Omissione di ‹che›

Spazio di discussione su questioni di carattere sintattico

Moderatore: Cruscanti

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Periplo
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Intervento di Periplo »

Marco, la ringrazio. Contavo davvero sul suo intervento. Le auguro un felicissimo anno nuovo, e la realizzazione di ogni suo desiderio (dizionario compreso). :)
Maxos
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Intervento di Maxos »

Periplo ha scritto:Torno ad angustiarvi con il mio ossessivo che.
Cosa ne pensate di questa frase?
"per l’ennesima volta accertandosi vi fosse ancora agganciata la targhetta in plastica trasparente"
Ancorché non sia eccessivamente elegante incominciare ad intervenire in un foro :) con un "no", stilisticamente la scelta omissiva in questo caso non mi piace.

Il fatto è che c'è una certa accumulazione di costrutti sintattici non immediati che rende poco fluida o se vogliamo un po' affettata la frase.

A dirla tutta bisognerebbe vedere il contesto generale in cui è inserita ma "a pelle" preferirei diluire con un bel "che".

Ciò detto, la frase mi sembra inappuntabile e ti invidio parecchio se stai riuscendo ad esprimerti con un romanzo.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Questo è un suo giudizio personale. Per me invece è elegante, e la GGIC dice che appartiene a un registro letterario, mentre con verbi come credere, pensare, sperare è della lingua parlata comune.
Periplo ha scritto:Le auguro un felicissimo anno nuovo, e la realizzazione di ogni suo desiderio (dizionario compreso). Felice / Smile
Grazie! Buon anno a lei e a tutti i membri di Cruscate! :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Maxos
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Intervento di Maxos »

Marco1971 ha scritto:Questo è un suo giudizio personale.
Quando dicevo "a pelle", mi riferivo alla pelle mia :)
Marco1971 ha scritto: Per me invece è elegante, e la GGIC dice che appartiene a un registro letterario, mentre con verbi come credere, pensare, sperare è della lingua parlata comune.
Di fatti in genere anche io tendo ad omettere il "che" e trovo la costruzione non illepida ac inelegans :wink:, la mia opinione era riferita solo a quella particolare frase.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Benvenuto, Maxos! :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Maxos
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Intervento di Maxos »

Grazie Marco!
PersOnLine
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Intervento di PersOnLine »

Ma non c'è proprio un regola o un indizio che indichi la liceità dell'omissione del che?
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Per ora, si va a orecchio esercitato; quando arriverò alla voce che nel DiNo, studierò la questione in maniera approfondita. Non troverà nulla di preciso nelle grammatiche (ho già cercato).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Maxos
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Intervento di Maxos »

A occhio (io faccio il fisico teorico, ergo non sono dell'ambito), se interpretiamo l'omissione come un fatto sincronico alla lingua, cioè che avviene per conseguenza di una scelta autonoma che fa lo scrivente e non di una scelta che ha fatto un qualche scrivente prima di lui (spiegazione tremenda, spero abbiate capito), penso che il principio sintattico che ammette l'omissione sia dato dai seguenti:

1) il congiuntivo segnala di per se con un alto grado di probabilità una frase dipendente;
2) la frase principale con grande probabilità non regge a livello di significato senza un qualche completamento;
3) il "che" in questo caso è una congiunzione completiva che è come dire la congiunzione sub. più generica che ci possa essere per cui contiene poca informazione.

Detto ciò, il principio pratico mi sembra quello del "se capisci va bene" e di conseguenza il vero arbitro dovrebbe essere il giudizio estetico dello scrivente.

Però, ripeto, sto assumendo che non si abbia a riferirsi a fonti precedenti ma al meccanismo "interno" della lingua.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Il fatto è che non si tratta d’un fatto sincronico della lingua, e in italiano antico quest’omissione era molto piú estesa. Non sono d’accordo con lei sul fatto che sia una scelta del parlante: i parlanti meno cólti non sono in grado di decidere, seguono l’uso consacrato, quello che hanno sempre letto o sentito dire intorno a sé.

Quanto poi al principio pratico del se mi si capisce, va bene, rappresenta, per me, un incoraggiamento alla comunicazione tarzaniana, del tipo: io non essere sicuro pasta pronta per non sono sicuro che la pasta sia pronta, ecc.

Vorrei anche sottolineare che i meccanismi interni della lingua non cadono dal cielo, scaturiscono dalla competenza del parlante, competenza che esso solo può avere acquisito sulla base del passato, anche recente. Insomma, non si può mai creare un modello produttivo dal nulla. E la questione del che omesso non è certo un modello produttivo, ha molte limitazioni, sintattiche e semantiche, che bisognerà precisare sempre tenendo conto dell’uso consolidato.

Se posso permettermi un appunto, gentile Maxos, il verbo assumere, nel senso in cui l’impiega lei, è un calco dell’inglese to assume, e in buona lingua andrebbe evitato. ;)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Maxos
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Intervento di Maxos »

Marco1971 ha scritto:Il fatto è che non si tratta d’un fatto sincronico della lingua, e in italiano antico quest’omissione era molto piú estesa. Non sono d’accordo con lei sul fatto che sia una scelta del parlante: i parlanti meno cólti non sono in grado di decidere, seguono l’uso consacrato, quello che hanno sempre letto o sentito dire intorno a sé.

Quanto poi al principio pratico del se mi si capisce, va bene, rappresenta, per me, un incoraggiamento alla comunicazione tarzaniana, del tipo: io non essere sicuro pasta pronta per non sono sicuro che la pasta sia pronta, ecc.

