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Imperativi di «fare», «stare» ecc.

Inviato: ven, 03 ago 2012 19:07
di Zabob
L'argomento è stato parzialmente discusso su questo fòro a proposito dell'imperativo di "dire".
Al liceo l'insegnante di lettere (che ricordo come alquanto "purista") raccomandava di usare le forme fa', sta', va', da' al posto di fai ecc. da riservare all'indicativo (d'accordo con Fiorelli, a quanto vedo qui), anche perché in latino abbiamo fac, da e sta (oltre a vade).
Sempre nel succitato intervento di Infarinato, non ho ben capito perché queste forme apocopate dovrebbero essere cogeminanti quando seguite da un pronome enclitico (fammi, vallo, ecc.), e tuttavia non producono raddoppiamento fonosintattico (fa' presto, va' via).
Su Wikipedia invece si dice che queste forme verbali danno luogo a raddoppiamento, tanto all'indicativo quanto all'imperativo.

Ancora una domanda: pare di capire che anche i derivati si comportino allo stesso modo. Un filone su soddisfare è già stato aperto, e in breve viene detto che la forma corretta è quella che segue la coniugazione del verbo fare: disfa' / soddisfa' (e non dìsfa / soddìsfa). Ma come la mettiamo con le forme enclitiche?
Devo dire disfallo, soddisfammi e... soddisfatti (come per il part. pass.)?

Re: Imperativi di "fare", "stare" ecc.

Inviato: mar, 19 mar 2013 19:43
di Don Lisander
Zabob ha scritto:Sempre nel succitato intervento di Infarinato, non ho ben capito perché queste forme apocopate dovrebbero essere cogeminanti quando seguite da un pronome enclitico (fammi, vallo, ecc.), e tuttavia non producono raddoppiamento fonosintattico (fa' presto, va' via).
Su Wikipedia invece si dice che queste forme verbali danno luogo a raddoppiamento, tanto all'indicativo quanto all'imperativo.
Nemmeno io lo capisco. O almeno, il raddoppiamento qui dalle mie parti si fa, eccome: le due espressioni suonano infatti Fappresto e Vavvia.
Zabob ha scritto:Ancora una domanda: pare di capire che anche i derivati si comportino allo stesso modo. Un filone su soddisfare è già stato aperto, e in breve viene detto che la forma corretta è quella che segue la coniugazione del verbo fare: disfa' / soddisfa' (e non dìsfa / soddìsfa). Ma come la mettiamo con le forme enclitiche?
Devo dire disfallo, soddisfammi e... soddisfatti (come per il part. pass.)?
Mi paiono non dico irragionevoli, ma quantomeno desuete, opzioni come disfallo, soddisfammi. Chiunque usasse queste due forme parlando o scrivendo darebbe senza ombra di dubbio una sgradevole impressione di linguaggio affettato.
Lo stesso discorso, per me, vale per disfà e soddisfà quali proposte sostitutive, in quanto presumibilmente più "corrette", di dìsfa e soddìsfa: in casi come questi io mi atterrei ormai semplicemente all'uso più comune.

Re: Imperativi di "fare", "stare" ecc.

Inviato: mar, 19 mar 2013 20:42
di Infarinato
Zabob ha scritto:Sempre nel succitato intervento di Infarinato, non ho ben capito perché queste forme apocopate dovrebbero essere cogeminanti quando seguite da un pronome enclitico (fammi, vallo, ecc.)…
Perché non si tratta delle forme apocopate. ;)

Si veda questo mio vecchio intervento e riferimenti ivi contenuti.

