quale bisogno ce ne sarebbe mai stato?

Faccio, per altro, notare che "quatro" è portoghese, non castigliano (o spagnolo). In castigliano la grafia è "cuatro". Cambia la scrizione, ma cambia pure la pronuncia. Analogamente vale per "ano/anos", che non significa certamente "anno/anni". Anche in questo caso cambia la grafia, la pronuncia e - soprattutto - il significato.

Ma se si trattasse di "años", ciò che pare assai più ragionevole che di "anos" (!), per altro, la pronuncia non tornerebbe ... mentre, ovviamente, una formazione lessicale fondata su "ano/anos" sarebbe chiaramente da escludersi ...

P.S.: inoltre, nella tradizione popolare italiana, voci che facessero un riferimento preciso all'età non venivano attribuite ai bambini, ma - tipicamente - ad animali d'allevamento quali, ad es., pecore o capre (anche questo dato del contesto tradizionale andrebbe preso adeguatamente in considerazione).

Ma il nome assegnato, ad es., alla pecora di due anni non giunse mai a indicare l'animale pecora in generale. Il significato che s'intendeva comunicare ne sarebbe stato - inevitabilmente - "distorto".

In nessun linguaggio popolare si sarebbe mai nominata mediante un numero d'anni specifico una fascia giovanile della popolazione caratterizzata da un ampio intervallo d'età.

P.P.S.: Ciò che - metodologicamente - andava detto è stato detto. Rimango - per altro - sempre accorato quando mi rendo conto che si attribuiscono ai parlanti di un tempo illogicità totali, che nessuna collettività sociale umana avrebbe mai partorito. Si trattava di parlanti - in realtà - certamente dotati di buon senso, in contatto con la realtà e totalmente adeguati alle condizioni del contesto sociale e storico in cui vivevano. Dei nostri antenati. Se fossero stati così sconclusionati e "bizzarri", non sarebbero neppure stati in grado di "riprodursi" e provvedere opportunamente alla prole e noi - come Darwin insegna - non saremmo qui a parlare. Mi sono "sgolato" a chiarire - per l'ennesima volta - il concetto, ma gli studiosi devono essere più sintetici e "tranchants".

Nel merito, cioè in relazione ai tentativi di para-etimologie del tipo di quella analizzata, Francesco Avolio - nell'articolo intitolato Osservazioni sull’«Alfabeto Aquilano», che comparve nel numero del novembre 2015 della rivista linguistica Italienisch - parla - senza mezzi termini - di "leggenda metropolitana" e, inoltre, riferisce varianti della voce in esame, che mostrano - come ho già scritto - l'impossibiltà di un qualsiasi tipo di derivazione da "ano" (!!!) - ovviamente -, come pure da "año".

Infatti, l'Autore scrive: " Alla lettera Q (altra lettera «difficile», ma non in questo caso) c’è un Quatrà!, di cui è stata riprodotta in basso anche la variante non apocopata Quatrano, che vuol dire ‘ragazzo’. È un’altra delle parole «bandiera» dell’aquilano: dialetti anche molto vicini usano infatti altri sinonimi, da bardascio (particolarmente diffuso in Umbria e nelle Marche) a vajjóne (già in alcune frazioni aquilane, spesso usato anche come richiamo), da monéllu (Rieti e dintorni, Sabina) a cìtulu, cìturu (Leonessano, Teramano, che però spesso significa anche ‘bambino’) ecc., mentre varianti come quatralə, quatrarə, cotraru e simili si ritrovano anche, a tratti, più a Sud, dall’Abruzzo chietino fino alla Calabria . Una «leggenda metropolitana» piuttosto diffusa vuole che sia un ispanismo, da cuatro años, etimologia anche foneticamente impossibile (la nasale palatale non si perde così facilmente) . Restano però sul tappeto varie ipotesi, tra cui quella da un lat . volgare quadrum, pl . quadra, sinonimo di frustum‘pezzo, pezzetto’, o, anche, da *quadralis, *quadranus (erede del classico quadrans) ‘del valore di una quarta parte’ e quindi ‘ragazzo piccolo’, o ancora da quadrarius ‘quadrato, robusto’ . È possibile che ciascuna delle varianti meridionali oggi attestate possa continuare una di queste specifiche basi latine, ma non si può escludere, comunque, neppure una connessione o un incrocio con il longobardo wahtari ‘guardiano’, che in italiano ha dato (s)guattero."