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«Membro» o «componente» di un organo collegiale

Inviato: dom, 25 ott 2009 14:52
di Federico
Secondo voi che differenza connotativa o denotativa c'è fra i sostantivi (sinonimi) membro e componente (di un organo collegiale, ad esempio un consiglio d'amministrazione)?
Uno è piú formale o corretto dell'altro, magari solo in alcuni ambiti?

Inviato: dom, 25 ott 2009 15:05
di Marco1971
Per me componente è piú formale, specie se mantiene il suo valore participiale (i componenti il consiglio d’amministrazione).

Inviato: lun, 26 ott 2009 21:07
di chiara
Personalmente vedrei una sfumatura di significato in senso più freddo e formale per componente, rispetto a membro. Membro mi evoca l'idea di un organismo vivente, quindi un membro mi sembra qualcosa di più attivo e "costituente" di un componente.

Inviato: gio, 29 ott 2009 2:16
di Federico
Marco1971 ha scritto:Per me componente è piú formale, specie se mantiene il suo valore participiale (i componenti il consiglio d’amministrazione).
Sí, sembra questa la percezione comune, anche col banale complemento di specificazione.
chiara ha scritto:Personalmente vedrei una sfumatura di significato in senso più freddo e formale per componente, rispetto a membro. Membro mi evoca l'idea di un organismo vivente, quindi un membro mi sembra qualcosa di più attivo e "costituente" di un componente.
Chissà, forse un chimico la vedrebbe diversamente, pensando all'energia dei propri componenti. :)

«Previsione che»

Inviato: gio, 29 ott 2009 2:36
di Federico
Dall'articolo 4, comma 1, di una bozza di ddl per l'università (non so se sia quella approvata dal Consiglio dei ministri; spero di no, data la quantità di refusi):
Ai sensi dell'ari, 2 le norme in materia di abilitazione scientifica nazionale sono definite con 'osservanza dei seguenti principi e criteri direttivi: [...]
b)previsione che l'abilitazione scientifica nazionale di cui alla lettera a) costituisce titolo necessario [...]
E decide di previsioni simili, quando all'articolo 1 si dice ad esempio:
Le università statali [...] provvedono [...] a modificare i propri statuti con l'osservanza dei seguenti principi e criteri direttivi [...]:
a)previsione che gli atenei adottino entro sei mesi un codice etico [...]
Ovviamente qui si intende previsione nell'accezione di prevedere «Contemplare, prendere in considerazione un’ipotesi come possibile» (Treccani, 2), dove in realtà prendere in considerazione come possibile una cosa significa renderla obbligatoria (dato che tutte le altre non sono previste cioè non sono consentite).
Si può quindi parlare di una sorta di imperativo: l'indicativo presente mi sembra decisamente inopportuno, avrei usato sempre il congiuntivo.
Forse i burocrati ministeriali hanno fatto questo ragionamento implicito (ottimistico): all'articolo 4 si parla di un decreto che il ministero stesso dovrà emanare, quindi è sicuro che la "previsione" sarà rispettata (dato che sono loro stessi a imporsi i criteri da seguire); all'articolo 1 invece si definiscono dei principî che poi dovranno essere seguiti nella stesura degli statuti, i quali poi andranno applicati, con due passaggi interpretativi che rendono piú incerta la "previsione".
Ma a parte questa psicologia della sintassi, probabilmente c'è una confusione fra ciò che è ancora un principio da applicare e ciò che sarà inderogabilmente vero: dal momento in cui entrerà in vigore tale regolamento, l'abilitazione sarà titolo necessario perché il regolamento da subito dirà che è necessario (nel suo presente, che non è quello di questo ddl).
Che dite?