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Forme di cortesia

Inviato: mar, 07 giu 2011 18:50
di zeneize
Se in italiano abbiamo varie forme di cortesia ("lei", "ella", "voi", "lorsignori", "vossignoria" ecc.), anche i dialetti, sebbene nell'immaginario collettivo più "popolari" e diretti, hanno le loro.

Il genovese ha come forma più comune vosciâ /vu'Sa:/, alla lettera "vossignoria" ma equivalente, per grado di rispetto, all'italiano "lei". Questa forma è adoperata come soggetto per esteso, mentre come "pronome obbligatorio" (caratteristica, questa, tipica di molti idiomi galloitalici) è prevista la forma abbreviata sciâ /Sa:/
Es.: Vosciâ sciâ no m’ha dïto cöse sciâ veu, "Lei non m'ha detto che cosa vuole".

La seconda forma di cortesia è voî /vwi:/, perfettamente equivalente al "voi" italiano. Nell'uso corrente, poi, benché quest'ultima forma di cortesia sia ormai poco comune, essa si differenzia dal pronome di seconda persona plurale, reso da viätri /'vja:tri/ (letteralmente "voialtri")

Sarebbe bello se ciascuno proponesse le forme del suo dialetto e/o particolari forme italiane diverse dall'uso comune :)

Inviato: gio, 09 giu 2011 10:52
di Ferdinand Bardamu
Nel mio dialetto – il veronese della bassa – esiste soltanto il lei, che ha una forma distinta per il maschile e il femminile: eło /'eło/, eła /'eła/. Es. Lei, signore, può venire dopo la signora, «Eło, siór, el pó vegnère dópo de ła sióra»; È da sola, signora?, «Eła éła [verbo nella forma interrogativa, con inversione del soggetto obbligatorio] da sóła, sióra?». I corrispondenti soggetti obbligatori sono el per il maschile, la per il femminile: «La/el vegna vanti [venga avanti]».

P.S. Nel dialetto veronese, almeno in quello meridionale, il pronome personale di quinta persona è simile, anche nella pronuncia, a quello genovese: vjaltri /'vjaltri/. Anzi, questo corrisponderebbe piuttosto al pronome pronunciato a ritmo «allegro»: normalmente si ha vujaltri /'vujaltri/.

Inviato: gio, 09 giu 2011 15:21
di zeneize
In pratica, mi sembra di capire che il suo veronese preveda come forma di cortesia semplicemente il pronome personale di terza persona. La stessa caratteristica si presenta oggi in quei parlanti genovesi fortementi italianizzati, che indifferentemente usano :

Lê, scignôa, a peu vegnî doman

Forma corretta: Vosciâ, scignôa, sciâ peu vegnî doman

Il nostro viätri, per la verità, è una contrazione di voiätri /vwi'ja:tri/, ma la prima è la forma più usata :wink:

Inviato: gio, 09 giu 2011 17:41
di Ferdinand Bardamu
Io sono un parlante giovane – ho 28 anni – ma non ho sentito dai miei genitori e dai miei nonni un pronome di cortesia che non fosse quello di terza persona. Non escludo, però, che in passato fosse usato anche il voi e che in me e nei miei parenti abbia agito un processo di italianizzazione.

Inviato: gio, 09 giu 2011 22:50
di zeneize
Caro Ferdinand, se lei è giovane io sono un cucciolo, dal momento che raggiungerò la maggiore età tra poco meno di due mesi :wink:
Mi sembra di aderire a una giusta causa se cerco di esprimermi (ove sia richiesto) in un italiano ricco e corretto e contemporaneamente in un dialetto (o meglio, lingua regionale) altrettanto ricco e scevro dagli italianismi più evidenti. O sbaglio? :)

Inviato: ven, 10 giu 2011 9:35
di Ferdinand Bardamu
Non volevo impormi l'etichetta di "giovane" tout court, del resto piuttosto problematica, ma di "parlante giovane", specificazione che giudico importante quando si parla di dialetti, stanti i cambiamenti imposti a essi dai mezzi di comunicazione e dalla scolarizzazione di massa.

Ciò detto, ritengo corretta la sua impostazione, con un'osservazione (del tutto personale): il dialetto, mancando dei crismi dell'ufficialità della lingua nazionale, è soggetto all'influenza di quest'ultima. Il desiderio di scoprire il corrispettivo nel suo dialetto di una parola italiana è comprensibile, se non altro per la curiosità di sapere come s'esprimevano i suoi ascendenti. Non deve però, a mio modestissimo avviso, sfociare nella ricerca ossessiva di parlare il dialetto dei suoi avi, cosa che mi suonerebbe altrettanto bizzarra che voler parlare l'italiano di Dante. Le chiedo scusa, tuttavia, se ho frainteso le sue intenzioni.

Inviato: ven, 10 giu 2011 17:33
di zeneize
Non mi fraintenda, è chiaro che a 28 anni non si può essere vecchi :D Ponevo solo in relazione la sua giovane età con la mia, che è poco più che infantile, se vogliamo.

