Sequenze consonantiche inaccettabili

Spazio di discussione su questioni di fonetica, fonologia e ortoepia

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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Devo dire che ho anch’io questa tendenza spontanea ad attenuare i miei tratti regionali parlando con un interlocutore dalla pronuncia diversa. Nella mia esperienza, tuttavia, non mi è quasi mai capitato il contrario, specie con i settentrionali. Probabilmente perché il parlante medio del Settentrione è convinto di non avere tratti regionali. A tal proposito ricorderò sempre quest’aneddoto (non rammento se l’ho già raccontato): moltissimi anni fa, un giorno al mare incontrai un gruppo di ragazzi torinesi. Non so piú come, il discorso cadde sulla pronuncia e loro, con aria soddisfatta, dichiararono: «Il nostro è l’italiano della televisione, quello degli attori» (non sono parole testuali, ma il senso era quello). Non dissi nulla e cambiai argomento. ;)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Andrea Russo
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Intervento di Andrea Russo »

Marco1971 ha scritto:Devo dire che ho anch’io questa tendenza spontanea ad attenuare i miei tratti regionali parlando con un interlocutore dalla pronuncia diversa.
D'accordo, questo sí, ma dover cambiare la pronuncia a seconda della regione d'origine dell'interlocutore mi pare un po' troppo! :D
(Comunque tanto di cappello a chi ci riesce... :wink:)
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Souchou-sama
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Intervento di Souchou-sama »

Andrea Russo ha scritto:Personalmente non ne vedo la necessità... né l'utilità (mi pare una fatica inutile). Inoltre è abbastanza rischioso: bisogna stare attenti se non si vuol rischiare di caricaturare l'accento dell'interlocutore, che potrebbe anche sentirsi preso in giro, credo.
L’«utilità» sta nel metter il piú possibile a proprio agio e sé stessi e l’interlocutore, cercando di farlo «sentire a casa». :wink: Inoltre, una pronuncia neutra ma orientata verso la sua può facilitargli la comprensione di quanto stiamo dicendo.
Quanto allo «scimmiottamento», intendiamoci: non è che, se parlo con un romano o un siciliano, mi metto a scempiare o geminare le /r/ di conseguenza! :D Però, probabilmente eviterò pronunce «troppo» toscaneggianti, e mi scapperà qualche /ʧ/ [ʃ] (e forse anche qualche /p t k/ sonorizzata…).
Marco1971 ha scritto:moltissimi anni fa, un giorno al mare incontrai un gruppo di ragazzi torinesi. Non so piú come, il discorso cadde sulla pronuncia e loro, con aria soddisfatta, dichiararono: «Il nostro è l’italiano della televisione, quello degli attori»
Certo, magari pronunciando «l’italiano della televisiòne, degli attòri»! :lol:
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Sandro1991
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Intervento di Sandro1991 »

Souchou-sama ha scritto:L’«utilità» sta nel metter il piú possibile a proprio agio e sé stessi e l’interlocutore, cercando di farlo «sentire a casa». :wink: Inoltre, una pronuncia neutra ma orientata verso la sua può facilitargli la comprensione di quanto stiamo dicendo.
Son d’accordo su quel che dici nella prima frase, ma, quanto alla seconda [frase], esageruma nen! :D Quando arrivai a Pisa, dalla Sicilia con furore, mi capivano tutti! :lol: Ora, quando provo a dar sfoggio di neutralese −parecchio acerbo, però− non credo sia piú comprensibile. Non saprei… Forse la comunicazione diventa piú familiare, magari usando regionalismi, ad esempio il siciliano contrastare (veste italiana di cuntrastari «arrabattarsi», su per giú), et simila.
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Souchou-sama
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Intervento di Souchou-sama »

Non so: rimango convinto che una pronuncia troppo «eccentrica» possa ostacolar inutilmente il flusso di pensieri dell’interlocutore. Se uso pronunce molto toscaneggianti come collètta o spènto, per es., l’interlocutore potrebbe pensare, in qualche contesto, ch’io abbia detto lètta & pènto o stènto. (Oppure, potrebbe semplicemente fermarsi a pensare: «che strana pronuncia!».) È una possibilità piú o meno remota, ma perché rischiare, quando posso semplicemente dire collétta e spénto, mantenendo perfettamente una pronuncia neutra? :)
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Souchou-sama ha scritto:Se uso pronunce molto toscaneggianti come collètta o spènto, per es., l’interlocutore potrebbe pensare, in qualche contesto, ch’io abbia detto lètta & pènto o stènto.
Eccentrico mi sembra piuttosto che per un timbro diverso si capisca fischi per fiaschi... :? Non ho mai incontrato difficoltà a capire chi dice ho mangiato una pésca o ha gli occhi vèrdi. E il 99% della popolazione riesce a capirsi senza dover adattarsi e cambiare pronuncia (cosa che realmente non sarebbe in grado di fare).

