La FLC Cgil e la tutela della Lingua nazionale

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Marco1971
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La FLC Cgil e la tutela della Lingua nazionale

Intervento di Marco1971 »

Temendo che possa sparire, ricopio il testo che si trova qui.

Accanto alla difesa del plurilinguismo e alla tutela della seconda lingua comunitaria, come da nostra ultima iniziativa a Roma il 16 marzo 2009, la FLC Cgil pensa che sia altrettanto importante tutelare la lingua nazionale.
Queste due posizioni non sono per nulla in contrasto ma assolutamente complementari e stiamo partecipando attivamente alla costituzione di un Comitato internazionale a Parigi affinché le diversità culturali vengano rispettate, per il Diritto dei Lavoratori ad esprimersi nella loro lingua nazionale nel proprio paese.
Un popolo che rinuncia alla sua lingua rinuncia alla sua anima.
Ogni giorno assistiamo ad un impoverimento, ad un deterioramento e ad una contaminazione della lingua di Dante con un abuso di parole straniere amate, in particolar modo, anche dai nostri politici.
Basti pensare a “I care” di Veltroni o alla “Question Time” di Violante o al Welfare che inonda i nostri giornali, sempre con la presunzione che tutti capiscano l’inglese.
La nostra pubblicità soffre dello stesso male e siamo prigionieri di un inglese gergale e, nella nostra vita quotidiana, di un “globish” peraltro di scarsa qualità, come continuano a ripeterci impietose statistiche.
L’idea che si vuole veicolare sulla necessità di una lingua inglese universale, è molto più pericolosa di quanto si potrebbe pensare e non corrisponde agli ultimi studi fatti.
La storia dovrebbe servire ad apprendere e ad evitare ulteriori errori.
Sembra che non sia così.
Il pericolo di estinzione di lingue etniche propone, di nuovo, ciò che è già avvenuto con il latino e la distruzione delle culture antiche, ivi compresa la cultura etrusca, e costituisce, a nostro avviso, una grave minaccia per l’umanità.
Perdere la propria lingua, bloccarne l’evoluzione per mancanza di uso e di pratica, porta ad una perdita di identità perché la lingua di un popolo rappresenta la cultura di questo stesso popolo.
La lingua non è, solo, un insieme di parole, ma è sentimento e cose.
Accettare il dominio di un’altra lingua sulla propria lingua nazionale mette in pericolo tutti i popoli numericamente piccoli, anche se ricchi di cultura e di storia. Essi rischiano concretamente di scomparire e di soccombere.
L’Italia dovrebbe riflettere su questa equazione.
“Se vuoi vendere qualcosa, parla la lingua del tuo cliente”. E’ un vecchio detto dei commercianti, confermato anche da recenti studi. In un’indagine della Camera per il Commercio tedesca svolta in Spagna nel 2003 è emerso che le aziende spagnole che hanno utilizzato il tedesco per condurre le proprie trattative in o con la Germania hanno saputo consolidarsi decisamente meglio sul mercato tedesco rispetto a quelle imprese che hanno sono ricorrere all’inglese.
Il successo negli affari si fonda su relazioni durature, impossibili da portare avanti se non si conosce la lingua del mercato d’arrivo.
In un’altra ricerca, condotta da David Graddol, sul futuro della lingua inglese si è rilevato che il dominio dell’inglese come lingua economica andrà progressivamente diminuendo e che, sin da ora, è possibile notare una maggior presenza del giapponese, dello spagnolo del francese e del tedesco.
Recenti studi sull’influsso delle conoscenze linguistiche straniere sulle esportazioni europee hanno dimostrato che l’inglese, pur essendo la lingua dominante, sicuramente non può essere considerata ancora la lingua franca.
Statisticamente parlando, e se vogliamo affrontare in modo serio l’evoluzione delle lingue nel mondo, per i prossimi cinquanta anni, dobbiamo di nuovo considerare gli studi di D. Graddol il quale ha valutato che la popolazione di lingua cinese arriverà a quasi 1,4 miliardi, che l’inglese sarà al quarto posto dopo l’arabo, più o meno allo stesso livello dello spagnolo, circa 500 milioni di persone.
I giovani che non sanno le lingue si precludono tante possibilità di lavoro non solo sul mercato internazionale ed europeo ma anche nel proprio mercato interno come denunciano altri studi fatti in Gran Bretagna. Un giovane che parla più lingue e conosce più culture comunica meglio, è più aperto e molto più adattabile perché ha più capacità interculturali. Sono sempre di più i paesi europei che applicano questo principio.
In questo mondo che continua ad avvicinarsi e in cui la possibilità di accedere alle informazioni e di stringere contatti cresce in maniera esponenziale, non bisognerà tanto scegliere quale lingua è meglio studiare ma quante lingue imparare e in che modo. Questo noi dobbiamo spiegare ai genitori.
In Italia il nostro governo ha una visione limitativa e obsoleta del mercato. Manca inoltre al nostro paese una politica linguistica nazionale che abbia un progetto linguistico complessivo che comprenda l’intero arco dell’apprendimento delle lingue, dalla scuola all’università, capace di compiere una scelta risoluta e priva di ripensamenti riguardo all’insegnamento delle lingue, non già in chiave strumentale ma quale componente di apertura culturale complessiva, elemento attivo di integrazione europea e cittadinanza partecipativa, conoscenza dell’altro e di sé attraverso la cultura.
Il 9 marzo 2009 la FLC Cgil è andata a Parigi al “Palais Bourbon”, sede dell’Assemblea Nazionale, a difendere in una Conferenza stampa la propria lingua, il plurilinguismo e il rispetto delle diversità culturali.
Perché il plurilinguismo è libertà.
Perché la lingua nazionale è l’anima di un paese.
Roma, 17 marzo 2009


