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È meglio essere un Architetto o un muratore del linguaggio?
Inviato: ven, 07 ago 2009 10:52
di Massimo Vaj
Lo so che è una questione provocatoria in un forum orientato all'affinamento della perfezione linguistica, ma la cosa mi riguarda da vicino: è, secondo voi, normale che ci siano individui i quali, pur conoscendo perfettamente la resilienza delle parole e le tolleranze attraverso le quali assemblarle, non riescano a produrre accostamenti tali da far girare l'elica delle loro esposizioni meglio di quanto faccia un frullatore? Dall'altro lato altri individui, pur attribuendo alle parole accidentali stralci di significati, nel concatenarle tra loro con relativa approssimazione sono in grado di esprimere principi e valori che i primi nemmeno si sognano. Non vi pare, questa, una ragione per sospettare che non sia auspicabile aspettarsi dalla perfezione linguistica più che una bella facciata?*
*facciata che si può anche intendere come faccia che colpisce la terra...
La ragione per la quale la verità non ama le belle parole sta nella natura superficiale della bellezza estetica che, spesso, distrae dalla verità per coprire la menzogna. È questa la ragione per la quale le Sacre scritture si esprimono solo attraverso lo scheletro che sostiene, biancheggiando, il linguaggio.
Inviato: ven, 07 ago 2009 14:56
di Marco1971
Benvenuto, Massimo!
Non sono sicuro d’intender bene il suo messaggio, quindi mi vorrà scusare se quello che sto per dire dovesse avere scarsa attinenza con quanto lei ha scritto.
Vorrei solo sottolineare (o piuttosto ripetere) che l’espressione dovrebbe sempre adeguarsi alla situazione comunicativa al fine di rendere efficace la comprensione. La lingua è piena di frasi fatte, di collocazioni, d’espressioni cristallizzate d’uso comune che non si possono – e non si dovrebbero – sempre aggirare per qualche ideale originalità. Diverso, naturalmente, è il caso dell’arte, che, per la lingua, è la letteratura, e la poesia in particolare: lí si crea un linguaggio originale, estetico, suggestivo. Lei parlava in generale o solo di letteratura?
Inviato: ven, 07 ago 2009 16:10
di Massimo Vaj
Mi riferisco all'uso comune che si fa della lingua, quando si comunica ad altri il proprio pensiero. L'ampiezza dell'orizzonte intellettuale non è determinata dalla conoscenza linguistica, e una descrizione accurata e poetica di quello stesso orizzonte non ne allarga i confini.
Diverso è l'ambito al quale ti riferisci tu (ti do del tu perché alla tua età già mi drogavo), e che riguarda quello che è definito, dalle scritture tradizionali, come il dono delle lingue, il quale serve a comunicare, con i migliori risultati, il frutto del conoscere un orizzonte già ampio.
Inviato: ven, 07 ago 2009 16:30
di Marco1971
Massimo Vaj ha scritto:[...] L'ampiezza dell'orizzonte intellettuale non è determinata dalla conoscenza linguistica...
Rispondo solo su questo, con le parole di Manzoni:
Ed è che, se l’uomo intraprende spesso piú di quello che può eseguire, spesso anche proporziona ai mezzi che ha, non solo i tentativi, non solo i desideri, ma anche i concetti: non si distende, passatemi un’espression volgare, se non quanto il lenzuolo è lungo. Cosí, chi, dovendo scrivere, non ha a sua disposizione che una parte di lingua, è condotto a pensare in una parte di lingua, a circoscriver la materia al suo vocabolario. Prendendo la penna in mano, non è piú, non aspira nemmeno a essere l’uomo intero, dirò cosí, della vita reale; è già rassegnato a dire, non quello che potrebbe, ma quello che può. E quante cose l’argomento gli avrebbe suggerite, e gli cadrebbero come dalla penna, se attingesse dalla pienezza d’una lingua intera, che non gli vengon neppure in mente, perché non ha le parole con le quali potrebbero venire! (
Dello stato della lingua in Italia, e degli effetti essenziali delle lingue, in
Della lingua italiana, Napoli, Liguori Editore, 1986, p. 64)
Inviato: ven, 07 ago 2009 18:26
di Massimo Vaj
Manzoni si sbagliava, e la dimostrazione sta nei suoi scritti che mai si riferiscono a una conoscenza metafisica dell'esistenza. Conoscenza che implica la consapevolezza dei princìpi universali che la legiferano. Per parlare una lingua in modo da non morire di fame bastano cinquecento parole, per avere il "Senso dell'Eterno" nemmeno una.
