«Una sonno»

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Ligure
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Iscritto in data: lun, 31 ago 2015 13:18

Re: «Un(a) sonno»

Intervento di Ligure »

In conclusione, s'è visto che alla voce emiliana corrispondente a "son(n)(o)" - il monosillabo che rimane eliminando la vocale finale da un esito proto-romanzo - non sono mai stati praticati "trattamenti" né di tipo "prostetico" né di classe "epentetica" (che - nelle situazioni appropriate - andrebbero inquadrati come vere e proprie "terapie logopediche") in quanto assolutamente non richiesti dalle condizioni del "presunto" paziente. In effetti, "prostesi" ed "epentesi" sono/erano "terapie logopediche" praticate a seguito di precedenti "interventi linguistici" che avevano contribuito a "usurare" - almeno, parzialmente - la "sostanza fonica" della parola, ma, in questo caso, alla voce emiliana in oggetto esse non potevano essere applicate.

L'unica vera "terapia logopedica" effettivamente praticata consisteva nel parlare italiano, in modo tale da poter "ripristinare" la vocale finale e "realizzare" la geminazione consonantica della parola (convertitasi in lunghezza tautosillabica) ... "recuperando" - se si accetta questo termine - le "caratteristiche" che erano state "tralasciate" durante il percorso dell'evoluzione linguistica storicamente intervenuta ...

Ciò, evidentemente, non si poteva fare all'interno del sistema linguistico emiliano proprio "per la contraddizione che non lo consente". Infatti, il sistema emiliano risulta tale "per definizione" proprio in quanto tralascia determinate vocali finali di parola e non realizza la geminazione consonantica eterosillabica. Almeno, da quando risulta attestato in modo attendibile e nelle varietà linguistiche più note e - un tempo - diffuse.

Inoltre, per onestà intellettuale devo ammettere che la risposta corretta era già stata fornita e, pertanto, la riporto integralmente (anche se riferita a "un dialetto di frontiera"):
Bue ha scritto: mar, 18 gen 2011 17:51 Confermo l'origine dialettale nordica. Contrariamente a Fausto pero` trovo che non si tratti di un orrore, bensi` di un interessante arricchimento linguistico locale. In mantovano, dunque immagino per estensione in molti dialetti del nord, "sonno" e` maschile quando significa sonno vero e proprio, femminile quando ha il significato - semanticamente diverso - di sonnolenza, come nella frase "avere sonno".
In particolare l'espressione grossomodo cristallizzata e` per l'appunto "ho una sonno..."

"A g'ho 'na son c'a crödi", ("ho un sonno tale da farmi rischiar di cadere come corpo morto cade") dira`opportunamente la gentildonna mantovana alle 2 di notte dopo una serata di bunga bunga ad Arcore
Infatti, la risposta vale - in generale - per le zone che hanno adottato, in dialetto, la specializzazione del genere per distinguere tra "l'azione del dormire" masch. e "l'esigenza di dormire" femm.

Tra i territori coinvolti c'è anche quello del capoluogo regionale - Bologna - che può aver contribuito alla diffusione di questo differenziale semantico.

Come chiarito precisamente, non c'è affatto da ragionare su "prostesi" ed "epentesi" - che non c'entrano assolutamente un bel nulla! -, ma si tratterebbe soltanto - se si ambisse davvero ad aver capito tutto! - di rendersi conto come mai - in emiliano - il corrispondente del sostantivo "sonno" - data la "morfologia locale" - possieda una "forma ambivalente" tale da poter "apparire" tanto maschile quanto femminile. Se ciò non fosse stato possibile, non si sarebbero potuti sviluppare due significati affini, ma diversi ... Questo è ciò su cui ci si sarebbe dovuti interrogare ... Se pure - ovviamente - sia solo una condizione necessaria per una potenziale diversificazione semantica ...

Ho scritto molto e, di conseguenza, ho fornito sufficienti indizi. Non desidero togliere il divertimento a chi legge. :lol: :wink:

P.S.: anche nel caso dei dialetti emiliani la linguistica inizia soltanto dopo che si sono impiegate correttamente le definizioni (in questo caso, ad es., di "prostesi" ed "epentesi"). Cioè quando ci s'interroga sul perché dei fatti intervenuti. E sotto questo aspetto (la ricerca della comprensione) risulta irrilevante che si abbia a che fare con un dialetto o con una lingua. A Reggio s'ebbero "(a)lchèr" = leccare e "mèr(e)l" = merlo, da precedenti "lchèr" e "mèrl" e proprio le vocali entro parentesi rappresentano la "terapia logopedica" - quasi una "protesi" - che venne praticata ai fini di una pronuncia più agevole a queste e a innumerevoli altre voci. Si tratta, infatti, di vocali non etimologiche. Che, molto anticamente, non c'erano. Processo evolutivo generalizzabile, sia pure con altri timbri vocalici, a tutti i dialetti tradizionali dell'Emilia linguistica. Ma, evidentemente, all'equivalente locale di "sonno" non c'era alcun'esigenza di approntare né una "protesi prostetica" né una "protesi di tipo epentetico". Che non avrebbero fornito alcun sollievo al "potenziale paziente" e avrebbero soltanto reso meno chiara la sua pronuncia specifica.

Infatti, l'intervento logopedico scattava soltanto quando la riduzione allo zero fonico di vocali etimologiche creava "nuovi" nessi consonantici nell'ambito di una stessa sillaba: [lk-] in "lchèr">"alchèr" ed [-rl] in "mèrl">"mèrel" - a partire da "mer-lo" -. Ovviamente, "togliendo" la vocale finale a "sonno" - condizione imprescindibile all'interno del sistema linguistico emiliano - non si crea alcun "nuovo" nesso consonantico e il "paziente" non ebbe diritto alle "prestazioni logopediche" normalmente erogate, dalle quali, nelle sue condizioni specifiche, non avrebbe tratto, per altro, alcun beneficio. Pertanto, non gli vennero mai praticate ...
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