«Ci» e «gli» pari non sono

Spazio di discussione su questioni di carattere sintattico

Moderatore: Cruscanti

Avatara utente
Lato
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«Ci» e «gli» pari non sono

Intervento di Lato »

Cortesi partecipanti a questo forum, vorrei sottoporre alla vostra attenzione alcuni semplici quesiti che però mi arrovellano.
Per l'influsso della mia lingua madre che è un dialetto di una valle dell'Appennino (tosco-)emiliano, che non distingue tra la particella ci e il pronome gli (infatti: – Sì, ag l'ho miss = Sì, ce l'ho messo; – Sì, ag l'ho ditt = Sì, gliel'ho detto), ho delle perduranti incertezze sul loro uso.
Alla domanda "Hai messo il sale nella minestra?" so con ragionevole certezza che posso rispondere "Sì, ce (= lì, in quel posto, nella minestra, avverbio?) l'ho messo", anche se qualche volta mi viene da rispondere "Sì, gliel'ho messo". Questo gli è da intendersi che abbia, come recita il Sabatini Coletti, "funzione di complemento indiretto, in alternativa a ci, con riferimento, anche generico, a cosa o situazione..." oppure è semplicemente sbagliato?
Nella frase "Controlla che non abbiano sbattuto contro (a) quella cosa" non so come sostituire quella cosa. Debbo dire "Controlla che non gli (= a quella cosa, complemento di termine?) abbiano sbattuto contro" oppure debbo dire " Controlla che non ci (= a ciò, pronome dimostrativo?) abbiano sbattuto contro" oppure, per caso, sono entrambe accettabili?
La seconda contiene anche un'ambiguità perché quel ci potrebbe essere inteso come pronome personale di prima persona plurale.
Mi rendo conto che l'annosa questione di ci e gli possa annoiare, ma sarei grato se qualcuno volesse rispondere nel caso specifico di queste frasi.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Benvenuto, Lato! :)

Non c’è nulla di noioso per chi s’interessa alla lingua, e il suo quesito merita ogni attenzione. Ho spesso lodato il Sabatini-Coletti come uno dei migliori dizionari moderni; in alcune cose, tuttavia, mi pare troppo permissivo: alla voce gli, infatti, considera normale (non c’è marca d’uso) l’impiego di gli nell’espressione non gliela faccio piú, che invece, se non errato, è regionale e di registro popolare (l’espressione corretta è non ce la faccio piú).

Venendo al caso specifico delle due frasi che ci propone, è possibile solo ci, con valore locativo (che indica il luogo):

Hai messo il sale nella minestra? Sí, ce l’ho messo.

Controlla che non ci abbiano sbattuto contro.


Nella seconda frase sarebbe difficile interpretare ci come ‘a noi’, e a ogni modo il contesto non dovrebbe lasciare adito a dubbi.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Lato
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Intervento di Lato »

Grazie!

Nella lingua si è sempre alla ricerca di una norma, seppure lasca, cui appellarsi quando ci si rende conto di avere sbagliato. In questo i dialetti sono insuperabili perché sebbene abbiano anch'essi norme ben precise queste raramente sono scritte il che lascia al parlante una enorme libertà.
Ciò che fa la levità del dialetto, quand'anche non fosse la lingua madre, temo non sia compreso da coloro che vogliono che venga insegnato a scuola.
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Marco1971
Moderatore
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Intervento di Marco1971 »

Prego. :)

È bene che i dialetti continuino a vivere, come è bene che ci sia uno strumento nazionale per comunicare con la massima efficacia. Ultimamente, come sapete tutti – e scusate se vado fuori tema –, si è fatto un gran parlare dell’iniziativa d’una rete televisiva della Toscana settentrionale che dà le previsioni del tempo nel dialetto locale (con sottotitoli in italiano). A me questa sembra una cosa molto bella! :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Lato
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Iscritto in data: dom, 06 set 2009 9:01

Intervento di Lato »

Non vorrei essere frainteso; quando poco sopra scrivevo di leggerezza intendevo essenzialmente che il dialetto è una lingua familiare che si parla senza avere paura di sbagliare. Detto questo, io sono interessato all'Italiano, l'unica lingua con la quale posso sperare di esprimermi compiutamente.
Tornando all'argomento che ha dato il via a questo filone, vorrei fare altri esempi. Alla domanda "Hai dato la vernice al cancello?" "Sì, gli ho dato quella rossa". "Hai messo il tappo alla bottiglia?" "Sì gliel'ho messo". La presenza del complemento di termine credo mi autorizzi ad utilizzare gli.
Mi pare di capire che solo con il complemento di termine si usi gli. Sbaglio?
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

No, non isbaglia! :D Ci non può, ch’io sappia, esprimere il complemento di termine. Tuttavia, nel secondo esempio, io direi ce l’ho messo, perché avverto spontaneamente quell’alla bottiglia come complemento di luogo (infatti si potrebbe dire anche sulla bottiglia). La casistica è complessa e dipende spesso dal verbo. Ma mi piacerebbe che si esprimessero anche gli altri...
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Federico
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Intervento di Federico »

