Consentitemi di rispondere sottolineando che mi ero limitata a
descrivere (non a
difendere) una situazione.
Innanzitutto, forse è utile fare una distinzione tra
parole (lessico comune), elementi che fanno parte del
vocabolario condiviso dalla maggior parte dei parlanti, e
termini (lessico specifico), elementi che fanno parte della
terminologia di un settore specializzato.
In questo senso, in inglese
set è una parola, come è una parola
notch. In italiano, invece, per ora
default è ancora un termine di un linguaggio specialistico. Cito la definizione elaborata dalla redazione di Lingua italiana del Portale Treccani:
default – Nel linguaggio finanziario, condizione di insolvenza di una banca o di un paese nei confronti di obbligazioni o debiti; per estensione, fallimento: dichiarare default.
È questo che intendo per valore monosemico: in italiano
default viene riconosciuto come termine che descrive una
condizione particolare che riguarda in modo specifico una
banca o un
paese, un concetto quindi più “ristretto” degli eventuali iperonimi
inadempienza o
insolvenza (o degli altri concetti che in inglese sono denominati da
default). Il mio punto di vista è in questo diverso da quello di GianDeiBrughi:
Invece "default" per me è uno di quei vocaboli che non facilita la comprensione, ma la ostacola, dal momento che in italiano ci sono non una, non due, ma almeno tre o quattro parole per rendere le varie sfumature e comunicare efficientemente quel che si vuol dire.
Da un punto di vista terminologico, il problema delle alternative italiane a
default è proprio che sono troppe. A differenza del linguaggio comune, nei linguaggi specialistici ogni concetto andrebbe identificato in modo univoco da un unico termine, cercando di evitare eventuali sinonimi (perlomeno in teoria!), come condizione per garantire una corretta comprensione.
Ferdinand Bardamu dice
Lo svantaggio, invece, è la totale opacità morfologica e semantica. Tant’è che chi si tiene minimamente informato – ma non sa l’inglese e non è addentro al mondo dell’economia – deve ricorrere a una ricerca.
È un’obiezione che condivido per le parole del lessico comune (perché dire
blizzard se si può parlare di
tormenta o
tempesta di neve?) ma qui stiamo discutendo di un termine. Non credo sia una questione di conoscere l’inglese: se non si ha familiarità con un linguaggio specialistico anche i termini morfologicamente e semanticamente trasparenti possono richiedere una ricerca (non tutti, ad esempio, potrebbero riconoscere il significato di
sovraordinato e
iperonimo).
Mi scuso per questa mia prolissità, ma mi preme sottolineare che nei linguaggi specialistici funzionano meccanismi diversi da quelli del lessico comune. In terminologia, l’acquisizione di un elemento con caratteristiche estranee al sistema lessicale, ad esempio, raramente presenta difficoltà e il prestito può risultare una soluzione più efficace e più “economica” rispetto a locuzioni italiane più lunghe e meno precise. Le scelte terminologiche di un settore specializzato andrebbero criticate analizzandole all’interno del relativo sistema sistema concettuale, non soffermandosi su un termine isolato che sta entrando nel linguaggio comune con un processo di determinologizzazione.
Concludo dicendo che sono completamente d’accordo con Marco1971 che la polisemia non ha mai rappresentato alcun problema nel
lessico comune. Le difficoltà di comunicazione possono insorgere se si privilegiano
parole anche formalmente più corrette ma non condivise dalla maggior parte dei parlanti, oppure se si usano
termini in maniera impropria.
Un’ultima nota,
European Credit Outlook 2012 è un nome proprio, quindi non andrebbe tradotto (“la conferenza European Credit Outlook 2012”).
Grazie a chi ha avuto la pazienza di leggermi fin qui.