Pagina 1 di 4

«Ce n’è»

Inviato: ven, 13 gen 2012 18:23
di Marco1971
Un articolo di Vera Gheno su una questione elementare d’ortografia, ma era necessario proprio per l’alto numero di ricorrenze di grafie come *c’è ne... :shock:

Inviato: ven, 13 gen 2012 18:39
di Sandro1991
Andrea De Benedetti ha scritto:Come ricorda Andrea De Benedetti, «non tutti gli errori ortografici hanno lo stesso valore. I più gravi, direi, sono quelli che mutano il significato o la funzione grammaticale di una parola, come scrivere “ciò” anziché “c’ho
Ops... :lol: Ma il cj ho canepariano davvero non può attecchire? così paura fa? :?

Inviato: ven, 13 gen 2012 18:55
di Sandro1991
Mi permetto, a questo punto, d’aggiungere un’altra scheda...

Inviato: ven, 13 gen 2012 18:55
di Andrea Russo
Secondo me pochi lo capirebbero: non tutti hanno studiato fonetica, né tantomeno gli scritti di Canepari. Diciamo che non è molto intuitivo.
Rimane comunque il problema: come rappresentarlo graficamente nel caso di pubblicazione d'un romanzo?

Inviato: ven, 13 gen 2012 19:02
di Sandro1991
Andrea Russo ha scritto: come rappresentarlo graficamente nel caso di pubblicazione d'un romanzo?
Credo che la scheda di sopra sia un’ottima risposta. :wink:

Inviato: ven, 13 gen 2012 19:04
di Marco1971
Per me la soluzione meno appariscente e piú naturale è ci ho. L’argomento secondo il quale apparirebbe una i che non si pronuncia è del tutto fallace, visto che di i puramente diacritiche abbonda la nostra lingua.

Inviato: ven, 13 gen 2012 19:10
di Sandro1991
Certo, ci ho in contesti formali, cj ho per riprodurre il parlato; ciò, cià, ecc., a me, non mi garbano. :)

Inviato: ven, 13 gen 2012 19:23
di Andrea Russo
Marco1971 ha scritto:Per me la soluzione meno appariscente e piú naturale è ci ho. L’argomento secondo il quale apparirebbe una i che non si pronuncia è del tutto fallace, visto che di i puramente diacritiche abbonda la nostra lingua.
Certo, però negli altri casi la i diacritica è interna alla parola, il che non crea affatto problemi. La i diacritica in specie e quella in ci ho rappresentano, secondo me, due casi diversi.

Inoltre, secondo Lei, la grafia ci ho, trovata in un romanzo, sarebbe pronunciata correttamente dal lettore medio? Io non credo.

Inviato: ven, 13 gen 2012 19:27
di Andrea Russo
Sandro1991 ha scritto:
Andrea Russo ha scritto: come rappresentarlo graficamente nel caso di pubblicazione d'un romanzo?
Credo che la scheda di sopra sia un’ottima risposta. :wink:
Devo esser diventato orbo!
Nessuna delle soluzioni presentate è completamente soddisfacente; per quanto riguarda cj ho: «Tale soluzione tuttavia non è certo ideale, specialmente nell’uso comune, ma preferibile a ogni altra» (sottolineatura mia).

Inviato: ven, 13 gen 2012 19:32
di Ferdinand Bardamu
Ciò, invece, a me piace: non credo ci siamo molte possibilità di confonderlo col pronome, né che si pongano chissà quali questioni, per cosí dire, ontologiche sulla natura della parola (che il ciò in «ciò fame» sia un verbo credo sia fuor di dubbio). Per di piú, se non ricordo male, è suffragato da alcune occorrenze letterarie (Gadda, Pasolini, ecc.).

La soluzione di Canepàri, per quanto sicuramente precisa e elegante, introduce un diacritico estraneo alla grafia tradizionale («j»), perciò, come detto sopra, difficilmente attecchirà.

