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«Tale un» & «riandare» transitivo

Inviato: dom, 05 dic 2004 17:17
di Marco1971
Ripropongo un argomento che sottoposi all’attenzione del pubblico del forum della Crusca in una delle prime stanze, e che non riscosse molto successo…::(

http://forum.accademiadellacrusca.it/fo ... 1986.shtml

Secondo me, scrivendo (ché parlando nessuno lo direbbe, è un modo squisitamente letterario) Essa [l’epifania] trascina il poeta in tale un’estasi che i punti di contatto con la realtà vengon meno, si pone un’accento particolare su tale, maggiore che nella formulazione piú comune una tale estasi perché è, a mio parere, stilisticamente piú raffinato.

Il costrutto era — sembra — molto caro al Caro, nella sua traduzione dell’Eneide, di cui trascrivo una delle sei occorrenze:

«Quinci e quindi alti scogli e rupi altissime,
sotto cui stagna spazioso un golfo
securo e queto: e v’ha d’alberi sopra
tale una scena, che la luce e ’l sole
vi raggia, e non penètra; un’ombra opaca
anzi un orror di selve annose e folte.» (Libro 1, 264-269)

Ma se ne trovano attestazioni anche, tra l’altro, in Ramusio, Goldoni, Alfieri, Tommaseo, Fogazzaro, Serao e Svevo:

«Ci conosciamo da poco, ma abbiamo passata insieme tale una giornata da sentircene legati piú che non da anni d’intimità.» (Senilità, cap. 14.)

Gradirei anche un parere sull’uso transitivo di riandare coniugato riando, riandi, rianda…: …il sonno riconduce, con la viva nitidezza delle immagini oniriche, alle impressioni vissute, che il poeta rianda come per risalire alla sorgente della dolcezza provata, e coglierne l’essenza recondita (dalla mia tesi su Sandro Penna).

Eccone un esempio letterario, fra i molti:

«Colla prestezza
con che vola il pensier del viatore,
che scorse molte terre le rianda
in suo secreto, e dice: Io quella riva,
io quell’altra toccai…» (Monti, Traduzione dell’Iliade, Libro 15, 93-97)

Naturalmente la questione esula dalla lingua comune; m’interesserebbe sapere come percepite queste forme rare, e se, inserite nel contesto acconcio, vi sembrano accettabili anche nella prosa letteraria d’oggi (come credo che sia).

Inviato: lun, 06 dic 2004 13:20
di Incarcato
Sull'uso di ‘tale’ concordo con lei: del resto si può dire ‘una gionata tale’, ‘una tale giornata’ e ‘tale una giornata’; ‘una scena tale’, ‘una tale scena’, ‘tale una scena’ etc. I tre casi presentano delle lievi e piacevoli sfumature, delle quali la piú raffinata è sicuramente l'uso preposto.

Riguardo invece al verbo ‘riandare’ ho delle perplessità.
S'intende che rispetto del tutto la sua scelta stilistica, né ho alcunché da dire sulla bellezza (invero dal sapore nostalgico) del vocabolo: chi non ricorda il Leopardi:

«Ancor non sei tu paga/Di riandare i sempiterni calli?»

Tuttavia, declinarlo oggi nella forma ‘riando’ anziché ‘rivado’ a me dà un certo brivido: se deriva da ‘andare’ (dove le forme ando, andi , anda etc. sono socialmente censurate con forza) perché non declinarlo sulla sua scia?
So che è una forma letteraria, ma io la sento come arcaica e desueta.
Cordialmente.

Inviato: lun, 06 dic 2004 14:57
di Marco1971
Grazie molte, incarcato, per il suo parere.

Riguardo a riandare, il Gabrielli — ed è l’unico a menzionarlo — scrive:

«Nell’uso tr. invece, segue la coniug. regolare nelle forme accentate sulla prima sillaba: riàndo, riàndi, riànda, riàndano; che io, tu, egli riàndi, che essi riàndino; nel fut. sempl. rianderò, rianderà ecc. e nel condiz. pres. rianderèi, rianderésti, ecc.»