Benché nella lingua si distinguano tra loro le leggere differenze di significato, adottando parole diverse per esprimere concetti laterali a quello principalmente inteso, pensare che queste intelligenti differenze possano aprire lo spirito alla visione del Vero è illusorio, persino quando ci si riferisca alle lingue tradizionali, meno lontane della nostra dalla sacralità dell'esistenza.
Cit. dal Tao Te Ching:
Il Tao che si può nominare
Non è il Tao eterno
Il nome che si può pronunciare
Non è il Nome eterno
Da un saggio Sufi:
Il parlare dell'Uno
lo trasforma nei molti
P.S.
Il balbettare di Mosè costituiva l'ammonimento divino a non tentare di pronunciare l'incomunicabile.
Inviato: ven, 07 ago 2009 18:39
di Marco1971
Sui complessi rapporti fra lingua e pensiero ho trovato un
sito molto interessante (ma in francese), di cui traduco un piccolo brano (grassetto e corsivi originali):
Che avviene, per esempio, per chi dispone soltanto d’un vocabolario molto limitato? Per chi non ha segni come le parole? Si può avere un pensiero complesso, preciso, sfumato, senza un linguaggio complesso, preciso, sfumato? L’istruzione passa appunto attraverso l’acquisizione d’un linguaggio, e piú tale linguaggio è ricco, piú il pensiero può essere ricco. È ingannare sé stessi credere che si dispone d’un pensiero quando si è ridotti a balbettare. Un grugnito d’approvazione o di repulsione non fa un pensiero. Per converso, un vocabolario ampio lascia al pensiero una libertà e una duttilità d’espressione che esso non potrebbe avere senza questo, una duttilità che lo rende capace di dire tutto. Il pensiero, dice Hegel, diventa preciso solo quando trova la parola, il pensiero trova la propria realtà nell’espressione in linguaggio, perché prima può avere solo un’esistenza fantomatica, e lo spirito può essere nella massima confusione pur immaginandosi che pensa qualche cosa mentre non sa neanche quel che pensa. Sono conscio di ciò che penso solo quando sono capace di formularlo, di esplicitarlo in parole. Se non ho parole, se sono incapace di trovare la mia strada nell’esprimermi, posso io sostenere di essere conscio di ciò che penso? Bisogna ammettere di no. Non so quel che ho in mente, né so dove cominciano i miei pensieri o dove finiscono quelli altrui. Il mio pensiero rimane in uno stato irriflesso, di «fermentazione oscura», non è sufficientemente chiarito per poter essere detto, sia nella mia mente, in forma di verbalizzazione interiore (un dialogo fra me e me), sia in forma di verbalizzazione esteriore (un dialogo tra me e l’altro).
E concludo con una citazione dello scrittore austriaco Karl Kraus, che molto mi garba:
Die Sprache ist die Mutter, nicht die Magd des Gedankens. (Il linguaggio è la madre, non l’ancella del pensiero.)

Inviato: ven, 07 ago 2009 19:01
di Massimo Vaj
Ho lavorato diversi anni assistendo persone fisicamente svantaggiate, e tra queste ho avuto in reparto anche alcuni sordomuti. È opinione comune che queste persone non siano in grado di pensare fino a quando non apprendono il linguaggio dei segni o non imparano, per quanto riguarda i sordi dalla nascita, anche a pronunciare con la voce. Loro lo sanno, e quando apprendono a esprimersi, tra le prime cose che dicono c'è la descrizione del loro pensare globale che ha preceduto quello discorsivo. Pretendere di ridurre la realtà alla consequenzialità discorsiva equivale a pressare il mondo nel porta-uova di un frigorifero.

Sei tra coloro i quali affermano di sapere che il pensiero nasce dalla materia?
La mente, e la parola con la quale si esprime, sono solamente il mezzo col quale l'uomo decodifica il proprio intuire, e quando l'intuizione è solo animale, spesso la persona si immagina di essere un Maestro di vita.
Inviato: ven, 07 ago 2009 19:29
di Massimo Vaj
A ridosso di questa così delicata e importante questione, proprio ieri ho scritto questa breve storiella che ha per titolo:
Il Buco
All'inizio era un buco, un semplice buco. Cosa ci facesse lì quel buco nessuno se lo era chiesto, ma tutti gli animali che passavano da quelle parti ci orinavano dentro per dire che era una loro proprietà. E ci buttavano pure carcasse ossute, avanzi di pasti sanguigni, e a volte ci vomitavano dentro. Il buco pareva non riempirsi mai, ma dentro di sé qualcosa stava accadendo: la feroce decomposizione che vermicolava lì dentro si stava organizzando nell'effetto più terribile che si potesse immaginare. Era una vera guerra di microrganismi fetidi quella che si era armata in quella cavità furiosa, e le poche budella ancora piene di feci, degli animali assassinati e scartati dalla vita, stavano maturando la loro cieca vendetta. Si contorcevano nella battaglia, fischiando come fiere alla catena che tentavano di azzannare l'agnello che era la vita fuori dal buco, sbavando rabbia e disgusto per il loro maledetto destino che le costringeva alla ribellione. Leggi imperscrutabili si accanivano nel turbinio di fiele e sangue, riorganizzando scroti e fecalomi e sputando bestemmie al cielo che dominava al di là del buco. Lentamente strisciando con cattiveria le budelle si disposero tra loro, stringendosi nel bisogno di essere una più forte massa compatta e una piccola luce, dallo spiraglio che guardava un sole lontano, violentò l'ammasso che, incazzato come non mai iniziò a pensare. Era nato, insieme al suo cervello, anche l'essere umano pensante.