Quanto al semplice «ci ho», si corre il rischio, secondo me, che quell'«i» sia considerata come un suono pieno, e che perciò il verbo sia letto [ʧiˈɔ].

Tornando in tema, questo passo

Tra l’altro citiamo una curiosità, che potrebbe contribuire a giustificare possibili fraintendimenti: come si può verificare nel DOP, è stato pronunciato con la e aperta – in conformità al NĔC latino con e breve – fino a tutto il Settecento.

per me potrebbe essere frainteso: sembra quasi si parli d'una pronuncia dòtta, latineggiante, invece, come si sa, la ĕ latina dà come esito naturale in italiano la e aperta (in sillaba chiusa).

Inviato: ven, 13 gen 2012 19:46
di PersOnLine
Ferdinand Bardamu ha scritto: (che il ciò in «ciò fame» sia un verbo credo sia fuor di dubbio)
Sì, ma di quale verbo: ciavere?

Inviato: ven, 13 gen 2012 19:55
di Ferdinand Bardamu
Lo so che sono forme, per cosí dire, eslegi, ma d'altra parte sono grafie di costruzioni confinate nei registri piú bassi della lingua e non hanno subíto ancora una normalizzazione convincente e definitiva (anche se la forma «c'ho», benché errata, sembra avere la meglio). Per di piú, compaiono in alcuni autori prestigiosi, come Gadda:

E fogli da mille come farfalle: perché a tenelli a la banca nun se sa mai: quanno meno te l’aspetti po pijà foco. Sicché, ciaveva er commò cor doppio fonno. [Quer pasticciaccio brutto de via Merulana]

Inviato: ven, 13 gen 2012 20:42
di Andrea Russo
Ferdinand Bardamu ha scritto:Per di piú, compaiono in alcuni autori prestigiosi, come Gadda:

E fogli da mille come farfalle: perché a tenelli a la banca nun se sa mai: quanno meno te l’aspetti po pijà foco. Sicché, ciaveva er commò cor doppio fonno. [Quer pasticciaccio brutto de via Merulana]
'Un me pare italiano standard! :wink:

Tra l'altro Gadda metteva sempre quattro puntini di sospensione....

Inviato: ven, 13 gen 2012 21:57
di Marco1971
Andrea Russo ha scritto:Certo, però negli altri casi la i diacritica è interna alla parola, il che non crea affatto problemi. La i diacritica in specie e quella in ci ho rappresentano, secondo me, due casi diversi.

Inoltre, secondo Lei, la grafia ci ho, trovata in un romanzo, sarebbe pronunciata correttamente dal lettore medio? Io non credo.
Non bisogna dimenticare che la segmentazione della grafia è pura convenzione e che la realizzazione fonetica di ci ho sarà, in una pronuncia naturale, /tSO/, cosí come, pur volendo scrivere ce lo ho, difficilmente si pronuncerebbe /tSelo'O/ al posto del normale /tSe'lO/. Insomma tra ci e ho non c’è pausa, è come se fosse un’unica parola, anche se si scrivono staccate le due parole (come anche nelle sequenze ‘articolo + sostantivo’: la giungla -> lagiungla). Basta abituarsi. :)

Inviato: ven, 13 gen 2012 22:24
di Andrea Russo
E chi lo abitua il parlante (o per meglio dire il lettore)? Non vorrei sembrare polemico, ma la sua idea non mi convince. Se io vedo ce lo ho leggo /tʃelo'o/, e non /tʃel'o/ (e perché dovrei fare altrimenti?); parimenti, se leggo ci ho leggo /tʃi'o/, e non /tʃo/.
Lei fa considerazioni di carattere fonetico, che sono giuste, ma sul piano pratico dubito che una persona possa leggere ci ho come /tʃ'O/. Al contrario la grafia ciò, per quanto aberrante per più motivi secondo me, ha il vantaggio che verrà letta correttamente dai lettori.



Serianni osserva che tra gli scrittori contemporanei c'è una tendenza a omettere il cosiddetto ci attualizzante.