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Frasi completive con di/a + infinito? Problemi terminologici

Inviato: gio, 14 gen 2010 17:15
di Latinella
Salve a tutti!
Stavo riflettendo sul fatto che mi sembra piuttosto aleatoria l'etichetta di completive per tutte quelle proposizioni con l'infinito introdotte da a o di.
Vi sottopongo alcune questioni:
1) definireste allo stesso modo proposizioni rette da verbi come "temere", "rallegrarsi", "insegnare", "imparare", "degnarsi", etc.? Quale ordine per questa congerie?
2) come definire i verbi "preferire", "desiderare" e simili?
3) non trovate piuttosto debole la definizione di "fraseologici" per quei verbi che, posti prima di un verbo all'infinito, ne precisano un aspetto temporale?

Un caro saluto,
L.

Inviato: ven, 15 gen 2010 19:07
di Marco1971
Queste sono domande per il nostro caro Ladim... :)

Inviato: sab, 16 gen 2010 20:20
di Latinella
Marco1971 ha scritto:Queste sono domande per il nostro caro Ladim... :)
Attendiamo Ladim!

:D

Inviato: mar, 19 gen 2010 14:03
di Ladim
Non direi «aleatoria»; ma asservita a una semplificazione interpretativa fondamentale.

E – chiedo perdono! – non vedo spunti di grande interesse, se non tematizzando l’uso e la struttura delle due – comunemente dette – «preposizioni».

La categoria logica della completività risponde alla consuetudine di sottoporre la sintassi alla semantica (del verbo). Qui (e vedo l’intervento che intesta il filone) ogni infinitiva introdotta da una «preposizione» presta il fianco a questa lettura.

Un modo più sorvegliato guarderebbe all’argomentazione del verbo reggente, così da proporre una sottostante distinzione: una tipologia sintattica il cui nome è desunto ancora dalla nota categoria, e che separa le preposizioni dai complementatori.

Per il punto «1»: son tutte coerentemente completive; ma la subordinazione, ancora coerente, individua un «complementatore» là dove la grammaticalità del connettivo non è richiesta dal verbo reggente: temere chiede un complementatore, ché si ‘teme’ un «accusativo», e solo con un infinito compare il «di»; diversamente rallegrarsi argomenta già col «di», che resta tale anche nella subordinazione [questo aspetto andrebbe proficuamente ricondotto a quell’altra distinzione mai pacificata di paratassi e ipotassi – ma guardo al seminato!]; insegnare è seguito da un complementatore, non da una preposizione, così imparare; degnarsi introduce solo infinitive, mi pare, e quindi abbiamo ancora un complementatore.
Sembra che «a» sia più di frequente una preposizione; lo stesso non vale per «di».
Postillo: «di» e «a», per altri versi, potrebbero veicolare ulteriori significati sintattici – la prego di tacere [finalità, ma resta il completamento argomentale: e così anche nella «consecutiva» è degno di essere menzionato]; a dire il vero, non mi piace [condizionalità], hai sbagliato a parlare così [causalità] etc.

Per il «2»: vale sempre l’etichetta completiva; sotto il profilo sintattico, li distinguerei per avere il primo due e il secondo un solo argomento (preferisce il gatto al cane/leggere… che parlare…; desidera il libro/leggere…: il primo verbo prevede coerentemente la paratassi; il secondo la vuole orientativamente, preferibilmente).

«3»: sono fraseologici (o perifrasi verbali) se guardano all’«aspetto» – e mi pare una classificazione ben pensata, che aiuta a individuare una «modalità» là dove non vi è un significato proprio: (appena finisco, ti chiamo [proprio – sorvolo le implicazioni deittiche]; finisco di leggere [aspettuale]) – si veda l’attacco più sopra «Stavo riflettendo [e il gerundio è un modo indefinito]...»: se si riflette [anche] sul valore di stare, si vedrà bene un ‘movimento’ e non un predicato autonomo.

Se ho risposto, l'ho fatto molto volentieri.

Inviato: dom, 17 ott 2010 2:57
di Latinella
Ringrazio Ladim! Mi perdoni per il ritardo!