e qui congiuntivo o indicativo

Spazio di discussione su questioni di carattere sintattico

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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Perché piú utile?
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Freelancer »

In attesa che lauxxx le risponda, potrebbe rileggersi (e Decimo con lei) tutte le discussioni fatte in merito. Cerchi monoreferenziale/monoreferenzialità e argomenti correlati.

Suggerisco anche la rilettura del capitolo Purismo e neopurismo in La lingua italiana del Novecento di Bruno Migliorini.

Suggerisco anche di (ri)leggere Saggi sull'interferenza linguistica di Roberto Gusmani nonché La linguistica del contatto di Raffaella Bombi.

Poi ne riparliamo...
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Sí, attendiamo la risposta di lauxxx. Decimo e io non abbiamo bisogno di rileggere nulla. ;)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Freelancer »

Non direi... :wink:
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Ebbene, siccome i portati della moderna linguistica (parlo degli ultimi anni) mi paiono non solo poveri ma anche sterili, do il mio contributo, per quanto risibile per lei, caro Roberto (e poi vedremo fra quindici anni come stanno le cose oggettivamente).

Mi presto a un secondo esercizio futuristico (a distanza di anni dal primo). Nel GRADIT degli anni venturi – forse o senza forse – si leggerà [definizione prevista di ‘tematizzazione’]:

L’highlighting di un elemento della frase grazie a determinati means prosodici e grammaticali, quali l’intonation, l’uso delle particelle, il word order, ecc.

Piano piano, naturalmente. Già si vede l’evoluzione confrontando con dizionari di venti-trent’anni fa, in cui si parlava di ‘calcolatori’ o ‘elaboratori’, oggi sostituiti dal plastismo ‘computer’.

Le voci italiane appariranno sempre piú desuete, stantie, e, per esotismomania, si finirà con l’oblio quasi totale della risonanza, dello spessore, dello spettro non dico delle sole parole, del loro ventaglio semantico e delle loro potenzialità estensive, ma del pensiero stesso, che diverrà unireferenziale, incapace di selezioni, incroci, riproduzioni e sovrapposizioni.

La lingua è il riflesso d’un pensiero e d’una civiltà, e quando pensiero e civiltà vengon meno, viene a mancare, di rimbalzo, la lingua.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
lauxxx
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Intervento di lauxxx »

Essendo l'italiano una lingua viva è normale che evolva e cambi, ci piaccia o meno, del pari trovo poco scandaloso che si importino termini di idiomi stranieri per specifiche esigenze. Certo è ridicolo usare termini quali "resettare", suono che trovo anche molto poco armonico. Non concordo però con la visione futuristica del signor Marco, anche se la salute della nostra lingua risiede nella preparazione fornita dalle nostre scuole e qui secondo me si cela la minaccia reale sul futuro dell'italiano.
Rispondendo alla domanda, ho usato il termine "utile", per i motivi che avevo esposto prima; "web" nella nostra lingua indica esclusivamente la rete informatica, "rete" invece necessita di una specificazione che ne chiarisca il contesto di utilizzo.
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Decimo
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Intervento di Decimo »

Caro Roberto, colgo l’invito alla lettura dei saggi da lei segnalati. Vorrei però che c’intendessimo sulla necessità di distinguere la descrizione di una tendenza oggettiva, peraltro circoscritta alla sola lingua italiana, dalla teorizzazione di una logica di traduzione piú razionale e universalmente valida.

Tra esotismo monoreferenziale e ridefinizione semantica per calco, la scelta dovrebbe infatti cadere —quando ancora possibile— su quale dei due garantisce benefici maggiori ai parlanti. La perdita del valore denotativo originario di un termine ne va sicuramente a danno, poiché, scomparendo il rapporto di metaforizzazione, sparisce altresí ogni appiglio intuitivo. Il neologismo resta pertanto —nel suo uso consapevole— un privilegio degli specialisti.

C’è da rilevare che l’immissione di anglicismi tecnici non sempre risponde a un sincero bisogno di monoreferenzialità (e.g., «film lacrimale» che sostituisce «lacrima» e «pellicola lacrimale»), quindi va ascritta alla tendenza oggi normale a osteggiare il traducente italiano (che può anche precedere l’introduzione del forestierismo, come visto) e —piú in generale— l’intelligibilità complessiva (e.g., «slide» rispetto a «diapositiva», ma anche «algía» rispetto a «dolore»).