P.S. Spènto e collètta non mi paiono poter essere definite [molto] toscaneggianti: sono le pronunce normative, riportate dal DOP e da tutti i dizionari attuali. :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Souchou-sama
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Intervento di Souchou-sama »

Non è «eccentrico»: è un dato di fatto — o vuol affermare che gl’italiani si capiscon tutti facilmente, quando parlano? non fingiamo che non sia anche colpa delle /e ~ ɛ, o ~ ɔ/ distribuite a casaccio. :D Poi, per carità: ognuno parla per esperienza personale, e a me è capitato spesso di fraintendere delle parole perché pronunciate col timbro vocalico sbagliato. Soltanto per /e ~ ɛ/ c’è, a conti (da me) fatti, un centinaio abbondante di «coppie unidivergenti».
(Per esempio, dalle mie parti ha gli occhi *vèrdi rischierebbe di confondersi con ha gli occhi verti, cioè aperti.)
Marco1971 ha scritto:Spènto e collètta non mi paiono poter essere definite [molto] toscaneggianti: sono le pronunce normative, riportate dal DOP e da tutti i dizionari attuali. :)
Sí, ma 1) il DOP riporta anche spénto; 2) sono pronunce (r)esistenti soltanto in (parte della) Toscana; 3) sono pronunce adottate da pochissimi «professionisti della voce». :wink: — Comunque, son solo i primi due esempi che mi son saltati in mente: non necessariamente i piú emblematici, abbiate pazienza…

Aggiornamento: m’è sovvenuto un buon esempio. Sfido chiunque ad ammettere di non aver [avuto] problemi a capire alcune frasi pronunciate da coloro che confondono e /e/ & è /ɛ/.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Secondo me lei concentra tutta la sua attenzione sulle realizzazioni fonetiche e tralascia una componente fondamentale dell’umano discorrere: qualsiasi enunciato, avulso da un contesto, può dar luogo a varie interpretazioni, nonché a fraintendimenti; ma nessun enunciato, nella vita reale, esiste al di fuori di un contesto, che è quello di cui parlano gli interlocutori nel momento in cui interloquiscono. Mettiamo che ha gli occhi vèrdi sia la risposta a di che colore sono i suoi occhi?: a meno d’immaginare che la domanda non sia chiara a chi ascolta o che l’interlocutore soffra di qualche turba psichica, difficilmente la risposta potrebbe essere ha gli occhi aperti. E cosí, se si parla di una bótte di vino, a nessuno vengono in mente le bòtte, ecc.

Riguardo a spènto, devo dissentire: 1) è diffuso anche in quelle varietà regionali in cui o non v’è distinzione tra aperte e chiuse, o la distribuzione delle stesse ha l’aperta per questa parola; 2) tutta la scuola di doppiaggio milanese segue il vocalismo di base fiorentina (c’è tra i nostri frequentatori chi lavora in questo campo, e il punto di riferimento, mi è stato detto, è il DOP – che dà come seconda la pronuncia con e chiusa), e spénto è l’unica soluzione solo per la scuola romana.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di PersOnLine »

Souchou-sama ha scritto:Aggiornamento: m’è sovvenuto un buon esempio. Sfido chiunque ad ammettere di non aver [avuto] problemi a capire alcune frasi pronunciate da coloro che confondono e /e/ & è /ɛ/.
Francamente, io non sento proprio le differenze di timbro, fra aperte e chiuse, quando uno parla – non me ne vanto, ma neanche me ne struggo –, e ho l'impressione che il 99% dei parlanti non se ne renda proprio conto: anche perché penso che a bruciapelo difficilmente saprebbero indicare tra pèsca e pésca quale è il frutto e qual è l'attività sportiva.
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Souchou-sama
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Intervento di Souchou-sama »