E dà i seguenti esempi:

«Rianda Le cose che tu gli hai dette di me» (Salvini); «Rianderemo le belle ore trascorse insieme, tutto il nostro felice passato»; «Riandava con un brivido la brutta avventura capitatagli».

Concordo con lei: come mai non segue la coniugazione di andare anche nell’uso transitivo? Non saprei, ma fatto sta che le attestazioni letterarie sono concordi, sicché sarebbe un errore dire «... *che il poeta rivà...» e bisognerebbe dire «... a cui il poeta rivà...», che però darebbe alla frase un sapore diverso...

A ogni modo, sull’arcaicità di queste forme c’è poco dubbio. Ma mi diletto talvolta di arcaismi (sempre con misura e in un contesto letterario).

La ringrazio nuovamente, sperando di sentire anche il parere di altri.

Inviato: mer, 08 dic 2004 19:19
di atticus
D'accordo sul "tale", assai piú efficace se precedente l'articolo.
In riferimento a "riando, riandi..." trovo che tutti i poeti dovrebbero adottarlo come sostituto di "rivado" o, peggio, "rivò".
Esso ("riando") dà un ritmo lento riposante mesto al verso, che l'altra forma mai darebbe. Pensiamo a "riandando", "riandava" descrittivi.
Arcaico? Forse.
Complimenti a Marco71 che, di tanto in tanto, tira fuori perle.

Inviato: mer, 08 dic 2004 20:10
di Marco1971
Grazie molte, atticus, dei suoi bei commenti.

Vorrei solo sottolineare che le forme regolari vanno bene solo per l’uso transitivo del verbo (nel caso che qualcuno, leggendo questa discussione, adottasse la coniugazione regolare quando non è possibile, tipo *riando a casa).

Ma davvero lei non ama le forme vo/rivò, fo/rifò? Io le uso...

Inviato: gio, 09 dic 2004 17:40
di atticus
Mi vanno benissimo.
Non in poesia, dove un "rivò", un "rifò" mi sanno tanto (parlando col dovuto rispetto) di Vispa Teresa.
Colgo l'occasione per farLe i complimenti per i Suoi puntuali interventi sul Forum dell'Accademia (il quale è di nuovo fuori uso. Amen!).

Tale una felicità

Inviato: dom, 19 dic 2004 22:21
di Max
In Elogio della Follia, di Erasmo da Rotterdam:

«A me poco importa, purché siate disposti a riconoscere che, per mio beneficio, l'animale più infelice di tutti può attingere tale una felicità da non volere scambiare la propria sorte neppure con quella dei re persiani.»

Saluti e Buone Feste!

«Morias encomion», i.e. «Stultitiae laus»

Inviato: mar, 21 dic 2004 15:40
di Infarinato
Tradotto da chi?... Quando?

Buone Feste anche a Lei.

Re: «Morias encomion», i.e. «Stultitiae laus»

Inviato: mar, 21 dic 2004 17:43
di Max
Infarinato ha scritto:Tradotto da chi?... Quando?
Trattandosi di un testo ormai libero, non più soggetto a diritti d'autore, è difficile risalire alla traduzione originale. Riesco solo a citare la fonte del documento in mio possesso, disponibile nel sito liberliber e giudicato di affidabilità 1 (media), in una scala che va da 0 a 3. L'edizione elettronica del testo è del 27 giugno 1996.
Saluti.

«Riandare» transitivo nel DOP

Inviato: lun, 20 gen 2014 20:16
di Ferdinand Bardamu
Il DOP separa il riandare intransitivo (che altro non è che l’iterativo di andare), che si coniuga come andare, e mostra quindi l’eteroclisia all’indicativo presente; e il riandare transitivo, che si coniuga regolarmente: riando, rianda, ecc. Verbo per me dal bellissimo significante, com’è già stato notato.

Inviato: mar, 21 gen 2014 12:20
di bubu7
Il DOP non è stato preciso in questa distinzione.

Avrebbe dovuto inserire sotto la voce eteroclita anche il verbo transitivo col significato 'ripercorrere'.