Vorrei anche sottolineare che i meccanismi interni della lingua non cadono dal cielo, scaturiscono dalla competenza del parlante, competenza che esso solo può avere acquisito sulla base del passato, anche recente. Insomma, non si può mai creare un modello produttivo dal nulla. E la questione del che omesso non è certo un modello produttivo, ha molte limitazioni, sintattiche e semantiche, che bisognerà precisare sempre tenendo conto dell’uso consolidato.
Noto che con lei è d'uopo l'essere espliciti ed ha perfettamente ragione, mi permetta dunque riformulare (altra ellissi in un certo senso): giacché il giudizio dei nostri nobili predecessori non condanna la sudetta soluzione, il principio pratico può essere adottato come surrogato del principio più proprio e completo che lei ha illustrato.

Cioè, in parole crude, è un po' come quando si spiega ai bambini che "ha" ha l'acca per distinguersi da "a", il che è pur vero per molti versi, ma quel che impera è la consuetudine in tale caso.

Per cui, in somma, non volevo suggerire che il procedimento di ellissi fosse produttivo in senso stretto.
Marco1971 ha scritto:Se posso permettermi un appunto, gentile Maxos, il verbo assumere, nel senso in cui l’impiega lei, è un calco dell’inglese to assume, e in buona lingua andrebbe evitato. ;)
Confesso il calco semantico e la ringrazio per lo spunto, come capirà di certo, per un fisico (che per altro studia negli Stati Uniti) "assume" è senz'altro uno dei verbi (e sostantivi: "assumption") più visti, rivisti ed interiorizzati che ci siano.

P.S.
Ahahahaha, ma quanto mi diverto a scrivere così? Grazie davvero a questa piazza in linea!

P.P.S.
Mi diverto davvero e questo divertimento dovrebbe essere trasmesso ai nostri giovani, la scrittura è espressione oltre che comunicazione e nella lingua queste due dovrebbero spesso fare all'amore.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Quello che volevo e voglio mettere in luce, o meglio, quello contro cui vorrei mettere in guardia chi legge è questo: la sistematizzazione delle strutture linguistiche, che mai, in una lingua storico-naturale, si possono ridurre a fenomeni prevedibili.

I nostri giovani, e qui concordo con lei, dovrebbero trovare la spinta al divertimento linguistico; ma a monte di questo, e condizione imprescindibile, sta la buona conoscenza dello strumento, senza la quale ogni divertimento si tramuterebbe in vaniloquio.

Io, che faccio l’insegnante di lingue, noto con stupore l’esiguità del lessico dei miei alunni. Parole come sentiero e radura non sono note, in media, alla metà delle mie classi.

Assistiamo, soprattutto in Italia, al declino di quello che un tempo era un valore, e oggi ha perso ogni significato: la cultura. Per questo ritengo giusto che spazi virtuali come questo foro possano, piú che darle il destro di divertirsi, su vasta scala rinfocolare l’amore per un idioma già glorioso e oggi su quello scrimolo di montaliana memoria.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Maxos
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Intervento di Maxos »

Sono in totale armonia col suo intervento e lo dico, mi si perdoni l'ulteriore rimarcatura, da Fisico Teorico; per cui da appartenente ad una categoria alla quale spesso si associa la tesi che il grande problema dell'Italia sia un eccesso di alfabetizzazione umanistica e un difetto della scientifica; cosa che io non credo.

Il problema dell'Italia è appunto un generale analfabetismo culturale, causato dalla (quasi incomprensibile per persone come me e credo come lei) mancanza di una percezione, di un sentimento del valore del conoscere e del creare.

Nel concreto io mi sto convincendo che uno dei punti dove si dovrebbe intervenire massicciamente sia quello dell'insegnamento della storia, che, in un certo senso, ha speranza di avere su tutto il resto delle ricadute positive.

Questo perché ormai da molti decenni si è chiarito in tale disciplina il ruolo fondamentale che ha il comprendere uomini e donne lontani da noi nel tempo, predisponendoci quindi a comprendere altri uomini e donne vicini a noi nel tempo ma lontani nello spazio; il che, secondo me, è uno dei meccanismi psicologici (oltre ad altri meccanismi sociali come l'ambizione, la promozione sociale, il gioco) di base dell'amore per la cultura.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Senza dubbio, l’insegnamento della storia è importante, ma, tornando al tema di questa piazza, è fondamentale un insegnamento rigoroso anche della lingua. E questo non è possibile senza docenti preparati. E preparati non sono anche alcuni docenti universitari, cosa inconcepibile fuor d’Italia.

P.S. Non mi piace molto uomini e donne quando si può dire, asessualmente (perché imperniare il pensiero sulla diversità dei sessi?), persone o esseri umani. È un po’ come dire dottori e dottoresse, studenti e studentesse, ecc. Basta un termine unico, secondo me, rappresentato dal neutro maschile.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Maxos
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Intervento di Maxos »

Marco1971 ha scritto:P.S. Non mi piace molto uomini e donne quando si può dire, asessualmente (perché imperniare il pensiero sulla diversità dei sessi?), persone o esseri umani. È un po’ come dire dottori e dottoresse, studenti e studentesse, ecc. Basta un termine unico, secondo me, rappresentato dal neutro maschile.
A dirla tutta non piace neanche a me: fu un momento di debolezza.

Nevertheless...
Marco1971 ha scritto:neutro maschile
è un sonoro ossimoro ;).
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