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Inviato: mar, 23 ott 2012 14:36
di Souchou-sama
SinoItaliano ha scritto:Approssimativamente soocioo sama /soːtɕoː sama/.
Sí, o meglio: [ˈsooʨj̊oo sɐˈmɐ] — in canIPA, [ˈsσσʨj̊σσ sɐˈmɐ]. :wink: Tralasciando l’akusento (= pitch accent = accento tonale), ovviamente.
Inoltre, Le faccio notare che [ʨ] non è un fonema, in giapponese: una trascrizione fonemica sarebbe /sootjoo sama/. Sempre tralasciando l’akusento, che —questo sí— ha valore distintivo.
(La pronuncia italianizzata sarebbe, probabilmente, /ˈsɔʧo saˈma/.)
Non andrebbe però scritto Sōchō-sama in Hepburn?
La grafia ō non è meno arbitraria di ou: in giapponese cosí come in molte altre lingue —l’inglese, quelle scandinàve &c— ciò che tradizionalmente viene considerato una vocale lunga —/oː/— è in realtà un vero e proprio dittongo: /oo/. Per questo il Canepàri scriverebbe Soochoo-sama, ma essendo una grafia molto rara ho preferito adottare quella che solitamente usano i giapponesi stessi, quando scrivono 「そちょ」. :)

Inviato: mar, 23 ott 2012 14:57
di Bue
Souchou-sama ha scritto:…arrivando a produrre il famigerato stasera *[staˈzeːɾa]. :)
Un paio di giorni fa ho sentito alla radio /bebi'zitter/. :shock: :shock:

Inviato: mer, 24 ott 2012 14:58
di GianDeiBrughi
SinoItaliano ha scritto:Ho sentito che perfino in Toscana (non so se anche a Firenze) distinzioni tradizionali come fuso /'fuso~'fuzo/ e chiese /'kjɛse~'kjɛze/ si stanno perdendo.
Per quanto riguarda Lucca ho sempre e solo sentito dire /'fuzo/ in ogni occasione come nell'espressione dritto come un fuso. Invece in merito a /'kjɛse~'kjɛze/ la distinzione è ancora ben conservata.
Pur abitando al nord ed avendo una dizione un po' spuria in entrambi gli accenti che utilizzo quotidianamente su queste due sono abbastanza sicuro. La prima è un'espressione che in famiglia usavamo spesso mentre riguardo alla seconda chiesi (:)) per l'appunto ragguagli al nonno qualche tempo fa, poiché mi era venuto il dubbio in merito.

A Marina di Massa ed in Versilia lì vicino invece quest'estate ho sentito molto chiaramente che la maggior parte dei parlanti tratta le "s" intervocaliche né più né meno come lassù da noi. Quindi così viene pronunciato /koˈzi/, casa la pronunciano /'kaza/, cosa /'kɔza/, imprese /im'preze/ e così via.

Per quanto mi riguarda nella dizione classica sono abbastanza insofferente alla mancata osservanza della distinzione tra s intervocaliche sorde e sonore. Per rendere l'idea quando sento recitare "Ahi quanto a dir qual era è cosa dura" con la "s" sonora nella parola "cosa" il mio primo istinto ahimè è quello di cambiare canale o di spegnere il lettore multimediale. :(

Inviato: mer, 24 ott 2012 15:52
di Souchou-sama
GianDeiBrughi ha scritto:Per rendere l'idea quando sento recitare "Ahi quanto a dir qual era è cosa dura" con la "s" sonora nella parola "cosa" il mio primo istinto ahimè è quello di cambiare canale o di spegnere il lettore multimediale. :(
Son d’accordo. Recitare Dante usando una pronuncia troppo «moderna» è quasi ridicolo come leggere i classici latini usando la pronuncia «ecclesiastica».

Inviato: mer, 24 ott 2012 16:50
di SinoItaliano
Allora purtroppo il 99% dei professori liceali d'italiano e latino sono ridicoli...

Inviato: mer, 24 ott 2012 17:13
di Souchou-sama
Di certo non sono molto professionali (in questo come in molte altre cose). :)

Inviato: mer, 24 ott 2012 17:28
di Carnby
GianDeiBrughi ha scritto:Per rendere l'idea quando sento recitare "Ahi quanto a dir qual era è cosa dura" con la "s" sonora nella parola "cosa" il mio primo istinto ahimè è quello di cambiare canale o di spegnere il lettore multimediale.
Vabbè, non esageriamo: della pronuncia di tutte le s intervocaliche sonore ne parla già il senese Tolomei nel XVI secolo.

