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«Spread»
Inviato: gio, 10 nov 2011 17:16
di Ferdinand Bardamu
Spread è uno di quei termini che, a causa di un evento che finisce sulle prime pagine dei giornali, esce dalle anguste stanze del linguaggio di settore e diventa di uso comune (o quasi). Si tratta della differenza tra il rendimento dei titoli di Stato tedeschi, presi come riferimento, e i titoli di Stato di un'altra nazione.
Qualcuno nei commenti di
questo articolo suggerisce di chiamarlo, opportunamente,
differenziale: «il differenziale tra
bund e BTP è salito» suona meglio (linguisticamente, non economicamente).
Che ne pensate?
Inviato: gio, 10 nov 2011 20:02
di PersOnLine
Il differenziale è più in generale una qualsiasi differenza che si può misurare tra due tassi di interesse, non solo dei titoli di stato: si può parlare di differenziale anche tra i tassi passivi e attivi applicati da un istituto di credito.
Inviato: gio, 10 nov 2011 20:10
di Marco1971
Si può precisare la prima volta
differenziale dei titoli di Stato e poi usare
differenziale e basta.

Inviato: gio, 10 nov 2011 21:14
di Modna
Infatti anche in inglese non si chiama solo
spread, sarebbe assolutamente incomprensibile, il
Longman gli attribuisce ben 12 significati.
Il nome corretto, in inglese, è
credit spread...in italiano basta
spread in ragione della solita, asfissiante, monoreferenzialità, in nome della quale si introducono valanghe di prestiti inutili nella lingua italiana.
Tecnicamente - ebbene sì, anche se italiano è linguaggio tecnico

- si tratta del
differenziale di rendimento (non essendo riferito a nient'altro sottointende
dei titoli di stato), a mio parere contraibile in differenziale...in fondo, se si parla di borsa...che altro può essere?
Il problema è...chi lo spiega a giornali e telegiornali, che non vedono l'ora di riempirsi la bocca di
spread? Qualche giornalista iscritto al forum può raccogliere il mio appello e farlo presente alla massa di anglofili stupidamente entusiasti?:(
Inviato: gio, 10 nov 2011 22:27
di Ferdinand Bardamu
Ringrazio Modna e PersOnLine per le precisazioni tecniche. Nella pubblicistica, a mio avviso, basterebbe differenziale, essendo il contesto sufficiente a precisare di quale differenziale si sta parlando. Pur nella sua connotazione tecnica, sarebbe certamente molto piú trasparente e comprensibile per chi è digiuno di economia.
Per chi ha studiato o sta studiando economia (oppure, semplicemente, è appassionato della materia): nel linguaggio settoriale si usa di piú credit spread o differenziale di rendimento?
Inviato: gio, 10 nov 2011 23:09
di Freelancer
Il Dizionario dell'economia, della banca e della finanza di Francesco Cesari recita spread: differenziale di rendimento e rimanda a yield differential: differenziale di rendimento, così definito: Scarto, di regola espresso in punti percentuali o in punti-base, fra i rendimenti di due strumenti finanziari comparabili.
Nel dizionario non figura credit spread.
Inviato: ven, 11 nov 2011 9:44
di Jonathan
Una rapida segnalazione: durante la puntata odierna di Unomattina, il giornalista Franco di Mare ha usato sia spread che, successivamente, 'differenziale'.
Inviato: ven, 11 nov 2011 10:31
di Carnby
Forse non c'entra molto, ma, sempre a proposito di
spread, cosa ne pensate di
quest'intervento di Riccardo Chiaberge che cita Massimo Cacciari?
Inviato: ven, 11 nov 2011 15:48
di Modna
Mi scuso per il collegamento errato a wikipedia, lo vedo solo ora: volevo indirizzarvi a
Yield spread.
Credit spread richiama un altro concetto, collegato ma non inerente, scusate ancora.
Yield differential pare essere un sinonimo di
yield spread; infatti, in campo finanziario,
differenziale e
rendimento vengono tradotti come (cito i dizionari "L'inglese dell'economia", Zanichelli 2009, e "
Business English", Garzanti 2005):
differenziale: nm (econ.) differential; (fin.) spread.
rendimento: nm (econ., fin.)(reddito, resa finanziaria) yield, return.
Vista la testimonianza di wikipedia e i due dizionari di inglese economico, mi pare che il termine angloamericano sia
yield spread o, in alternativa,
yield differential.
Vista la "sindrome del pappagallo pigro e spaccone (e ignorante?)" che domina nella finanza italiana, ipotizzo che il termine settoriale italiano sia semplicemente
spread...giusto per complicare un po' la vita sia a noi che agli anglofoni che si interfacciano con il nostro mercato finanziario.
Inviato: lun, 12 dic 2011 20:04
di Cratilo
Spread pare proprio uno di quegli inglesismi artificiali, di cui di non si sentiva il bisogno: l’ho sentito tradurre con un banale “differenziale” o “divario” di rendimento.
Sull’argomento ne approfitto per segnalare il recente libro “Finanzcapitalismo” di Luciano Gallino, che consiglio anzitutto per capire il mondo reale in cui viviamo, compito sempre più arduo per chi non sia laureato in economia. In secondo luogo proprio per ragioni linguistiche: l’autore si sforza, in un campo come quello finanziario dominato da tecnicismi inglesi, di scrivere in italiano; il che aiuta anche la chiarezza delle spiegazioni. Il sospetto è il comune gergo opaco degli economisti abbia la stessa funzione del latinorum dell’Azzeccagarbugli: quando parlano nessuno capisce nulla, ma tutti annuiscono con deferenza…
Alcuni esempi: hedge funds è reso con “fondi comuni speculativi”, joint venture con “capitali di ventura”, think tanks con “serbatoi di pensiero”, tranche con l’originale “trancia”, e addirittura futures con “futuri”!
Inviato: lun, 12 dic 2011 20:19
di Modna
Davvero?