Un discorso a parte andrebbe fatto per le «strutture fondamentali» della lingua, certamente non prioritarie e soggette ai normali mutamenti dovuti anche alle influenze esterne. Riprendendo l’esempio miglioriniano, è chiaro che i parlanti non traggono alcun vantaggio oggettivo se impiegano isbergo in luogo di iceberg, salvoché il secondo non cesserà di essere avvertito come prestito fino all’adattamento.
lauxxx ha scritto:Certo è ridicolo usare termini quali "resettare", suono che trovo anche molto poco armonico.
Affermazione palesemente in contraddizione con la teoria da lei sostenuta, ma pazienza. E poi, perché «suono… molto poco armonico»? Forse che le paiono «poco armonici» assettare o rigettare?
V’ha grand’uopo, a dirlavi con ischiettezza, di restaurar l’Erario nostro, già per somma inopia o sia di voci scelte dal buon Secolo, o sia d’altre voci di novello trovato.
lauxxx
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Intervento di lauxxx »

"Palesemente in contraddizione"? Strano, ero convinta che l'uso dell'italiano da parte mia fosse sufficientemente buono da evitare fraintendimenti. Direi che a quanto pare per lei non è così, quindi lascerò questa conversazione, che non ricorda certo un confronto sereno e le permetterò di continuare nell'autocompiacimento per le sue tesi senza l'ulteriore fastidio di repliche contraddittorie.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

lauxxx ha scritto:"web" nella nostra lingua indica esclusivamente la rete informatica, "rete" invece necessita di una specificazione che ne chiarisca il contesto di utilizzo.
Non sono d’accordo, e le sottopongo i seguenti enunciati, chiarissimi proprio per il contesto, che porta a una selezione semantica inequivocabile:

Più di tredicimila navigatori visitano ogni giorno l’indirizzo creato da due ragazzi genovesi. Gens mette in rete la mappa dei cognomi italiani. Un sito illustra diffusione geografica e curiosità delle 350 mila «famiglie» esistenti FLASH DALLA RETE Dimmi come ti chiami e ti dirò chi sei. È la filosofia di «Gens», il sito che racconta la storia dei nomi e dei cognomi d’Italia. (Corriere della Sera, 12.02.2000)

La moda nasce in strada e finisce in Rete
È boom dei siti che si occupano di «street fashion». E molti blogger frequentano le sfilate milanesi in cerca di ispirazione
(Corriere della Sera, 16.01.08)

E ci sono altri 16.000 esempi simili sul solo sito del Corriere.

Le vorrei chiedere, invece, quanto «utili» siano le parole messe in grassetto nel brano seguente, confrontandolo con la versione «tradotta»:

Il segreto? “In Fastweb abbiamo un gruppo che trasforma le idee del marketing in prodotti vendibili e disegna i processi aziendali a supporto, dalle vendite alla gestione del cliente, alla logistica, dalla fatturazione e ai processi amministrativi”, dice Marcello Milani, direttore Service development and business unit planning. Chiaramente l’azienda punta all’eccellenza nella strategia commerciale. Il primo obiettivo è di presidiare tutti i canali di vendita: i negozi, la grande distribuzione, le visite a domicilio. “La strategia è di fornire il miglior supporto al cliente nella scelta dell’offerta”, spiega Fulvio Dell’Agostino direttore Vendite inbound. A oggi la rete dealer è composta da 1.300 punti vendita, 100 dei quali appartengono alla grande distribuzione e sono presidiati da una rete di promoter nata nel 2008. I dealer totalizzano il 20% delle acquisizioni Fastweb; una case history nel mercato delle tlc in termini di contributo al business rispetto agli altri canali. (Corriere della Sera, 03.10.08)

Chiarezza e univocità? Chi sa cosa sono le vendite inbound o il business unit planning? Questo è un esempio di lingua comunicativamente inefficiente. Saranno forse discutibili i traducenti da me scelti qui sotto, ma perlomeno credo che il parlante medio segua meglio il discorso. O no?

Il segreto? “In Fastweb abbiamo un gruppo che trasforma le idee del marketing in prodotti vendibili e disegna i processi aziendali a supporto, dalle vendite alla gestione del cliente, alla logistica, dalla fatturazione e ai processi amministrativi”, dice Marcello Milani, direttore del Servizio sviluppo e pianificazione unità commerciali. Chiaramente l’azienda punta all’eccellenza nella strategia commerciale. Il primo obiettivo è di presidiare tutti i canali di vendita: i negozi, la grande distribuzione, le visite a domicilio. “La strategia è di fornire il miglior supporto al cliente nella scelta dell’offerta”, spiega Fulvio Dell’Agostino direttore Vendite di ritorno (?). A oggi la rete degli operatori è composta da 1.300 punti vendita, 100 dei quali appartengono alla grande distribuzione e sono presidiati da una rete di promotori nata nel 2008. Gli operatori totalizzano il 20% delle acquisizioni Fastweb; un caso storico nel mercato delle tlc in termini di contributo agli affari rispetto agli altri canali.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Decimo »

lauxxx ha scritto:Direi che a quanto pare per lei non è così…
Se le sono parso troppo presuntuoso, le chiedo sinceramente scusa. Partecipi attivamente senza lasciarsi scoraggiare dalla malacreanza di un utente: prometto che non si ripeterà.

