Carnby ha scritto: gio, 17 nov 2011 12:08
A mio avviso, la trascrizione delle affricate (o «occlucostrittive») suggerita da Luciano Canepari è fuorviante. Sono d'accordo per l'uso del monogramma […] per le affricate scempie ma non per le geminate. In italiano abbiamo due tipi di geminate: la dentale e la postalveolare […]. Nel primo caso, come primo elemento dell'affricata geminata bastano senza dubbio /t, d/. Nel caso delle postalveolari […] Canepari ha creato la
t (e la
d) con la coda girata che ricorda la parte finale della fricativa (o «costrittiva») corrispondente e quindi si può usare quello. In testi meno approfonditi, specie per le trascrizioni fonemiche tra barre oblique, si useranno semplicemente /t, d/ seguite dal monogramma…
Per le ragioni già parzialmente espresse
qui,
potrei essere d’accordo in linea di principio per le trascrizioni fonetiche, ma non sono assolutamente d’accordo per quelle fonem[at]iche (…a meno di non intendere quest’ultime come semplici trascrizioni
fonetiche larghe), e [quindi] in definitiva non sono nemmeno d’accordo per le prime.
Senza ripeter quello che ho già scritto in precedenza, mi limiterò semplicemente a citare l’esempio di Muljačić (1972:16, 44), che, pur usando,
e.g., la sequenza (grafica) [ddz] per il [dz] geminato
in trascrizione fonetica (
e.g., [adˈdzjɛn(ː)da]),
nelle trascrizioni fonematiche correttamente raddoppia il
fonema /dz/:
e.g., /adzdzjɛ́nda/ (…e si noti anche l’accento opportunamente posto direttamente sulla vocale, visto che
fonematicamente si prescinde dalla scansione sillabica

).
Per quelle fonetiche, poi, rimando a Bertinetto (1981), Ladefoged & Maddieson (1996) e Muljačić (1972),
locis citatis, dove si sottolinea il fatto che, sebbene alcuni fonetisti [acustici] sostengano di poter suddividere una geminata in due fasi (impostazione/implosione + tenuta e tenuta + soluzione/rilascio/esplosione), la cosa è tutt’altro che provata per le stesse occlusive (…per le fricative/costrittive non se ne parla nemmeno), anche a ritmo lento.
Per le affricate si potrebbe pensare che le due fasi fossero piú facilmente individuabili, ma uno studio recente dimostra (S. Faluschi & M.-G. Di Benedetto, «
Acoustic analysis of singleton and geminate affricates in Italian»,
WEB-SLS:
The European Journal of Language and Speech 201 [2001], 1–13) che ad allungarsi sono sia l’elemento occlusivo sia quello costrittivo (anche se il primo di piú del secondo), quindi una trascrizione fonetica stretta per,
e.g.,
bracci /bra̍ʧʧi/ non sarebbe (tassofoni postalveolari a parte) né [ˈbraʧːi] né [ˈbrat(ː)ʧi], ma (opportuna «barchetta» sottintesa) [ˈbratːʃˑi] (~
braci /bra̍ʧi/ [ˈbraːʧi])… In conclusione, le uniche due «fasi» chiaramente individuabili sono quella occlusiva e quella costrittiva, ma
nulla ci autorizza a spezzare l’occlusiva in una fase puramente occlusiva e un’altra occlucostrittiva.
Il «successo» d’una scrizione del tipo [
K(ː)
KX] (
K = occlusiva,
X = costrittiva) per rappresentare un nesso affricato geminato si spiega, a mio avviso, con almeno tre ragioni:
- comodità tipografica, soprattutto in mancanza (specialmente in passato) di monogrammi appositi;
- insistenza sul fatto che è la fase di tenuta, non certo la soluzione, a essere rafforzata;
- «ragioni storiche»: diacronicamente è l’elemento occlusivo a essersi rafforzato.
Una volta, però, che il monogramma si è reso disponibile e accettato che la soggiacente rappresentazione fonologica è —analogamente a ogni altro nesso geminato italiano— /
KXKX/ (dove
KX è qui da intendersi opportunamente «monogrammato»), una scrizione [
KX(ː)
KX] risulta (a mio avviso) molto piú coerente e perspicua.