Circa il discorso italiano/dialetti, è naturale che sarebbe uno sforzo improduttivo parlare la lingua "degli avi". E' vero che il genovese, come tutti gli idiomi diversi da quello nazionale, è sempre stato condizionato dall'italiano letterario, anche in un passato che possiamo definire remoto. I cambiamenti più recenti, però, sono dovuti alla profonda crisi dell'uso, e sarebbe giovevole - secondo me - cercare per quanto possibile di stabilire un confine netto tra italiano e lingue regionali, senza negare le reciproche influenze. Per intenderci, è ovvio che non si dice più meuo (come duecent'anni fa) ma moddo (= modo), però ritengo inaccettabile che un genovese dica raccoglie invece di arrecheugge, che non appartiene al linguaggio arcaico, ma a quello di 20 anni fa, se non dei giorni nostri. Sarebbe come se, presi dalla smania di adeguarci alla moda anglofila, dicessimo (come fanno realmente taluni miei coetanei) "lovvare" in luogo di "amare". Certo, le lingue si trasformano, ma a forza di trasformarsi corrono anche il rischio di stramazzare al suolo.

Inviato: ven, 10 giu 2011 19:45
di u merlu rucà
I miei nonni materni erano genovesi, nati alla fine dell'Ottocento. Ho avuto la possibilità, quindi, di sentire un genovese ancora poco inquinato dall'italiano. Rispetto alla parlata attuale, c'è un solco profondo, non tanto nella morfologia quanto nel lessico.

Inviato: sab, 11 giu 2011 0:10
di zeneize
Esatto, il problema sta proprio nel lessico. Per il fatto che non si parla più ci si trova a dire: "come si dice più in genovese?" e si finisce per corrompere un termine italiano e adattarlo alla parlata locale. Ho sentito gente che diceva "mulattea", "sbuccià" e "telaiu"... eppure creuza, piâ e tiâ non appartengono a secoli fa (soprattutto per creuza mi veniva da piangere; per chi non lo sapesse sono le tipiche mulattiere mattonate liguri). Qualcuno sostiene che in questo modo la lingua (dialetto) si arricchisca ulteriormente... E' lo stesso arricchimento dell'italiano nel momento in cui nessuno è più capace di tradurre manager, business, meeting, pur avendo gran disponibilità di termini che non risalgono certo a Dante. Non si tratta di negare che il "prestito interno" avvenga anche nella direzione opposta, cioè dalla lingua nazionale alle locali, ma quando i termini locali vengono soppiantati definitivamente da quelli nazionali, vuol dire che linguisticamente parlando quell'area è morta. Sarebbe come se il prestito ligure "mugugno", ormai riportato da tutti i dizionari, sostituisse definitivamente i lemmi italiani "lamento", "protesta" e compagnia. Ma in quel caso la situazione avrebbe dell'assurdo, in quanto è la lingua nazionale quella predominante sulle regionali, e mai il contrario

Inviato: lun, 20 giu 2011 18:20
di mtrev
Ritengo che nel Veneto centro-settentrionale sopravviva ancora il pronome di cortesia "vu(i)", io stesso l'ho sentito (sono di Treviso).
E' certo comunque che il pronome "lu/elo/ela" è di influsso piuttosto recente, visto che nel XIV sec., nel "Tristano veneto" si usava il "vu".

Inviato: lun, 20 giu 2011 20:03
di Ferdinand Bardamu
Sospettavo che la forma di cortesia fosse, in origine, il voi, nella sua forma vu. Del resto, Goldoni stesso usava soltanto il voi: «El vol vegnir a disnar con vu», Vuole venire a pranzare con voi [Chi la fa l'aspetti, atto I, scena IX].

Inviato: lun, 10 ott 2011 20:05
di marcocurreli
In sardo la forma di cortesia è fustei, fusteti (campidanese), bostè, vostè (nuorese-logudorese). Terza persona singolare.

Inviato: lun, 10 ott 2011 20:51
di Carnby
Ferdinand Bardamu ha scritto:il pronome personale di quinta persona è simile, anche nella pronuncia, a quello genovese: vjaltri /'vja:ltri/. Anzi, questo corrisponderebbe piuttosto al pronome pronunciato a ritmo «allegro»: normalmente si ha vujaltri /'vuja:ltri/.
È sicuro che non sia /'vjaltri/~/'vujaltri/? Davvero nel suo dialetto c'è alternanza fonemica tra /a/ e /a:/? Anche la trascrizione fonetica ['vja:ltri]~['vuja:ltri] non mi convince molto: sebbene in molti dialetti settentrionali si possa avere l'allungamento della vocale in sillaba accentata caudata, solitamente questo è un semiallungamento (il «semicrono»), non un allungamento pieno.

Inviato: lun, 10 ott 2011 21:55
di Ferdinand Bardamu
Ha ragione: si tratta d'una mia svista. A quanto ne so, la quantità vocalica non ha valore distintivo nel mio dialetto. Provvedo a modificare l'intervento.

Inviato: gio, 12 gen 2012 22:53
di Per aspera ad astra.
In Calabria, si usa vui.
perasperaadastra

P.S.
ma quanti bei filoni sto scoprendo! Complimenti ai curatori e agli utenti del foro.