Io credo, umilmente, che i miei dubbi siano fondati: perché infatti sarebbe ridicolo impiegare termini come resettare —che godrebbero pure del principio di monoreferenzialità— ma non altri come web? D’altra parte, lei sembra evocare un criterio fonologico: ma il verbo in oggetto entra appieno nel sistema fonologico italiano, e finanche in quello grafematico (lo stesso invece non può dirsi del forestierismo crudo). È costretta quindi a cercare altrove i motivi della sua renitenza.
V’ha grand’uopo, a dirlavi con ischiettezza, di restaurar l’Erario nostro, già per somma inopia o sia di voci scelte dal buon Secolo, o sia d’altre voci di novello trovato.
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Intervento di Freelancer »

Decimo ha scritto:…perché infatti sarebbe ridicolo impiegare termini come resettare —che godrebbero pure del principio di monoreferenzialità— ma non altri come web? D’altra parte, lei sembra evocare un criterio fonologico: ma il verbo in oggetto entra appieno nel sistema fonologico italiano, e finanche in quello grafematico (lo stesso invece non può dirsi del forestierismo crudo).
Osservazione interessante e provo a dare una prima spiegazione a braccio, tenendo presente che non per tutti resettare è ridicolo, infatti c'è chi lo usa tranquillamente. Chi lo trova ridicolo probabilmente sa che esistono già soluzioni alternative - reimpostare, ripristinare, azzerare - e quindi istintivamente lo trova contrario a un principio di utilità.

Invece web porta con sé una connotazione particolare - la rete telematica mondiale che ha cambiato così tante cose nel nostro modo di vita - e presenta immediatamente, inequivocabilmente e in modo trasparente la caratterisitca di monoreferenzialità che lo fa sembrare più appropriato dell'estensione semantica di rete, che almeno inizialmente e comunque sempre in certi casi richiede la disambiguazione tramite chiara specificazione del contesto (non è difficile immaginare casi, certo abbastanza tecnici, in cui nello stesso documento si stia parlando di Internet, di reti locali, di intranet e di altre reti di trasmissione dati tra vari apparecchi). Non c'è comunque dubbio che rete possa benissimo farne le veci in tanti casi e infatti lentamente si sta diffondendo, come osservato da Marco.

Concludendo, nel particolare caso di web mi sembra che non sia il caso di stracciarsi le vesti se viene ancora adoperato. Anzi, direi che a mano a mano che finisce per presentarsi quasi come sinonimo di rete nella particolare accezione di cui stiamo discutendo, diventa una soluzione alternativa utilizzabile nello scritto a scopo stilistico - penso alla variatio - da parlanti scaltriti.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Freelancer ha scritto:Non c'è comunque dubbio che rete possa benissimo farne le veci in tanti casi e infatti lentamente si sta diffondendo...
Forse non cosí lentamente, caro Roberto: nell’ultimo Garzanti, per citare un dizionario di cui ho fatto di recente un resoconto critico, c’è scritto:

la rete, Internet.

Per il resto, nel caso particolare di web, posso concordare con quello che ha scritto solo in un contesto molto ambiguo e magari in testi tecnicissimi – ma anche lí, a mio avviso, ci sono sempre soluzioni dall’interpretazione cristallina (non fosse altro che la semplice maiuscola: la Rete).

Mi piacerebbe conoscere il suo parere sul brano tratto dall’articolo del Corriere sopra riportato: che valore comunicativo o disambiguante hanno i termini inglesi in grassetto?
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Freelancer »

Ma cosa c'entra l'articolo? Stavamo parlando di web, anglicismo dalla particolare connotazione. Cerchiamo di non mettere tutto nello stesso calderone.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Freelancer ha scritto:Ma cosa c'entra l'articolo? Stavamo parlando di web, anglicismo dalla particolare connotazione. Cerchiamo di non mettere tutto nello stesso calderone.
C’entra, perché lauxxx ha allargato il discorso dicendo che reputa «poco scandaloso che si importino termini di idiomi stranieri per specifiche esigenze.» Ha inoltre invocato, come lei, l’unireferenzialità (so che si dice monoreferenzialità, ma vorrei che piano piano s’imponesse questa formazione piú consona), ragion per cui chied[ev]o a lei, Roberto, che è un professionista della traduzione, un parere sull’articolo (e, eventualmente, consigli sugli equivalenti piú idonei al caso). :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Freelancer »

Che vuol che le dica? Riflette il modo in cui tanti oggi pensano si debba scrivere parlando di questi argomenti. C'è solo da fare spallucce, secondo me.

Mi colpisce dealer perché mi è capitato in un altro caso. Evidentemente nel gergo aziendale concessionario viene adesso considerata da alcuni parola vile, per cui il concetto va nobilitato usando dealer. Cosa siano le vendite inbound, non ne ho idea, ma probabilmente Fulvio Dell’Agostino potrà spiegarcelo.

Recentemente mi è stato corretto e senza possibilità di appello, da due fonti diverse, ma sempre dal settore vendite in Italia, scheda dati con datasheet.

Occorre mantenere la calma e avere pazienza, continuando a usare la buona lingua in tutte le occasioni possibili. Ha da passa' a nuttata.

:wink:
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