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Condizionale in dipendenza da verba iubendi
Inviato: mer, 06 giu 2012 0:04
di Ferdinand Bardamu
Rileggendo i Promessi Sposi mi sono imbattuto in un condizionale dipendente da un verbum iubendi:
Finalmente richiese, impose come una condizione, che l'uccisor di suo fratello partirebbe subito da quella città. [cap. IV]
Mi parrebbe in questo caso piú naturale il congiuntivo imperfetto, selezionato proprio dalla presenza d'una imposizione. Marco, privatamente, m'ha fatto notare che potrebbe trattarsi di una trasposizione al discorso indiretto di un «imperativo futuro»: come se il parlante, il fratello del nobile ucciso da Lodovico-Fra Cristoforo, dicesse «Lodovico partirà subito!». L'ipotesi mi sembra plausibile, anche se non riesco a non vedere quest'impiego del condizionale perlomeno come marcato. Che ne pensate?
Inviato: lun, 11 giu 2012 15:47
di Ladim
Nell’italiano classico [prenovecentesco, proprio di un uso librescamente ancora autoschediastico] il condizionale presente indica il futuro nel passato con marca assertiva, a canto al composto, di carattere [più] potenziale (opposizione non più attiva, e anzi: l’orecchio contemporaneo coglie una mancata opportunità, qui, ormai ratificata grammaticalmente).
L’idea sulla «trasposizione imperativa» meriterebbe più e maggiori parole di commento; dico che mi pare ben pensata.
Addendum: il congiuntivo, nel testo, avrebbe, per dir così, determinato un gesto troppo debole, all’orecchio e all’occhio manzoniani: un errore non di forma, certo, quanto di contenuto (di senso, ‘morale’).
Inviato: lun, 11 giu 2012 19:10
di Ferdinand Bardamu
La ringrazio. Avrei un'altra domanda, che sorge dal suo intervento: in italiano corrente, non sembra possibile – almeno secondo la mia limitata competenza – una tale libertà di selezione con verbi indicanti un comando. Personalmente, credo che una soluzione come quella di Manzoni rimanga confinata, oggi, a un italiano particolarmente prezioso (o, di converso, alla lingua dei semicolti), mentre, normalmente, il congiuntivo sarebbe obbligatorio: «Impose… che partisse». Il congiuntivo sembra esprimere da un lato la soggettività del comando, dall'altro la sua, per cosí dire, imperatività (=«“che parta!”, impose il fratello»). Sto prendendo un abbaglio?
Inviato: mar, 12 giu 2012 10:32
di Ladim
Il Manzoni ha però siglato un'epesegetica, tutto sommato slegata da «impose» e «richiese», dipendente dal sostantivo «condizione»: la subordinazione, in questo caso, è più ‘libera’ dalle tensioni [sintattiche e semantiche] della reggente.
È uno di quei casi in cui la tradizione culta richiede alla grammatica una riflessione allo stesso tempo diacronica e sincronica («sincronica in diacronia») – la distribuzione di questo condizionale [quello del testo manzoniano] equivarrebbe a quella della forma etimologica [e letteraria] dell’imperfetto «io amava»; oggi sarebbe improbabile, più espressiva che preziosa.
Nelle completive coi verbi di comando, in cui cioè le connessioni pragmatiche attestino lo slancio [assoluto e soggettivo] di una volizione, senza istanze cronologiche [e relative], non si può attendere altro che un congiuntivo (e questo valeva anche per il Manzoni, ovviamente). Ma, qui, ripeto, il sostantivo «condizione» non è [più] esplicitato attraverso la ‘libera’ volontà del «fratello», quanto secondo le limitazioni del divenire, seppure in sincronia con quella stessa ‘libera’ volontà.
Nessun abbaglio.
Inviato: mar, 12 giu 2012 12:56
di Ferdinand Bardamu
Grazie ancora. Il suo intervento è stato davvero illuminante.