E nel pdf, in francese, si legge (traduco):

La difesa della lingua nazionale, il suo impiego e la sua continua creazione sono indispensabili perché un popolo continui a esistere. [...] Combatteremo per difendere la nostra lingua nazionale, la lingua di Dante, e per promuovere il plurilinguismo in Europa, due posizioni che non sono in alcun modo contrastanti, bensí complementari. Ogni lingua costituisce un certo modello dell’universo, un sistema semiotico di comprensione del mondo e se abbiamo 4000 modi diversi per descrivere il mondo, possiamo essere solo piú ricchi. [...] Mi piace pensare all’Europa di domani come a una comunità di persone in grado d’incontrarsi e di parlarsi, ognuna nella propria lingua pur capendo quella dell’altro. :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Federico
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Re: La FLC Cgil e la tutela della Lingua nazionale

Intervento di Federico »

Marco1971 ha scritto: In un’altra ricerca, condotta da David Graddol, sul futuro della lingua inglese si è rilevato che il dominio dell’inglese come lingua economica andrà progressivamente diminuendo e che, sin da ora, è possibile notare una maggior presenza del giapponese, dello spagnolo del francese e del tedesco.
Certe profezie sono lasciano piuttosto perplessi, ma resta un bel documento, grazie per averlo condiviso.
Andrea Russo
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Intervento di Andrea Russo »

Leggo solo adesso questo documento, e ringrazio Marco per averlo riportato e per la traduzione. :wink:
Senza voler sembrare critico, ma solo per ignoranza personale, cosa sta facendo l'FLC CGIL per tutelare la lingua nazionale? Ci sono delle iniziative in corso?
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Ci sono parecchie iniziative, molta gente di buona volontà a favore d’una vera tutela della lingua. Sembra però che sia tutto un annaspare nel buio perché il governo, per un motivo o per l’altro, pare non volersene interessare. E senza provvedimenti ministeriali tutto si risolve sempre in un buco nell’acqua.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

Marco1971 ha scritto:Ci sono parecchie iniziative, molta gente di buona volontà a favore d’una vera tutela della lingua. Sembra però che sia tutto un annaspare nel buio perché il governo, per un motivo o per l’altro, pare non volersene interessare. E senza provvedimenti ministeriali tutto si risolve sempre in un buco nell’acqua.
Parlando sempre da un punto di vista linguistico, che speranze ci sono di interesse per la lingua nazionale da parte di un governo impegnato nella
"spending review" e nel taglio del "welfare"? :roll:
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Nessuna speranza, appunto. Direi che faremmo meglio a adottare lo spagnolo come nostra nuova lingua, e a far repulisti dell’idioma d’oggi, in cui rimangono solo sparsi frantumi d’italiano. L’italiano (in quanto vera lingua) ha finito da tempo la sua evoluzione. Tutto quel che succederà non riguarderà piú l’italiano in quanto tale.

Dobbiamo consolarci: sette secoli di vita non sono pochi, dopotutto; né tutte le lingue possono vantare una letteratura ricca e prestigiosa come fu la nostra.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Concordo con merlu. L'attuale presidente del consiglio proviene da un ambiente internazionale e aristocratico, in cui si parla il globalese o inglese internazionale. Parla un italiano un po' ingessato – corretto, perlomeno –, infarcendolo di anglicismi per darsi un'aria di competenza (ma pronuncia spending review /ˈspɛnding ˈrivju/). Ha tenuto, in Italia e con relatori italiani, conferenze interamente in inglese. Il ministro dell'Istruzione del suo governo si è dichiarato entusiasta circa l'attivazione di corsi universitari solo in inglese. Insomma, non credo che la tutela della lingua sia tra le sue priorità, purtroppo, anche perché l'inglesuccio che sciorina gli è utile pure per imbellettare provvedimenti altrimenti poco digeribili.
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Intervento di PersOnLine »

Marco1971 ha scritto:Direi che faremmo meglio a adottare lo spagnolo come nostra nuova lingua
Riusciremmo a rovinare pure quella. Invece ci meritiamo, appunto, una lingua bastarda come l'itanglese: fatta di parole senza storia, con una ortografia a trasparenza zero e soprattutto con una grammatica capricciosa, soggetta alla dittatura della moda dell'ultimo quarto d'ora.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Siamo dunque destinati all’assenza di [vera] lingua. È un concetto interessante. Pensateci: potremmo esprimerci solo a gesti (e non si porrebbero difficoltà ortografiche o ortoepiche).

