La lingua italiana in Palestina
Moderatore: Cruscanti
-
- Interventi: 1725
- Iscritto in data: mar, 19 set 2006 15:25
La lingua italiana in Palestina
Un'encomiabile iniziativa della Società "Dante Alighieri".
Peccato che abbiano scritto "...di riappropriarsi delle ricchezze..."
Peccato che abbiano scritto "...di riappropriarsi delle ricchezze..."
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
-
- Interventi: 1303
- Iscritto in data: sab, 06 set 2008 15:30
Re: La lingua italiana in Palestina
Come avrebbero dovuto scriverlo allora?Fausto Raso ha scritto:Peccato che abbiano scritto "...di riappropriarsi delle ricchezze..."
Guardi qui.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
-
- Interventi: 1303
- Iscritto in data: sab, 06 set 2008 15:30
Controllando sui dizionari in linea ho visto che il verbo viene dato da alcuni come solo transitivo, da altri pure come intransitivo in alcune accezioni. Il punto è: è da considerarsi errore "appropriarsi di" solo perché il verbo è diventato intransitivo col tempo nell'accezione di 'impossessarsi di, appropriarsi di' che sono intransitivi?
La transitività e l'intransitività di un verbo sono regolate da una logica ferrea o solo dall'uso?
La transitività e l'intransitività di un verbo sono regolate da una logica ferrea o solo dall'uso?
Non può piú considerarsi errore, vista la diffusione della forma anche negli scritti cólti; tuttavia, poiché l’analogia con impadronirsi e impossessarsi regge solo semanticamente, auspicherei che tornasse in auge il costrutto corretto (si diventa padroni di qualcosa, si entra in possesso di qualcosa, ma non *si fa proprio di qualcosa). L’uso, naturalmente, che si evolve sugli errori commessi, è quasi sempre, ahimè, incontrovertibile.
P.S. Grazie dell’in linea.
P.S. Grazie dell’in linea.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
-
- Interventi: 1303
- Iscritto in data: sab, 06 set 2008 15:30
Certo! Il primo che mi capita è di Mazzini (ma se ne vuole altri, li posso cercare):
Romolo, circondato da nemici contro i quali dovea star pronto a difendersi, avea d’uopo non di servi, ma di compagni che facessero propria la sua causa.
Romolo, circondato da nemici contro i quali dovea star pronto a difendersi, avea d’uopo non di servi, ma di compagni che facessero propria la sua causa.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Ecco un esempio in senso proprio:
Costoro tanto si scostono dal iusto vivere, quanto coloro che fanno proprie le cose altrui. (Palmieri, Vita civile, Libro 3)
Costoro tanto si scostono dal iusto vivere, quanto coloro che fanno proprie le cose altrui. (Palmieri, Vita civile, Libro 3)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Chi c’è in linea
Utenti presenti in questa sezione: Nessuno e 0 ospiti