Inoltre per riandare, coniugato come verbo regolare, avrebbe dovuto segnalare che si tratta di una forma obsoleta e letteraria da usare, oggigiorno, solo in senso scherzoso.

Inviato: mar, 21 gen 2014 12:33
di Ferdinand Bardamu
Il DOP ha un’impostazione tradizionale, per molti versi è datato, e talvolta considera normali (ossia accettabili in un registro neutro) parole che oggi non sono piú comuni. Non credo dunque che gli si debba imputare alcunché, se s’hanno ben chiare queste sue caratteristiche.

Inoltre, di fatto, il verbo riandare transitivo è un altro verbo, sia per l’assenza dell’eteroclisia, sia per il significato. È giustissimo quindi, a mio modesto parere, metterlo in una voce a sé.

Inviato: mar, 21 gen 2014 12:48
di bubu7
Ferdinand Bardamu ha scritto: Il DOP ha un’impostazione tradizionale, per molti versi è datato, e talvolta considera normali (ossia accettabili in un registro neutro) parole che oggi non sono piú comuni. Non credo dunque che gli si debba imputare alcunché, se s’hanno ben chiare queste sue caratteristiche.
Certo, caro Ferdinand, l'impostazione è tradizionale ma il DOP si propone giustamente come un riferimento moderno (soprattutto di pronuncia e grafia ma anche per il resto).
Di conseguenza, come già accaduto altre volte, segnalerò l'errore ai curatori. :)
Ferdinand Bardamu ha scritto:Inoltre, di fatto, il verbo riandare transitivo è un altro verbo, sia per l’assenza dell’eteroclisia, sia per il significato. È giustissimo quindi, a mio modesto parere, metterlo in una voce a sé.
È sicuro che si tratti di verbi diversi?

Secondo me (interpretando quanto riportato dai dizionari) sono due accezioni dello stesso verbo.

Inviato: mar, 21 gen 2014 13:19
di Ferdinand Bardamu
bubu7 ha scritto:Certo, caro Ferdinand, l'impostazione è tradizionale ma il DOP si propone giustamente come un riferimento moderno (soprattutto di pronuncia e grafia ma anche per il resto).
Di conseguenza, come già accaduto altre volte, segnalerò l'errore ai curatori. :)
Temo che dovrà segnalare buona parte del dizionario, allora, a cominciare da tutte le [s] intervocaliche, per giungere agli accenti tradizionali in svalúto, evapóro, scandinàvo, alla mancata condanna di plebeismi come dassi, e chi piú ne ha. :) Il DOP è sí un riferimento moderno, ma è saldamente ancorato alla tradizione.
bubu7 ha scritto:
Ferdinand Bardamu ha scritto:Inoltre, di fatto, il verbo riandare transitivo è un altro verbo, sia per l’assenza dell’eteroclisia, sia per il significato. È giustissimo quindi, a mio modesto parere, metterlo in una voce a sé.
È sicuro che si tratti di verbi diversi?

Secondo me (interpretando quanto riportato dai dizionari) sono due accezioni dello stesso verbo.
A mio parere non sono lo stesso verbo, se non per il fatto che condividono la medesima base all’infinito; e questo sia per la transitività/intransitività (condizione non sufficiente, tuttavia), sia per la presenza/assenza di eteroclisia, sia per l’azionalità: nell’accezione di ‹rispostarsi› da un luogo a un altro, riandare è durativo e telico (al termine dell’andata si raggiunge una meta); nell’accezione di ‹ripercorrere›, riandare è durativo e continuativo.

Inviato: mar, 21 gen 2014 16:07
di bubu7
Ferdinand Bardamu ha scritto: A mio parere non sono lo stesso verbo, se non per il fatto che condividono la medesima base all’infinito; e questo sia per la transitività/intransitività (condizione non sufficiente, tuttavia), sia per la presenza/assenza di eteroclisia...
Non è così, caro Ferdinand, basta consultare un dizionario etimologico, come il DELI.
Il verbo è lo stesso con diverse accezioni consolidatesi durante la storia della parola.