Marco1971 ha scritto:Secondo me lei concentra tutta la sua attenzione sulle realizzazioni fonetiche e tralascia una componente fondamentale dell’umano discorrere: qualsiasi enunciato, avulso da un contesto, può dar luogo a varie interpretazioni, nonché a fraintendimenti; ma nessun enunciato, nella vita reale, esiste al di fuori di un contesto, che è quello di cui parlano gli interlocutori nel momento in cui interloquiscono. Mettiamo che ha gli occhi vèrdi sia la risposta a di che colore sono i suoi occhi?
Ovvía, non son cosí sprovveduto! :D Comunque, ho almeno due obiezioni da muoverLe.
In primo luogo, non è vero che qualsiasi frase che pronunciamo o udiamo è inserita in un contesto. O, se anche n’esiste uno, può sfuggirci per mille motivi. — Stiamo dormendo, e qualcuno ci sveglia pronunciando una frase: nessun contesto. Stiamo camminando per strada, e un passante ci pone improvvisamente una domanda: nessun contesto. Arriviamo in ritardo a lezione in università, e capitiamo nel bel mezzo d’un discorso che il docente ha iniziato ormai da qualche minuto: nessun contesto. Eccetera eccetera.
In secondo luogo, se Lei può immaginare un contesto specifico e «su misura» come Di che colore sono gli occhi di quella ragazza?, io posso benissimo trovarne uno a me confacente. Usando Google Libri, ho rinvenuto questa frase: Soltanto, chissà perché, nell’aria c’è il colore di quegli occhi cosí aperti. Forse che qui non sarebbe possibilissimo —e, anzi, piú prevedibile— un quegli occhi cosí verdi? :wink:
Marco1971 ha scritto:1) è diffuso anche in quelle varietà regionali in cui o non v’è distinzione tra aperte e chiuse, o la distribuzione delle stesse ha l’aperta per questa parola; 2) tutta la scuola di doppiaggio milanese segue il vocalismo di base fiorentina (c’è tra i nostri frequentatori chi lavora in questo campo, e il punto di riferimento, mi è stato detto, è il DOP – che dà come seconda la pronuncia con e chiusa), e spénto è l’unica soluzione solo per la scuola romana.
1) Sí, certo, ma io mi riferivo a quella parte dell’Italia «che conta» (linguisticamente); 2) sí, ma la scuola milanese è molto meno influente di quella romana (per esempio, doppiano pochissimi filme); inoltre, è proprio sicuro che seguano il vocalismo fiorentino al 100%? Ho sentito doppiatori milanesi usare pronunce «accettabili» come trascèndere, figuriamoci quelle «moderne».
PersOnLine ha scritto:Francamente, io non sento proprio le differenze di timbro, fra aperte e chiuse, quando uno parla – non me ne vanto, ma neanche me ne struggo
Allora Le auguro di non dover mai imparare una lingua straniera… :roll:
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Le sue obiezioni sono valide, entro i limiti del realismo: la frase citata da Google Libri è lingua letteraria; chi ci sveglia o ci apostrofa per strada, di solito, non è poeta. Insomma, realisticamente, nella vita quotidiana, la maggior parte degli enunciati sono in certa misura prevedibili, e non sarà il timbro aperto o chiuso d’una vocale a ostacolare la comprensione, bensí, piuttosto, un eloquio magari mal articolato o un volume sonoro insufficiente. D’altra parte non le apprenderò nulla di nuovo dicendole che la maggioranza degli italiani 1) non sa dell’esistenza d’una pronuncia (o di piú pronunce) normativa/e (per ognuno la normalità è la propria); e 2) come ha testimoniato PersOnLine qui sopra, la stessa maggioranza non solo non sa riconoscere o riprodurre con precisione le vocali aperte e chiuse, ma non è in grado di dire se il frutto sia la pèsca o la pésca (e viceversa), sicché non v’è legame nella coscienza di gran parte dei locutori tra il suono aperto/chiuso e il significato a cui rinvia.