Aggiungo solo che gli mi fa pensare inevitabilmente a una persona, certo non a cancelli o bottiglie. Questo è solo un parere personale, però.
Avatara utente
Lato
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Intervento di Lato »

Ho consultato alcuni dizionari e due di essi concedono:

gli² 1 A lui, a esso...
Aldo Gabrielli. Il grande Italiano

gli² 1. A lui, ad esso, ha funzione di compl. di termine, vantaggio ecc., con riferimento a persona, animale e talora a cosa già nominati o che verranno nominati: se vedi Giovanni, digli che gli devo parlare; sapevo il fatto ma non gli ho dato peso
Sabatini-Coletti. DISC

Nella "Garzantina" Italiano di Luca Serianni (VII 31) trovo:

Alcuni grammatici sconsigliano l'uso di gli e le in riferimento a cosa. In realtà, una frase come: «Quest'orologio non funziona: cosa gli hai fatto?» è normale nella lingua parlata e ha tutte le carte in regola per figurare bene anche in quella scritta. Comunque, l'alternativa non potrebbe consistere nel pronome esso (è molto improbabile: «che cosa hai fatto ad esso?») ma in un diverso giro di frase.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Attenzione, non ho detto che ‘gli’ o ‘le’ o ‘loro’ non siano riferibili a cose. Il discorso iniziale verteva sull’estensibilità di ‘ci’. Né ho contraddetto Serianni nella frase dell’orologio, che avverto normale anch’io. :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Lato
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Intervento di Lato »

Gentile Marco, forse non ho ancora compreso bene il funzionamento di questo forum e avrei dovuto citare Federico. Intendevo riferirmi al suo intervento.
Avatara utente
Marco1971
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Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

No, mi deve scusare lei, la stanchezza è mia. :(

In linea di massima, direi che ‘gli’ ecc. sono impiegabili per riferirsi a cose se non interferisce il senso di complemento di luogo. Ma ora non mi vengono gli esempi.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Freelancer
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Intervento di Freelancer »

Ne parla brevemente Alfonso Leone in Conversazioni sulla lingua italiana, nella sezione Alcuni rilievi sui pronomi personali:
Come forma unica di dativo (senza cioè distinzione di genere o di numero, ma anche senza distinzione tra persone e cose) l'Italia popolare usa di solito ci (Ci dico 'dico a lui o a lei o a loro', "Mi venne il pallone tra i piedi e ci diedi un calcio") che l'italiano conosce solo con riferimento alla prima persona plurale ('a noi' oltre che 'noi' oggetto).

L'energica condanna poi (da parte dei grammatici) di questo ci con riferimento a persona, in luogo di gli le loro, ha fatto sì - come almeno io credo - che queste ultime forme venissero non di rado sentite come adatte solo alle persone...In realtà, vanno invece benissimo anche per le cose: "Mi venne il pallone tra i piedi e gli diedi un calcio", "Si accostò alla sedia e le posò sopra il fagotto", "Ho compassione di questa casa: la maledizione le sta sopra" (Manzoni).
Avatara utente
Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

La GGIC – e io con essa – dissente (vol. I, pp. 558-559):

Se nel SP incassato della preposizione complessa occorre un SN il cui referente [:( designato!] è non animato, allora si deve usare, per rappresentare questo SP, il pronome clitico locativo ci; alle frasi (167a-c) corrispondono le frasi (168a-c) con locativo ci:

(167 a) Carlo teneva le gambe sopra il tavolo.
(167 b) Mario si lanciò contro la porta.
(167 c) Misero attorno alla casa una fila di alberi.

(168 a) Carlo ci teneva le gambe sopra.
(168 b) Mario ci si lanciò contro.
(168 c) Ci misero attorno una fila di alberi.

Non sono possibili, corrispondentemente a (167a-c), le frasi:

(169 a) *Carlo gli teneva le gambe sopra.
(169 b) *Mario gli si lanciò contro.
(169 c) *Gli misero attorno una fila di alberi.

Le frasi in (169) sono possibili solo se nel SP rappresentato dal pronome clitico c’è un SN il cui referente [:evil:] è animato.


La prima frase portata a esempio da Alfonso Leone va bene, ma la seconda no. L’esempio manzoniano è un po’ diverso, si può avere una sorta di personificazione della casa: infatti la maledizione sta sopra alle persone che abitano nella casa, non sopra alla casa come edificio.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Avatara utente
Freelancer
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Intervento di Freelancer »

A me sembra, Marco, che due delle frasi cosidette 'impossibili' lo siano perché nell'esempio si usa gli per un femminile.

Quindi siamo d'accordo che (168 a) è l'unica realizzazione possibile, ma (168 b) ammette anche Mario si lanciò contro di essa, e infine (168 c) va sostituita con Le misero attorno una fila di alberi che appare senz'altro possibile.
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Marco1971
Moderatore
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Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Invece, secondo me, e secondo la GGIC, il criterio è quello di animato/non animato, in questi casi.

Le misero attorno una fila di alberi potrebbe riferirsi a una sposa in un matrimonio speciale, ma non certo a un oggetto... :lol:
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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