«Molto social e un po’ smart, ormai parliamo in itanglese»

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Ferdinand Bardamu
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«Molto social e un po’ smart, ormai parliamo in itanglese»

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Solito articolo sulla diffusione degli anglismi non adattati e non tradotti e solite parole vaghe da parte dei linguisti.

Serianni fa riferimento al lessico fondamentale (duemila parole) e dice che gli anglismi non adattati lí sono quattro o cinque. Sí, va bene, ma se andiamo un po’ oltre a «Io ho fame» o «La casa va a fuoco» come stiamo messi? I pubblicitari come parlano? E i direttori commerciali?

Taccio poi su un’incongruenza dell’articolista: mi si corregga se sbaglio, ma week-end non può essere, a rigor di logica, il sostituto per fine settimana, ma il contrario, dacché questo è il calco morfologico di quello. Ma che week-end sia peggiore di fine settimana non v’ha dubbio. :)
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

«Ma la lingua non rischia: non si estingue se accoglie parole straniere, perché il lessico ne è solo la struttura superficiale, è minacciata se sono alterate le sue strutture portanti come morfologia e grammatica.»

E gli anglicismi non alterano la morfologia stessa dell’italiano? O è miope costui? Una frase come la seguente sarebbe ancora riconoscibile come italiano?

Ma il language non rischia: non si estingue se accoglie foreign words, perché il lexicon ne è solo la superficial structure, è minacciata se sono alterate le sue core structures come la morphology e la grammar.

So già che mi si dirà: non giungeremo mai a tal punto. Eppure, di anno in anno, l’abbiamo visto, anche certe parole di base tendono a farsi sostituire dai corrispondenti termini inglesi (si veda in Google la crescita di book e glass [«un glass di»: 2140 occorrenze oggi, il doppio domani]). Non c’è limite noto all’imperscrutabile bàratro dell’ignoranza.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Luca86
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Intervento di Luca86 »

Bisognerebbe spiegare a questa gente – la maggior parte non conosce il significato di tre quarti degli anglicismi che usa – che occorre scindere le due lingue: l'italiano è l'italiano e l'inglese è l'inglese. Chi ha tanta voglia di parlare inglese, dovrebbe andare in un paese anglofono: lí potrebbe parlarlo a volontà (ammesso che sappia farlo a dovere).

Scusate lo sfogo. :)

P.S. Ho le traveggole o nell'articolo c'è scritto «Cortellazzo»? :shock:
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Marco1971
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Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Sí, ha colpito anche me lo storpiamento di Cortelazzo.

Tornando alla citazione che ho riportato sopra, non è inutile ricordare la definizione di morfologia, che traggo dal Treccani (grassetto mio):

morfologia 3. In linguistica, in senso ampio, lo studio della flessione, della composizione e derivazione delle parole, della determinazione delle categorie e delle funzioni grammaticali, e quindi degli elementi formativi, desinenze, affissi e alternanze qualitative e quantitative. La grammatica tradizionale, dall’antichità sino a tutto il sec. 18°, limitava la morfologia alla individuazione di una forma base (per es., il nominativo o «caso retto» nella declinazione nominale, o la 1a pers. sing. dell’indicativo presente attivo nella coniugazione verbale) e delle trasformazioni che tale forma subisce nella flessione; dal sec. 19° la linguistica comparata ha inteso invece la morfologia come ricerca, in ogni parola, degli elementi formativi, affissi e desinenze, che si aggiungono alla parte radicale, e come studio della loro natura e funzione (così, per es., il lat. lupus è analizzato nella radice lup-, nel suffisso tematico u [ant. o], comune a tutti i nomi della 2a declinazione, e nella desinenza -s, caratteristica del nominativo singolare; ugualmente amabam è analizzato nella radice am-, nella vocale tematica a comune a tutti i verbi della 1a coniugazione, nel suffisso -ba-, caratteristico dell’imperfetto indicativo, e nella desinenza -m, caratteristica della 1a pers. sing. attiva). La ripartizione tradizionale della grammatica in fonetica, morfologia e sintassi è rifiutata da alcune scuole linguistiche contemporanee, che vorrebbero o inserire lo studio dei problemi morfologici nel quadro della sintassi e della lessicologia, o, al contr., comprendere nella morfologia anche lo studio dei rapporti sintattici e della semantica delle parole.

L’introduzione massiccia di parole inglesi, perlopiú terminanti in consonante o nesso consonantico, altera quindi la morfologia naturale dell’italiano, le cui parole terminano quasi tutte in vocale. L’affermazione del linguista appare cosí contraddittoria.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Freelancer
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Intervento di Freelancer »

Tuttavia va tenuto presente che molte volte una parola straniera che entra nel lessico dà luogo ad altre parole - deverbali e così via, che seguono la naturale morfologia dell'italiano. Ad esempio da film nascono le seguenti parole "italiane": filmare, filmato, filmico, filmino, filmistico, filmografia, filmologia, filmopera, filmoteca (traggo l'elenco dal Devoto-Oli).
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Marco1971
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Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Vero, e talvolta è indolore, come nei derivati di film, perché le parole si leggono come si scrivono, e altre volte si giunge alla creazione di vocaboli che stravolgono il sistema ortografonico (se mi si passa il neologismo) caratteristico del nostro idioma, come nel caso di downloadare, speakeraggio e infiniti altri.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
marmaluott
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Intervento di marmaluott »

Reality Show, è un esempio. "Tradurlo sarebbe come arrampicarsi sugli specchi; "smart" invece comprende tante sfumature che non è facile da sostituire, "wellness" viene usato perché sembra promettere di più del "benessere" italiano" ...
Ma che ragionamento è? Cos’avrebbe di pretestuoso “realtà spettacolo”? E da quando la difficoltà di rendere le sfumature di una parola straniera diventa divieto di traduzione? Anche bello ha miliardi di sfumature, ma c’è da scommettere che non si affermerebbe mai in inglese oltre il limite di pochissime espressioni come Bel Paese e bel canto. E infine diamo anche giudizi etico-estetici? Perché mai wellness dovrebbe promettere piú di benessere? Di questo passo finiremo per chiederci se il wolf delle tales è piú cattivo del lupo delle favole o se il sun è piú luminoso del sole: poiché in Inghilterra piove sempre, immagino che la risposta sia sí. Al diavolo, mi sto seriamente chiedendo se questi linguisti li hanno presi al mercato ittico o a quello ortofrutticolo.
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Marco1971
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Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Come non darle ragione, gentile Marmaluott? Quel che manca a molti linguisti odierni è spesso non solo una visione diacronica della lingua ma proprio un bagaglio, un retroterra meramente culturale.

Per il resto, lo sappiamo, tutto quel che è straniero è piú moderno, migliore; tutto ciò che è italiano è polveroso e stantío. Perché? Perché la gran massa degli italiani non conosce le lingue straniere e cosí non sa che quasi tutte le parole da esse mutuate designano tritissime realtà…
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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