Noterella fuori tema: il plurale di filme (se si vuol usare la forma adattata) è filmi. :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Souchou-sama
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Intervento di Souchou-sama »

Temo che sia Lei sia PersOnLine sottovalutiate l’importanza del… come dire, “inconscio linguistico collettivo”? :D Voglio dire: non importa che la gente «sa[ppia] dell’esistenza d’una pronuncia normativa». Perché, in un certo senso, lo sa benissimo, anche se non sa di saperlo. Il solo fatto che un accento «strano» salti all’orecchio di chiunque ne è una chiara dimostrazione. Se per la gente tutti gli accenti formassero una massa indistinta, allora qualsiasi accento ci sembrerebbe strano. Eppure, anche un milanese, che dice *perchè, non batte ciglio quando sente qualcuno dire perché. Al contrario, *vèrde o *dòlce, per esempio, gli farebbero súbito storcer il naso. Dunque una conoscenza «sotterranea» della pronuncia corretta esiste eccome.
Marco1971 ha scritto:Noterella fuori tema: il plurale di filme (se si vuol usare la forma adattata) è filmi. :)
Ah, grazie per la precisazione. :) Eppure, molti dicono filme/firme anche al plurale… C’è un qualche dizionario o manuale da consultare in questi casi? (Ché, purtroppo, riportano [quasi?] tutti soltanto film.)

P.S. Deo gratias, i milanesi piú cólti stanno imparando a dire perché (che però resta solitamente [peɾˈkeˑ]). Ma io ho a che fare con docenti & studenti di Lingue, quindi non credo che come ambiente faccia testo… :(
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Souchou-sama ha scritto:Eppure, molti dicono filme/firme anche al plurale… C’è un qualche dizionario o manuale da consultare in questi casi? (Ché, purtroppo, riportano [quasi?] tutti soltanto film.)
Serianni, nella sua grammatica (III.132c); e nel Battaglia la forma è registrata col plurale regolare, che si trova illustrato presso vari scrittori.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
valerio_vanni
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Intervento di valerio_vanni »

Marco1971 ha scritto:la maggior parte degli enunciati sono in certa misura prevedibili, e non sarà il timbro aperto o chiuso d’una vocale a ostacolare la comprensione, bensí, piuttosto, un eloquio magari mal articolato o un volume sonoro insufficiente.
D'accordo. C'è però da dire che cade un elemento di ridondanza e la cosa si può far sentire se si combinano altri fattori.
Faccio un esempio: io e la mia ragazza parliamo due italiani regionali differenti per quanto riguarda la distribuzione delle vocali aperte e chiuse.
Normalmente ci capiamo senza problemi, ognuno si tiene il suo italiano regionale e viviamo felici e contenti.

A volte però col telefonino la comunicazione è disturbata, salta qualche frammento di audio. E' in questi casi che il "ricostruisco dal contesto" a volte si inceppa a causa di quella vocale differente.
E' capitato più volte.
Marco1971 ha scritto:2) come ha testimoniato PersOnLine qui sopra, la stessa maggioranza non solo non sa riconoscere o riprodurre con precisione le vocali aperte e chiuse, ma non è in grado di dire se il frutto sia la pèsca o la pésca (e viceversa), sicché non v’è legame nella coscienza di gran parte dei locutori tra il suono aperto/chiuso e il significato a cui rinvia.
La seconda ovviamente discende dalla prima: se uno non sa riconoscere i due timbri è difficile che sappia a cosa corrispondono nella singola parola.
Però sul fatto che la maggioranza non sappia riconoscere o riprodurre le vocali aperte o chiuse non sono d'accordo.
Ci sono, sì, zone in cui tendenzialmente c'è "una sola e" e/o "una sola o" ma non mi pare che rappresentino la maggioranza. In tante altre zone c'è semplicemente una distribuzione diversa rispetto allo standard.
valerio_vanni
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Località: Marradi (FI)

Intervento di valerio_vanni »

Souchou-sama ha scritto:Temo che sia Lei sia PersOnLine sottovalutiate l’importanza del… come dire, “inconscio linguistico collettivo”? :D Voglio dire: non importa che la gente «sa[ppia] dell’esistenza d’una pronuncia normativa». Perché, in un certo senso, lo sa benissimo, anche se non sa di saperlo. Il solo fatto che un accento «strano» salti all’orecchio di chiunque ne è una chiara dimostrazione. Se per la gente tutti gli accenti formassero una massa indistinta, allora qualsiasi accento ci sembrerebbe strano. Eppure, anche un milanese, che dice *perchè, non batte ciglio quando sente qualcuno dire perché. Al contrario, *vèrde o *dòlce, per esempio, gli farebbero súbito storcer il naso. Dunque una conoscenza «sotterranea» della pronuncia corretta esiste eccome.
Può darsi che venga "accettato" maggiormente quello che si sente in TV.

Più in generale, però, mi pare "tutto relativo" nel senso che sembra strano quello che è diverso dal proprio parlato abituale.
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