—Bene ragazzi, anche per oggi l'ora di religione è finita— disse il prete con aria stanca
—Domani affronteremo le ragioni per le quali i preti cattolici, nostri antichi predecessori, si inventarono la favola di Adamo ed Eva... —
Inviato: ven, 07 ago 2009 19:45
di Massimo Vaj
Chi pensa che la consapevolezza sia conseguenza della capacità linguistica di colui che la esprime, deve spiegare come sia possibile che il sapere da esporre possa arrivare dopo la conoscenza del linguaggio.

... e anche come sia possibile non vedere che le parole da me utilizzate per spiegare questo... stiano così più in basso dei principi che esprimo.
Inviato: ven, 07 ago 2009 20:06
di Marco1971
Non ho la pretesa di «sapere» ciò che solo la scienza può rivelarci attraverso l’analisi rigorosa dei processi naturali. Ho solo riportato opinioni d’una certa autorevolezza e che, nella mia «ignoranza», condivido.
La questione è vasta e infinite sono le sue propaggini: non potremo esaurirne l’ampiezza. D’altra parte ci troviamo in bilico s’uno scrimolo e rischiamo di cadere fuori tema, essendo il nostro foro dedicato specificamente alla lingua
italiana e non propriamente a questioni generali, seppur di capitale importanza, come questa.
Desidero inoltre richiamare la sua attenzione sulle regole di cortesia vigenti e nella vita quotidiana e in questa piazza virtuale, invitandola a leggere o rileggere la nostra
guida all’uso. (Su questo, se lo ritiene necessario, può esprimersi lí.)
Inviato: ven, 07 ago 2009 20:25
di Massimo Vaj
A questo punto sarebbe opportuno che lei mi indicasse dove le ho mancato di rispetto, al posto di sottintendere che l'ho fatto, nel mio mettere in bilico supposizioni illustri. Credo che il suo stile dialettico sia meno rispettoso del mio, e utilizzi il sottinteso pur avendo a disposizione una conoscenza linguistica di prim'ordine che le consentirebbe di chiarirsi al meglio. Forse sarebbe lei a dover rileggere la netiquette del sito, rammentando che il ruolo di moderatore le imporrebbe di dare l'esempio. Questo tread è sotto il termine "Generale", il quale indica un'apertura a trecentosessanta gradi, e il topic in cui stiamo l'ho aperto io proprio su questo tema. Quando scarseggiano gli argomenti, in conseguenza di non so quali problemi, se cognitivi o linguistici, troppo spesso ci si aggrappa a risibili argomenti di natura educativo-relazionale, con grave detrimento della qualità dialettica, e dell'onestà intellettuale.
Inviato: ven, 07 ago 2009 22:06
di Marco1971
Massimo Vaj ha scritto:A questo punto sarebbe opportuno che lei mi indicasse dove le ho mancato di rispetto, al posto di sottintendere che l'ho fatto, nel mio mettere in bilico supposizioni illustri.
Nell’uso del ‘tu’ non condiviso. Io, lei e il resto dell’umanità possiamo legittimamente mettere in dubbio qualsiasi cosa, non era questo il punto.
Massimo Vaj ha scritto:Credo che il suo stile dialettico sia meno rispettoso del mio, e utilizzi il sottinteso pur avendo a disposizione una conoscenza linguistica di prim'ordine che le consentirebbe di chiarirsi al meglio. Forse sarebbe lei a dover rileggere la netiquette del sito, rammentando che il ruolo di moderatore le imporrebbe di dare l'esempio.
Non vi sono sottintesi nel mio messaggio precedente: si tratta di affermazioni esplicite. Se qualcosa le risultava oscuro, invece di darmi consigli impertinenti, poteva chiedere chiarimenti in maniera cortese.
