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Termini coniati da Dante

Inviato: mer, 03 ott 2012 21:26
di methao_donor
Salve a tutti!

Avrei una curiosità che mi è venuta in mente, e ho avuto difficoltà a trovare risposte. In che misura Dante coniò termini nuovi, e soprattutto, c’è qualche termine dantesco che è usato nel linguaggio corrente?

Io conosco alcune parole, come imparadisarsi o inluiarsi e simili, ma non mi viene in mente nulla facente parte della favella comune.

Inviato: gio, 04 ott 2012 0:29
di Freelancer
Ne parla un po' Bruno Migliorini nella Storia della lingua italiana, nel paragrafo Grammatica e lessico della Divina Commedia, ma a quanto pare non è semplice stabilire quali siano le parole proprie di Dante e quelle già comuni al tempo suo: latinismi, gallicismi e così via. Migliorini accenna anche all'opinione contraria del Tommaseo su imparadisare, ossia che questo verbo non sia una coniazione di Dante.

Alla fine Migliorini scrive: "Forse di conio dantesco è anche qualche formazione suffissale: pennelleggiare, torreggiare."

Inviato: gio, 04 ott 2012 1:09
di Marco1971
Di Dante rimangono, piú che parole, soprattutto citazioni diventate locuzioni, come le dolenti note, la navicella del mio ingegno, e altre, di cui a quest’ora non mi sovviene.

Inviato: gio, 04 ott 2012 1:28
di Freelancer
Infatti Migliorini aggiunge che "Poiché fin dal Trecento la Commedia è assunta quasi a libro sacro della nazione, commentato come si commentavano le sacre pagine, e letto nelle scuole d'alto livello, esso ha fornito e fornisce materia di continue citazioni: le bramose canne (di Cerbero), il fiero pasto (del conte Ugolino), il disiato riso (della regina Ginevra) [...] far tremare le vene e i polsi, ecc."

Infine cita alcune parole dantesche che hanno avuto fortuna, tra le quali "[...]bolgia e contrappasso (da contrapassum di S. Tommaso: "ciò che è patito a riscontro della colpa"), [...] grifagno, tetragono (nel senso astratto di "incrollabilmente saldo" che si ricava dal Par. XVII, v. 24)".

Inviato: gio, 04 ott 2012 1:43
di Marco1971
Grazie, Roberto, di aver completato. Ho detto solo quel che mi veniva in mente. Rileggete un canto della Commedia e sentirete pulsare la lingua italiana in quello che ha di unico: la sua musicalità. :)

Leggete poi qualsiasi altra cosa (di oggi) e tutto vi sembrerà banale e di cattivo gusto.

Inviato: gio, 04 ott 2012 12:41
di Ferdinand Bardamu
Sicuro conio dantesco è appulcrare; nel linguaggio corrente, però, non si usa mai da solo ma assieme a parte del verso di Inf. VII-60, e solo in contesti scherzosi: parole non ci appulcro.

Inviato: gio, 04 ott 2012 13:19
di Carnby
Marco1971 ha scritto:Di Dante rimangono, piú che parole, soprattutto citazioni diventate locuzioni, come le dolenti note, la navicella del mio ingegno, e altre, di cui a quest’ora non mi sovviene.
Anche questa, no?

Inviato: gio, 04 ott 2012 23:26
di methao_donor
In sostanza vedo confermato il sentore che non vi siano "parole dantesche" nel linguaggio comune, ma molto interessanti le varie delucidazioni e approfondimento.
Molte grazie a tutti! :)

lonza

Inviato: mar, 07 gen 2014 21:54
di rossosolodisera
Sono stato anticipato per "appulcro". Come uno di voi ha già risposto a me sono rimaste impresse definizioni, espressioni, locuzioni oriiginali , ottenute però da parole già coniate a parte la suddetta. (per antico pelo, le lanose gote, pueril còto ecc). ci sarebbe quel "dicerolti molto breve" ma a mio parere non ha coniato la parola, bensì ha usato un artificio nella composizione-coniugazione della forma verbale. Semmai è il signkficato di alcune parole che mi sembra avere spesso una sfumatura diversa in dante. Esempio classico il pur inteso come soltanto (ciò che ha veduto pur con la mia rima).

Inviato: mer, 08 gen 2014 10:28
di domna charola
"dicerolti" è un artificio piuttosto comune nei volgari di quell'epoca. Il modo con cui è collegato al resto, magari no, potrebbe essere un virtuosismo dell'Autore.

Per inciso, ho trovato quel tipo di costruzione verbale citata in un manuale di esegesi delle fonti, in cui erano presentati esempi di "verbali di processi" del periodo trecentesco, redatti in latino, che riportavano in volgare le affermazioni dei testimoni; in un caso di accoltellamento, la vittima aveva "offeso" l'imputato dicendogli "taglierotti lo naso e ficcherottilo in ****".
Può essere che sia una trascrizione dotta dell'espressione usata realmente, comunque... nulla di nuovo sotto il sole :D , tranne la curata eleganza della forma, non più eguagliata ai nostri tempi... :roll:

Inviato: mer, 08 gen 2014 10:51
di Ferdinand Bardamu
domna charola ha scritto:"Dicerolti" è un artificio piuttosto comune nei volgari di quell'epoca.
Piú che un artificio è una necessità sintattica dell’italiano antico, che non tollerava la proclisi dei pronomi atoni all’inizio di frase (legge di Tobler-Mussafia).

Inviato: mer, 08 gen 2014 18:39
di domna charola
Concordo. Ho ripreso al volo dall'intervento precedente, e mi è rimasto questo termine impreciso.
Grazie per la chiarificazione.