«Buon[o] studio»

Spazio di discussione su questioni di carattere morfologico

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Marco1971
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«Buon[o] studio»

Intervento di Marco1971 »

Oggi si può dire buon studio... :roll:
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Io mi chiedo: è proprio un'eresia invocare il rispetto della norma? È pacifico che la forza dell'uso sia irresistibile, ma finché un fenomeno, come quello del troncamento di buono e santo (a quando quello di bello, tanto per dare un tocco di estetica alla coppia teologico-morale?) è circoscritto fra i parlanti del Nord, perché non censurarlo? A quando la fine di questo lassismo?

Personalmente, pur essendo veneto, non mi sognerei mai di pronunciare obbrobri quali «*buon studio» o «*in buon stato» – laddove, invece, in dialetto veronese la norma è piuttosto «bòn studio» e «in bòn stato» che «bòno studio» e «in bòno stato».
Fausto Raso
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Intervento di Fausto Raso »

Con tutto il rispetto per Serianni resto sconcertato. Mai e poi mai dirò o scriverò "buon studio".
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Caro Ferdinand, è per me motivo di sollievo e di gioia che lei la pensi cosí. Oggi, purtroppo, i linguisti – dico la maggior parte, non tutti – sono stanchi, non gli garbano le regole e non perdono un’occasione per giustificare nuovi usi, anche quando questi non hanno ragion d’essere.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Decimo
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Intervento di Decimo »

La citazione di Serianni, a proposito della presunta «espansione» delle forme apocopate «…soprattutto davanti a z per san», mi pare malamente decontestualizzata e falsificata. I tipi san Zeno, san Zaccaria, ecc., sono forme cristallizzate storicamente legittime (come noto, la normalizzazione dell’articolo davanti a z- è recente), pertanto il rilevamento di una «tendenza espansiva» è —come credo— assai singolare. (Ammetto però di non aver avuto ancora la possibilità di consultare il testo in oggetto.)

Non è poi chiaro quale sarebbe la «funzionalità» della perdita di una sillaba in buon studio. E in virtú di quale criterio linguistico i centromeridionali sono considerati —proprio per il fenomeno che qui si vorrebbe studiare— un gruppo omogeneo? Una piú opportuna classificazione avrebbe evitato l’imbarazzante nota avverbiale «abbastanza». Infine, sí, il modello fonologico toscano avrà pure perso la sua centralità, ma non l’ha certo acquistata il modello settentrionale.

P.S. Caro Fausto, l’autore dell’articolo è Paolo D’Achille, non Serianni.
V’ha grand’uopo, a dirlavi con ischiettezza, di restaurar l’Erario nostro, già per somma inopia o sia di voci scelte dal buon Secolo, o sia d’altre voci di novello trovato.
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Marco1971
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Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Mi accorgo che la domanda era stata posta qui da un utente di passaggio...
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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