bartolo ha scritto:«Aspetto il cielo piangere»: è corretta questa frase? Si dovrebbe trattare di una oggettiva implicita, costruita sul modello latino dell'accusativo con l'infinito («Aspetto che il cielo pianga»), ma forse il verbo aspettare non rientra tra quelli in grado di "permettersi" tale reggenza...?
Rispondo direttamente [ma si veda più sotto]: direi no – si tratta di un costrutto agrammaticale, e cioè non previsto dalla [lingua intesa come] «norma».
Il modello latino, che sottostà ad alcune restrizioni, sottopone all’italiano una struttura a sua volta rispettosa di determinate regole – regole che non possono essere ricondotte all’uso di «aspettare» (sempreché non si voglia formulare un’espressione volutamente irregolare); quindi, nell’italiano moderno, è ben accetto l’accusativo [
soltanto] dopo i
verba dicendi (
affermare,
dire,
dichiarare etc.).
È bene ricordare che ogni costruzione grammaticale corrisponde a una combinazione di parole, e tale combinazione è custodita da regole che non possono avvalersi esclusivamente del sentimento che ognuno di noi ha della propria lingua: la violazione delle regole che governano le costruzioni grammaticali a volte è resa apparentemente accettabile da una coincidenza analogica – ma rimando anche al concetto di creatività linguistica, che, se ben sorvegliata, arricchisce la lingua e il pensiero etc.
La combinazione sintattica proposta dal quesito tocca esclusivamente la detta «costruzione percettiva», che, in diacronia, altro non è se non una particolare forma di accusativo con l’infinito divenuta tanto stabile da meritarsi, di solito, una trattazione a sé.
Sono
verbi percettivi quelli che rinviano alla sfera sensoriale, come
sentire,
vedere (percezione visiva),
ascoltare etc. Sotto il profilo sintattico e semantico, questi verbi introducono un «oggetto» che assume la particolarità di «controllare» il verbo dell’infinitiva:
Mario sente il professore parlare [il professore parla]
Altri esempi con verbi non di percezione, oltre a mostrare eventualmente la coreferenza tra soggetto della reggente e dell’infinitiva, indicano una struttura sintattica ad ogni modo diversa:
Il professore ha promesso di interrogare Mario [il professore interroga]
Il professore invita Mario a tacere [Mario non tace, ‘disturba’]
La presenza della preposizione trasmette un comportamento sintattico non sempre regolare (a seconda del verbo reggente, può cambiare la preposizione, può esservi diversamente un complementatore, raramente può non esservi nulla), appetto di una struttura, quella coi
percettivi, cristallizzata senz’altro [
si noti che, in questo caso, la trasformazione da implicita a esplicita dà luogo a quella che di solito si chiama «pseudorelativa»: «Mario sente il professore che parla» non è sintatticamente sovrapponibile a «Mario conosce un professore che insegna grammatica», ma nemmeno a «Mario sente che il professore parla»].
Attenendoci ancora alla classificazione semantica, «aspettare» andrebbe sotto la categoria dei
verbi psicologici (secondo la dimensione della sfera mentale), per cui si dà il senso di «rivolgersi col pensiero»; o sotto quella degli
stativi, per il senso di «attendere». La struttura sintattica richiede, in questo caso (con subordinata infinitiva), non una preposizione (ché «attendere» introduce un oggetto diretto), ma un complementatore [che può essere
a o
di – per la subordinata esplicita, sempre
che]:
Aspetto di ottenere un qualche risultato [per il primo senso]
Aspetto a decidere [per il secondo senso]
Si danno anche le opzioni dell’infinito preceduto dall’articolo e dalla preposizione
per – ma è evidente che non meritano di essere citate.
Per l’etimologia: un uso attestato è dell’italiano classico, nei danteschi
A lui t’aspetta e a’ suoi benefici, e cioè «rivolgere lo sguardo e affidarsi a», e
aspetto tempo che più ragion prenda, ma sostituito dal Barbi con la lezione più sicura «
spero».
*
Aspetto il cielo piangere potrebbe evocare una stravaganza anche poetica [assolutamente non letteraria], della poesia di oggi [tuttavia, il quesito che ha ingenerato questo intervento implica una volontà di conoscenza che è desiderio di precisa erudizione]; e potrebbe riproporre invece il ritmo di uno stanco stereotipo linguistico.
Per
mentre aspetto le stelle cadere, anche qui, nonostante il contesto più nitido, forse si vìola un po’ troppo il corrispettivo e soggiacente «mentre aspettavo il cadere delle stelle» – seppure, a ben guardare, una pausa ‘metrica’ tra «stelle» e «cadere» renderebbe plausibile e lirico il «verso» – del resto l’idea secondo cui «la funzione poetica proietta il principio d’equivalenza dall’asse della selezione all’asse della combinazione» potrebbe essere [ed è spesso] intesa come un [pacifico] sovvertimento che privilegi le connessioni estetiche, non quelle logiche, per una migliore epifania della forma e del contenuto.