Inviato: mer, 24 ott 2012 17:43
di Souchou-sama
Epperò Dante non è del XVI secolo; dunque sarebbe auspicabile rispettare le relativamente poche differenze tra il suo italiano e il nostro. (E nel caso delle /s/ non dobbiamo neanche far appello alla pronuncia dugentesca, ma semplicemente a quella «tradizionale».) In una frase simile, poi, una co/s/a dura è decisamente piú «coerente» d’una co/z/a dura:D

Inviato: mer, 24 ott 2012 17:57
di Infarinato
E che dire di tutte le altre peculiarità della pronuncia fiorentina dugentesca? ;)

Inviato: mer, 24 ott 2012 19:16
di Souchou-sama
Non si preoccupi: avevo già letto il capitolo, e con vivissimo interesse. :) E mi pare che, tutto sommato, le differenze siano, appunto, «relativamente poche» — dal punto di vista d’uno ch’è abituato a pronunciar una mezza dozzina di lingue diverse, s’intende… :D

Inviato: gio, 25 ott 2012 17:26
di SinoItaliano
Però devo dire che la Divina Commedia recitata con l'accento fiorentino “moderno” è molto gradevole all'orecchio. :D

Inviato: gio, 25 ott 2012 23:38
di Souchou-sama
Non vorrei suonare blasfemo, ma io trovo che l’accento fiorentino —ma, sinceramente, anche toscano tout court— sia piú «bello» dell’italiano neutro, Commedia o no. :D (Un po’ come preferirò sempre l’accento [neutro] britannico a qualsiasi inglese «internazionale» —come quello descritto dal Canepàri— che cerchi di mediare tra [neutro] britannico e americano.)

Inviato: ven, 26 ott 2012 1:19
di valerio_vanni
Ho appena letto, nel testo di Infarinato, che tradizionalmente le rime sono legate alla grafia "e" "o" e non ai fonemi [e] [ɛ] [o][ɔ].
E' una cosa che non sapevo, non ci avevo mai fatto caso.

Sono poco pratico di poesia e relative tradizioni, però nelle canzoni noto rime e assonanze e personalmente il fonema differente mi fa un effetto di "imperfezione" [1].
E questo si collega alla questione "italiani regionali" perché, appunto, pronunce differenti portano a risultati differenti e quindi penso, di volta in volta, che quella determinata canzone farebbe rima meglio in quella particolare pronuncia rispetto a un'altra.

Se devo cantarla io uso i fonemi della mia parlata naturale, se questo porta a una rima perfetta bene, in caso contrario facco la stessa cosa ma... con un piccolo rimpianto.

Esempio pratico tratto da una canzone di De Andrè:
"Sorella morte datemi il tempo
di terminare il mio testamento"

Se la canta la mia ragazza usa la stessa "e", se la canto io ne uso due differenti (non ho controllato cosa facesse l'autore, ma ai fini del discorso non è rilevante).
In sintesi uso le due vocali differenti che fanno parte della mia parlata, ma non posso fare a meno di notare che "come la canta lei l'assonanza è migliore".

A voi che effetto fanno queste differenze?

[1] Fa eccezione "cuore" - "amore", forse è una rima così diffusa (al punto da essere spesso marcata come banale) che mi ci sono inconsapevolmente abituato.

Inviato: ven, 26 ott 2012 6:14
di Jonathan
valerio_vanni ha scritto:non ho controllato cosa facesse l'autore, ma ai fini del discorso non è rilevante
Ho controllato io, De André fa la rima con due [ɛ]. :D

Inviato: ven, 26 ott 2012 22:57
di Souchou-sama
Considerando che dice */testaˈmɛnto/ anche laddove non è in rima, è molto probabile che si tratti d’un ipercorrettismo (per sfuggire alla /eNC/ del Nord Italia).

Comunque, anche a me le rime, per cosí dire, grafemiche anziché fonemiche danno un po’ fastidio. Però non oso certo «raddrizzarle» arbitrariamente: tuttalpiú, sceglierò tra /e, ɛ; o, ɔ/ nei limiti della pronuncia «accettabile». Un paio d’esempi, tratti dallo splendido eppure sconosciuto libro Scappa scappa galantuomo:

1)

Esiste un pòsto
dove allevano i tacchini
con il petto dei bambini
cotti arròsto.


2)

Verso Betlemme vanno i tre re magi
cólla mirra e coll’oro:
ma alla mèta
non giungeranno.

Dai predoni malvagi
impareranno
a non fidarsi piú della comèta
e a farsi i cazzi loro.


…Ma non dirò addirittura l’òro – lòro. :D