Daphnókomos ha scritto: ven, 31 gen 2020 15:33
In Umbria si chiamano
marzi; in Calabria
catanàci;
rapue o rusete (a seconda dei casi) nella Liguria orientale;
bàhuli nell'area pisana; in Valdichiana, nel viterbese, e anche in Corsica, un altro nome di questa infiorescenza è
trama, alcune varianti del quale sono
tramma e tràmula in Corsica,
tràmula e
tràmura nella Sardegna settentrionale;
tecchia è il nome abruzzese;
zàgara quello siciliano, come il fiore dell'arancio e del limone. In dialetto istrioto, la mignola si dice
cadèla.
Solo una precisazione. Probabilmente il titolo del lessico dal quale sono state tratte le voci liguri -
I dialetti della Liguria orientale odierna: la Val Graveglia - non risulta tra i più felici. Forse, inizialmente, il vocabolario avrebbe dovuto far parte di una collana dedicata alla Liguria orientale. Di fatto, si limita alla val Graveglia. Un territorio molto limitato. Non molto lontano da Chiavari. Ovviamente, sotto l'aspetto linguistico non esiste - e non può esistere - alcuna "Liguria orientale". Le parlate di tipo genovese, sulla costa, giungono fin quasi a Levanto, poi compaiono i dialetti delle Cinque terre, successivamente quelli di tipo spezzino e, infine, quelli di tipo lunigianese ... Nell'interno ci sono le parlate di tipo arcaico della val Trebbia, della val d'Aveto e della val Taro, che sconfinano in territorio amministrativamente emiliano ... L'uniformità linguistica non è mai esistita.
Il dialetto della val Graveglia è, sostanzialmente, di tipo genovese. Le differenze rispetto a Chiavari e al capoluogo non sono di tipo strutturale. Quindi, ammette geminate fonetiche di derivazione etimologica diretta. Ma il "bello" consiste nel fatto che anche il Plomteux - il lessicografo - riteneva che, all'opposto, andasse evidenziata la quantità vocalica. L'ho chiarito molte molte e cercherò di essere breve. Sarebbe come decidere di scrivere - relativamente alla lingua italiana - "fāto" e "făto" anziché "fato" e "fatto". Ma il "bello" non finisce qui. Intervenne un ulteriore vero e proprio "colpo di genio". Perché avvalersi di due segni diacritici antitetici? Risulta sufficiente segnalare soltanto la quantità lunga. Per esclusione i fonemi vocalici accentati non denotati da alcun diacritico vanno intesi brevi! Che genialità! Che facilitazione e immediatezza di acquisizione per l'italiano medio che osasse consultare i lessici di un linguaggio così arcano!
Il quale, in realtà, possiede soltanto un'effettiva differenza rispetto alla lingua italiana. Che consiste nel fatto che la sillaba finale aperta può essere sia breve quanto lunga. Mentre ciò non risulta possibile in italiano, che non ammette, infatti, una variazione di quantità vocalica fonologicamente contrastiva in questa posizione. Mentre in tutte le altre occorrenze anche il dialetto della Graveglia risulta vincolato dall'isocronismo sillabico.
Quindi, in realtà, "rapue" e "rusette" sono termini specifici della val Graveglia - non di tutta la regione ligure orientale - e valgono - non essendo denotati dal "macron" - "răpue" e "rusĕte".
Pertanto, le voci della Graveglia - almeno, per chi non abbia un rapporto così "conflittuale" coll'unica grafia che davvero gl'italiani possiedono (cioè quella della lingua italiana!) - risultano essere "
rappue"/'rappwe/ - le mignole in fiore - e "
rusette" /ru'sette/ - quelle che cascano dai rami -.
Il termine "
rappue"/'rappwe/ potrebbe derivare da "
rappu" /'rappu/ = grappolo - o "răpu" (molto più "esclusivo" a motivo della sua totale incomprensibilità per l'italiano e il ligure medio, ben poco abituati a trarre qualche indicazione direttamente operativa dalla quantità dei fonemi vocalici) -.
Per "
rusette" /ru'sette/ - o "rusĕte" (almeno, così si desume meno agevolmente l'effettiva geminazione fonetica!) - il lessicografo fa riferimento al colore rosso. Anche se completamente di color rosso non le ho mai viste.
P.S.: per chi volesse sincerarsi direttamente inserisco le pronunce di ciò che il Plomteux avrebbe scritto "gatu".
Senza "macron", quindi "gătu". Cioè "gattu".
Relativamente alla Liguria orientale le geminate etimologiche si sentono a partire dal capoluogo fino a Levanto, Cassana. Il territorio spezzino è, invece, in condizioni "venete", non "genovesi".
Ma le geminate si percepiscono anche a ovest, a Noli, a Borgomaro. Altre località non sono riportate:
https://www2.hu-berlin.de/vivaldi/index ... 37&lang=de
P.P.S.: Quindi, geminate - senz'altro a livello fonetico (a livello fonologico si può anche discuterne) - esistono anche a nord (in tutti i dialetti di tipo genovese, ma anche in altri della Liguria) della famosa isoglossa che si può riscontrare riprodotta o citata in tanti testi e manuali di linguistica:
https://it.wikipedia.org/wiki/Linea_Massa-Senigallia
Certamente, come in italiano “fato” /'fa:to/ e “fatto” /'fat:to/ costituiscono coppia subminima - la quantità vocalica, pur non avendo valore fonologico, risulta, per altro, diversa - nei dialetti di tipo genovese
battu /'battu/ = batto si oppone a
bâtu /'ba:tu/ = baratto (da /ba'ŕattu/>/ba'attu/>/'ba:tu/). Ma, nel caso dei dialetti liguri, gli studiosi assumono quale valore fonologico distintivo quello costituito dalla quantità vocalica. Da qui sorse l'idea di ricorrere ai diacritici utilizzati, ad es., nei lessici della lingua latina e scrivere “bătu” in contrapposizione con “bātu”. Ma, come risulta evidente nel caso di
battu /'battu/ - del tutto conforme a quella che è stata l'evoluzione storica della lingua italiana -, non esiste - né è mai esistito - alcun fonema vocalico inerentemente breve in questa voce -
battu /'battu/ -. Esattamente come in italiano l'
a non ha potuto subire l'allungamento caratteristico delle sillabe aperte - come direbbe il Loporcaro - semplicemente a motivo della geminazione consonantica successiva. E' la durata consonantica successiva che ha posto un limite alla variabilità della quantità vocalica precedente.