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«Parlare che»

Inviato: ven, 04 feb 2011 20:36
di Marco1971
Da La Crusca per voi, un articolo di Manuela Manfredini.

Inviato: ven, 04 feb 2011 23:21
di Freelancer
Come si inquadra quanto scritto in quella pagina nell'argomento dei verbi vicari, illustrato da Giovanni Nencioni un paio di volte nella Crusca per voi, e che giustifica per l'appunto l'uso di verbi con costrutti che non sono loro propri? O qui non è il caso di parlare di vicariato?

Inviato: ven, 04 feb 2011 23:39
di Marco1971
Se non erro, il discorso di Nencioni sul vicariato riguarda le preposizioni, non le oggettive introdotte da che, e inoltre interessa verbi (come vedere e guardare) che condividono lo stesso statuto grammaticale (qui di verbo transitivo). Parlare, a differenza di dire, transitivo non è (se non in italiano operistico e antiquato: «Che parli?» e sim., e nel significato di ‘usare una determinata lingua’).

Inviato: sab, 05 feb 2011 10:21
di Brazilian dude
Falar que al posto di dizer que, sebbene non propriamente canonico, è abbastanza diffuso in Brasile.

Inviato: sab, 05 feb 2011 20:36
di CarloB
Posso trasecolare? Gli esempi di frasi citati nell'articolo in questione mi sembrano strafalcioni tanto evidenti da non meritare nemmeno di essere presi in considerazione dal sito della Crusca. Sono troppo rigido e passatista?

Inviato: sab, 05 feb 2011 21:11
di Marco1971
Non è d’uopo chiedere il permesso per trasecolare. :D

Per quanto mi riguarda, sono al contrario felice che la Crusca, per una volta, prenda chiaramente posizione, considerando scorretto quest’uso, e lo condanni quand’è ancora incipiente, cosí che non prenda piede. :)

Inviato: sab, 05 feb 2011 22:24
di CarloB
Attenzione, però. La Crusca finirà col dover spiegare perché si scrive cuore e non quore :D

Inviato: sab, 05 feb 2011 22:40
di Marco1971
A tal proposito riporto le parole di Giovanni Nencioni (La Crusca risponde, Firenze, Le Lettere, 1995, p. 35).

Niente, certo, impedirebbe di scrivere quore come quando, ma la forma poetica core verrebbe separata da quella col dittongo pur essendo una variante della stessa parola, discesa dal latino cor. E niente impedirebbe di scrivere cuando, cuanto, cuale come cuore, ma ciò troncherebbe la continuità visiva della lingua e offuscherebbe la sua discendenza dalla lingua madre, il latino, cui essa resta piú vicina delle lingue sorelle. Sarebbe allora meglio adottare una grafia fonetica che mirasse a precisare i valori acustici dei singoli elementi, ad es. kwore, kore, kwando, indicando la natura semivocalica della u, e poi anche la posizione e la qualità dell’accento. L’errore di ortografia, come si vede nell’esempio fatto ora, non è, spesso, un errore di fonetica, cioè di corrispondenza grafico-fonica, ma la violazione di un costume grafico che assicura la costanza dell’aspetto visivo della lingua; costanza che, giova ripeterlo, costituisce un prezioso bene sociale e culturale.

:)