Inviato: ven, 23 gen 2015 16:51
di Ivan92
Purtroppo non riesco a leggere il suo intervento, caro Infarinato. A ogni modo, non m'è chiara la distinzione che fa il Treccani. Si dice che esistono due forme d'imperativo dei verbi andare, dare, dire, fare e stare: una tradizionale, che provoca il raddoppiamento (va, dà, dí, fa, sta); un'altra piú moderna (va', da', di', fa', sta'), che invece non genera cogeminazione, ché, salvo per dire, derivano dalle forme intere vai, dai, fai, stai. Orbene, a me sembra che questa sia un'inane distinzione. Voglio dire, ciò che conta è il parlato. E quando si parla e si dice va via o fa presto, la differenza che intercorre tra forma tradizionale e forma moderna scompare, e l'apostrofo che nello scritto si appone al verbo —il segnale che ci rammenta che siam di fronte alla forma ridotta, privata del dittongo— va a farsi benedire. Per cui, quando s'interloquisce, o questi verbi provocano sempre raddoppiamento o non lo provocano affatto. O forse, prima di pianificare un discorso, dovremmo pensare che esistono due forme e che, se uso quella tradizionale (identica alla terza persona dell'indicativo), dovrò dire /va'vvia/, mentre se uso quella piú moderna (identica alla seconda persona dell'indicativo) dovrò dire /va'via/? Ma anche nel caso in cui scegliessimo di discernere —cosa alquanto impossibile, solo un pazzo lo farebbe—, ci troveremmo dinnanzi a un vicolo cieco: va, seconda persona dell'imperativo, quando si parla, è solo e soltanto va. O si raddoppia o non si raddoppia. Non può esistere, nel parlato, la distinzione va (forma tradizionale, identica alla terza persona dell'indicativo) e va' (forma moderna, *identica alla seconda persona dell'indicativo). Pronto a ricever bastonate! :D


*Non capisco poi perché mai dovrebbero essere identiche: va' discende da vai, ma non si può dire che siano uguali.

Inviato: ven, 23 gen 2015 17:52
di Infarinato
Ivan92 ha scritto:Purtroppo non riesco a leggere il suo intervento, caro Infarinato.
Riprovi ora. ;) In ogni caso, è praticamente ciò che dice il Treccani.
Ivan92 ha scritto:[S]e uso quella tradizionale (identica alla terza persona dell'indicativo [non per dire, però! (NdI)]), dovrò dire /va v'via/, mentre se uso quella piú moderna (identica alla seconda persona dell'indicativo [«identica» modulo la soppressione dell’i ovviamente! (NdI)]) dovrò dire /va 'via/?
Proprio cosí. :)
Ivan92 ha scritto:Non può esistere, nel parlato, la distinzione va (forma tradizionale, identica alla terza persona dell'indicativo) e va' (forma moderna…).
Non nel parlato del medesimo locutore, ovviamente!

Ma parlanti diversi adotteranno o sempre l’una forma o sempre l’altra (tranne con le enclitiche, dove la forma è sempre e solo quella tradizionale). ;) Ad esempio, a Firenze prevalgono le forme non raddoppianti, mentre nel resto della Toscana e dell’Italia centrale quelle raddoppianti (si veda il DiPI in linea alle singole voci).

Inviato: ven, 23 gen 2015 18:34
di Animo Grato
L'interessante scheda della Crusca sulla controversa forma dell'imperativo di "dire" non è più consultabile. Riuscirà il negromantico Infarinato a compiere nuovamente il miracolo? :wink:

Inviato: ven, 23 gen 2015 19:01
di Infarinato

Inviato: sab, 24 gen 2015 0:58
di Ivan92
La ringrazio d'essersi mostrato cosí clemente e non aver agito a suon di percosse! :D Secondo Lei dunque, ortoepicamente parlando, sarebbe meglio dire /va'via/, /fa'prɛsto/ e via discorrendo?

Inviato: gio, 25 giu 2015 1:03
di Scilens
Ivan92 ha scritto:ortoepicamente parlando, sarebbe meglio dire /va'via/, /fa'prɛsto/
In effetti in Toscana si dice proprio così. Vavìa e faprèsto.

Inviato: gio, 25 giu 2015 10:37
di Infarinato
Ivan92 ha scritto:Secondo Lei dunque, ortoepicamente parlando, sarebbe meglio dire /va'via/, /fa'prɛsto/ e via discorrendo?
Oggi sí, ma si tratta soltanto di un «maggior grado di preferibilità»: le forme raddoppianti sono altrettanto legittime, avendo dalla loro la tradizione, essendo tuttora le uniche possibili con le enclitiche ed essendo maggioritarie in tutta l’Italia centrale (Toscana [linguisticamente] centrale esclusa).
Scilens ha scritto:In effetti in Toscana si dice proprio così. Vavìa e faprèsto.
Non in tutta la Toscana, solo in quella [linguisticamente] centrale (…e questa è almeno la seconda volta che lo ripeto in questo filone :?).

Inviato: gio, 25 giu 2015 10:40
di Ivan92
La ringrazio. :)