da laureato in economia, mi pare di sognare...credo proprio di aver trovato un interessante regalo di Natale...grazie della segnalazione!

Inviato: dom, 18 dic 2011 21:50
di Canape lasco ctonio (cancellato)
Maurizio Codogno, matematico ex Normalista, "divulgatore" e ex membro del GCN (Gruppo Coordinamento NEWS-IT - che gestisce l'ormai morente mondo dei gruppi di discussione italiani) non sarebbe d'accordo con la traduzione
differenziale:
http://www.ilpost.it/mauriziocodogno/20 ... to-sicuri/
«Qualche giorno fa su Repubblica si parlava della crisi finanziaria greca e si raccontava di come i tassi di interesse sul debito pubblico di Atene stiano schizzando verso l’alto. Peccato che la frase usata per dirlo sia stata «Il differenziale tra bond greci e tedeschi vola oltre il 1000 per cento», frase che colpisce per il numerone ma che non ha nessun significato reale.
Giusto per spiegarci meglio: il “differenziale” lo si trova sulle auto, e io parlerei di “differenza”, ma se si vogliono usare i paroloni possiamo ancora far finta di nulla.»
Inviato: lun, 19 dic 2011 1:23
di Freelancer
Lo dice già il Devoto-Oli alla voce differenziale: Come s.m., sin. impropr. di differenza, divario: l'inflazione è ancora bassa e i differenziali fra i vari paesi si sono ristretti
È un po' come il fatto che ormai [quasi] nessuno scrive più tipo, fa più fino tipologia.
Inviato: lun, 19 dic 2011 10:38
di Carnby
Uno dei rari casi in cui il traducente non è migliore del forestiersmo, quindi?
Inviato: mar, 07 feb 2012 19:28
di Marco1971
Non so bene che pensare di
quest’articolo...
In particolare queste considerazioni:
Si tratta quindi di voci che da oltre un decennio, in alcuni casi da più di due, mostrano una frequenza sufficientemente rilevante da essere registrate dai dizionari, pur ricondotte al linguaggio settoriale della finanza.
Le diverse nazioni europee singolarmente, e l’Italia in particolare, non hanno avuto né il tempo né il peso economico per contrapporre alternative nel settore della finanza e nella legislazione che lo regola.
Perché non si può tradurre, come si fa nei mondi francofono e iberofono? Mi sembra che siamo del tutto fuori strada con la necessità di avere un peso economico per trovare equivalenti italiani; che poi in un contesto sovrannazionale si usino le parole inglesi è naturale, visto che gli scambi avvengono in quella lingua.
In sostanza la questione del contributo italiano alla conversazione della finanza sovranazionale, in termini di apporto lessicale (cosa che si è realizzata in larga parte durante i secoli XVI e XVII quando il nostro paese era il motore dell’innovazione in ambito finanziario) deve inserirsi nel più vasto quadro del dibattito sul multilinguismo all’interno dell’Unione Europea.
Ma che c’entra il contributo italiano e il multilinguismo? Qui per me si fa confusione. Multilinguismo non implica l’adozione acritica di termini stranieri in una data la lingua, ma la convivenza di varie lingue entro una comunità composta di parlanti in grado di usare efficacemente lingue diverse...
O forse mi sfugge qualcosa?
