[Regola fantasma] Gerundio all’inizio di frase

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Ferdinand Bardamu
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[Regola fantasma] Gerundio all’inizio di frase

Intervento di Ferdinand Bardamu »

REGOLA FANTASMA:
  • Non si comincia una frase con un gerundio.
Poche sono le notizie su questa pseudo-regola, la cui giustificazione è difficilmente rintracciabile, se non nell'assurda idiosincrasia di qualche maestro troppo zelante.

Eppure la proscrizione scolastica – per quanto inspiegabile – ha avuto degli effetti, se Piero Fiorelli, in La Crusca risponde, [1], scrisse: «Del divieto di cominciare un periodo con un gerundio non avevo avuto il più lontano sentore fin quando non lessi le poche righe che seguono, in un articolo d'Enrico Bianchi apparso in Lingua nostra del maggio 1941: «Quando, più di cinquant'anni fa, io frequentavo le scuole elementari, c'insegnavano che non è buona regola cominciare un periodo con un gerundio; e uno dei miei maestri arrivava perfino a gastigare severamente chi sgarrava. Più tardi, io mi accorsi della scempiaggine di quella norma (ricordo sempre la mia maraviglia quando, sfogliando Dante, mi capitò sotto gli occhi quel principio di canto: Guardando nel suo figlio…); ma essa dové essersi ben radicata nel mio cervello, se in questi giorni, scorrendo per curiosità parecchie centinaia di pagine da me scritte e pubblicate negli ultimi decenni, non mi è riuscito di scoprirvi neanche un gerundio in principio di periodo. Tantum religio potuit».

Il suo fondamento, abbiamo detto, è inesistente. Qualcuno, come Giorgio De Rienzo nella rubrica Scioglilingua sul Corriere della Sera [2], pur non emettendo condanne, sostiene che il gerundio a inizio di frase «[n]on è elegante (un po' burocratico)»; altri, sul fòro della Crusca, afferma [3] che si tratterebbe di una norma tratta da Bruno Migliorini (non meglio specificando la fonte) e che il suo scopo sarebbe quello di «aumenta[re] la leggibilità del testo, ma non è una regola tassativa».

Un altro utente del fòro della Crusca dà una versione ancora diversa: «Quando si comincia con un gerundio, si dà spesso alla frase un tono sentenzioso che non opera nel senso della 'captatio benevolentiae'. Le grammatiche piú recenti non accennano al problema e certamente non si può parlare di regola grammaticale. Aggiungo che forse oggi nessuno cerca piú la benevolenza: è di moda il "consenso".»

Saremmo insomma di fronte a un espediente retorico, a un suggerimento di chiarezza espositiva o, ancora, a un modo per non scadere nell'antilingua cancelleresca. Nessuna di queste giustificazioni, ovviamente, regge.

Luca Serianni, nella sua Grammatica, non cita questa falsa regola; Giuseppe Patota, nell'appendice intitolata Glossario e dubbi linguistici nella stessa opera, alla voce «GERUNDIO» [4] fa un esempio che la smentisce: «Andando (= mentre andava) in giro senza una meta, incontrò un vecchio amico». Difficile è trovare esempi letterari; tuttavia, basti per tutti, oltre al verso dantesco su riportato, questo passo di Ludovico Antonio Muratori [5]: «Avendo egli mancato al pagamento nel tempo prescritto, fu portato l'affare a' Giudici…».


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  1. Piero Fiorelli, La Crusca risponde, Le Lettere, 1995, pp. 23-24 [grazie a Marco1971 per la segnalazione]
  2. Gerundio inizio frase, domanda posta al linguista Giorgio De Rienzo nella rubrica Scioglilingua sul Corriere della Sera
  3. Gerundio, domanda posta sul fòro in linea dell'Accademia della Crusca
  4. Luca Serianni, Grammatica Italiana, Garzanti, Milano, 2000, p. 539
  5. Ludovico Antonio Muratori, Dissertazioni sopra le antichità italiane, XVI
Ultima modifica di Ferdinand Bardamu in data dom, 06 lug 2014 22:46, modificato 2 volte in totale.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Ringraziando (;)) Ferdinand per l’ottimo articolo, mi permetto di esemplificare attingendo alle Tre Corone, i padri della lingua italiana (e si noti che l’esempio del Boccaccio condensa due regole fantasma ;)).

Guardando nel suo Figlio con l’Amore
che l’uno e l’altro etternalmente spira,
lo primo e ineffabile Valore
quanto per mente e per loco si gira
con tant’ordine fé, ch’esser non puote
sanza gustar di lui chi ciò rimira.
(Dante, Divina Commedia, Par. X, 1-6)

Mirando ’l sol de’ begli occhi sereno,
ove è chi spesso i miei depinge et bagna,
dal cor l’anima stanca si scompagna
per gir nel paradiso suo terreno.
(Petrarca, Canzoniere, 173, 1-4)

E sendo un giorno a guardia del suo armento,
ind’oltre a piè del monte, come spesso
egli era usato, gli venne talento
di gir al luogo là dove promesso
da Mensola gli fu, con saramento,
di ritornare a lui; e fussi messo,
lassando del bestiame il grande stuolo,
sol con un dardo in man, nel cammin solo.
(Boccaccio, Ninfale fiesolano, 355)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Zabob
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Intervento di Zabob »

Mi permetto di aggiungere un noto esempio leopardiano, il quale pure, similmente a quello boccaccesco, infrange(rebbe) due regole fantasma (e in più ha ben due gerundi a inizio frase):

Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura.
(Leopardi, L'infinito)
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
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