Il vantaggio dello spagnolo, però, è innegabile: ortografia in perfetto accordo con l’ortoepia e un organo culturale che regola quel che dev’essere regolato nel vasto mondo ispanofono senza bizantinismi – sempre con lucida e chiara coscienza di che cosa è una lingua di cultura che si rispetti.

In qualsiasi cultura ci sono sempre state spinte conservatrici e altre disgregatorie. E questo è sempre un bene, che tiene in vita una vivente lingua. Il male avviene quando una delle due spinte prende il sopravvento e tutto distrugge sul suo passaggio.

Nessuno mi prende sul serio, quindi mi permetto questa previsione semplice (passaggio graduale, sia chiaro, ma inesorabile):

(1) Oggi sono andato al supermercato a fare la spesa. (Già oggi suona quasi antiquato.)
(2) Oggi sono andato al supermarket a fare shopping. (Mi sbaglio, o piú o meno è d’attualità?)
(3) Today sono andato al supermarket per shopping.
(4) Today andato supermarket shopping.

La frase (4) farà forse ridere parecchi dei miei lettori. Eppure seguirebbe una tendenza comprovata delle lingue, nel corso della loro evoluzione, a semplificare le strutture. E il senso, in fondo, rimane chiaro, anche senza l’ausiliare, l’assimilazione d’un costrutto sintattico anglosassone e l’introduzione di parole forestiere, le quali, una volta memorizzate, adempiono lo stesso ufficio di qualsiasi altra parola già esistente.

Ciò che resterebbe, che cosa sarebbe? Sempre una forma di comunicazione, certo. Ma se al posto del mio ipotetico Today andato supermarket shopping dicessi Today I went to do some shopping at the supermarket, cosa cambierebbe? Moltissimo: dovrei dire in un’altra lingua a me ignota la stessa cosa ma rispettandone la grammatica e l’idiomatismo!

In ultima analisi, non è che l’italiano non piaccia agli italiani, né che gli piaccia o no l’inglese o l’americano: è che...? Chi completa la frase? :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Brazilian dude
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Intervento di Brazilian dude »

ortografia in perfetto accordo con l’ortoepia
In perfetto accordo no.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Brazilian dude ha scritto:In perfetto accordo no.
Intendevo dire che, conoscendo le convenzioni dell’ortografia spagnola, uno non può sbagliare la pronuncia, come invece accade in italiano per l’accento tonico, il timbro delle vocali ‘e’ e ‘o’ e la sonorità o sordità di ‘s’ e ‘z’.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Brazilian dude
Moderatore «Dialetti»
Interventi: 726
Iscritto in data: sab, 14 mag 2005 23:03

Intervento di Brazilian dude »

La w, sebbene rara, si può pronunciare w o b dipendendo dall'origine della parola e l'accentazione ortografica, quantunque rigorosa, non ha mai impedito errori di pronuncia come cuádriga nel posto di cuadriga, périto invece di perito ecc.
PersOnLine
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Intervento di PersOnLine »

Marco, si consoli col fatto che, tempo cinque generazione, non solo l'italiano sarà una lingua estinta, ma anche l'immeritevole popolo che la parlava.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Brazilian dude ha scritto:La w, sebbene rara, si può pronunciare w o b dipendendo dall'origine della parola e l'accentazione ortografica, quantunque rigorosa, non ha mai impedito errori di pronuncia come cuádriga nel posto di cuadriga, périto invece di perito ecc.
La ringrazio della precisazione. :) Ci sono due errorini nel suo messaggio (li scoprirà da sé :)).
PersOnLine ha scritto:Marco, si consoli col fatto che, tempo cinque generazione, non solo l'italiano sarà una lingua estinta, ma anche l'immeritevole popolo che la parlava.
Per questo mi domando se valga veramente la pena proseguire nel DiNo... :roll:
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

Marco1971 ha scritto:
Brazilian dude ha scritto:In perfetto accordo no.
Intendevo dire che, conoscendo le convenzioni dell’ortografia spagnola, uno non può sbagliare la pronuncia, come invece accade in italiano per l’accento tonico, il timbro delle vocali ‘e’ e ‘o’ e la sonorità o sordità di ‘s’ e ‘z’.
Il guaio è che non esiste uno spagnolo ma tanti spagnoli. Io ho studiato spagnolo per conto mio e ho appreso la pronuncia castigliana classica, poi ho frequentato un corso con un'insegnante andalusa che inizialmente non riuscivo a capire perché, specialmente nella parlata rapida, cadevano le -s- del plurale, (lo amigo/los amigos), le -s- davanti a -p- variavano da -ch- tedesco di ich (fricativa palatale sorda) ad assimilazione (la echpalda/la eppalda - las espaldas) ecc. Tanto per aggiungere un tocco pittoresco, la badante ecuadoriana dei miei genitori aspira la jota esattamente come i fiorentini la -c- in hasa...
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