Massimo Vaj ha scritto:Questo tread è sotto il termine "Generale", il quale indica un'apertura a trecentosessanta gradi, e il topic in cui stiamo l'ho aperto io proprio su questo tema.
Il sottotitolo di
Cruscate è
Spazio di discussione sulla lingua italiana. Ho sottolineato l’importanza del tema specificando soltanto che non pertiene propriamente alla lingua italiana. Tutto qui; non c’è da farne un dramma – come non farò un dramma per
thread e
topic. E non le ho impedito di esprimersi; ho solo voluto metterci in guardia contro possibili eccessi, il che fa parte della mia funzione.
Massimo Vaj ha scritto:Quando scarseggiano gli argomenti, in conseguenza di non so quali problemi, se cognitivi o linguistici, troppo spesso ci si aggrappa a risibili argomenti di natura educativo-relazionale, con grave detrimento della qualità dialettica, e dell'onestà intellettuale.
Codesta affermazione è offensiva e gratuita. Come si permette lei, appena sbarcato e a cui ho dato il benvenuto, di parlarmi di qualità dialettica e d’onestà intellettuale? O forse attribuisce significati suoi personali alle parole; sol mi conforta questa speranza.
Mi auguro che in futuro lei voglia abbassare i toni e discutere pacatamente. Grazie.
Inviato: ven, 07 ago 2009 22:49
di Massimo Vaj
È presente, nel regolamento del forum, la norma che consiglia agli "appena sbarcati" di non esporre ragioni di principio che metterebbero in discussione le idee di altri, i quali stanziano da tempo tra le discussioni argomentando con idee altrui? Da quando il tempo costituisce indice di qualità in una dialettica che dovrebbe avere ragioni consequenziali a principi condivisibili, logici, ontologici e, possibilmente, anche universali?
Le dà noia l'utilizzo di termini stranieri di uso comune come tread o topic? Siamo sicuri che all'amore per la lingua non si sia sostituita la lingua che comunica senza amore? Altri leggeranno questa discussione, e spero sapranno giudicare quanto poco la padronanza linguistica conti nell'attribuzione della ragione.
Inviato: ven, 07 ago 2009 23:36
di Marco1971
Lascio la parola agli altri, che giudicheranno, ognuno per conto proprio.
Le faccio solo notare – per la seconda volta – che il termine straniero di uso comune al quale lei si riferisce si scrive con la acca: thread (tread significa tutt’altro).
Non entro nel suo gioco e lascio questo filone (e se le fa piacere pensare che sia per mancanza d’argomenti, si faccia piacere: lo pensi e lo scriva pure).
Inviato: sab, 08 ago 2009 6:37
di Massimo Vaj
Non mi fa piacere che le manchino argomenti, mi fa soffrire invece, come soffro ogni volta che incontro un ego interessato più a difendere se stesso che a rispettare la gerarchia dei princìpi universali, che d'altronde ignora, dai quali procede la realtà che è verità. La logica è sua conseguenza, non causa. Quella verità per la quale la falsità è un "vera menzogna". Avrei dovuto aspettarmi che dove si acclama l'effetto si tiene in poco conto la causa che lo ha prodotto. La lingua è un mezzo, non un fine, ed esprime valori o disvalori, non li genera. Lei ha creduto giusto affermare che la lingua non è l'ancella del pensiero, ma ne è la madre. Io dico che il pensiero è il mezzo con cui l'intuito e l'ispirazione esprimono le loro scoperte. La lingua è il mezzo attraverso il quale il pensiero assume una forma consequenziale, che non è l'unica che lo caratterizza, perché esiste anche un pensiero analogico e immaginifico, altrimenti tutti i sordi e i sordomuti sarebbero dei dementi senza la speranza di percepire altro dalle scosse vitali. La lingua, quindi, è il mezzo di uno strumento. Confondere il fine col mezzo è un vezzo che l'intelligenza non può ammettere, perché significherebbe che la vita deve essere vissuta per vivere e non per conoscere e potere applicare al vivere i vantaggi di questo conoscere.
Poiché non è mia intenzione mantenere attivo un collegamento che non ha più senso conservare, in un ambiente come questo dove non ho visto un solo intervento, non a mio favore, ma nemmeno a favore del mio interlocutore, lascio questo forum. È mio dovere, prima di salutare ricordare, a chiunque leggerà queste righe, che non può esserci intelligenza in una lingua parlata da una macchina, e non può perché la macchina non ha ispirazione. Una lingua trae il suo nutrimento dall'intuire, e non è mai un susseguirsi meccanico e sistematico dal quale origina il pensiero. Lascio questo forum felice di non voler accendere incensi sotto l'altarino che sostiene un vocabolario. Saluto tutti senza enfasi dialettica né malevolenza. Massimo Vaj